Prescrizione Penale

La Prescrizione nel Sistema 231: le sentenze della Cassazione

25 ottobre 2019

di Cipriano FICEDOLO

La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n.  30634/2019(1) è ritornata a trattare un argomento che, negli ultimi tempi, ha assunto un grande rilievo giuridico, ovvero la materia della prescrizione applicata alla normativa della responsabilità da reato degli enti(2).

L’importanza del tema trattato si fonda su di un contrasto giurisprudenziale che negli ultimi anni si è acuito in seno ai giudici di legittimità, tra la V sezione penale e le sezioni II e IV.

Il tema dibattuto riguarda gli effetti della prescrizione applicata alla normativa 231, ed in particolare l’art. 22 del D.Lgs. 231/2001 il quale, regola il predetto istituto giuridico.

La Suprema Corte investita della questione, in via preliminare, rilevava che, in materia sussisteva un contrasto giurisprudenziale fra due opposte tesi in relazione all’individuazione del momento della produzione degli effetti interruttivi della contestazione, posto che, la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti dell’ente, interrompe la prescrizione e ne sospende il decorso dei termini fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio, ai sensi del D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, art. 59 e art. 22, commi 2 e 4.

Nel D.Lgs. 231/2001, la disciplina della prescrizione presenta una struttura ibrida, con forti commistioni fra il diritto penale e quello civile.

L’art. 22 (commi 1 e 2), prevede un termine prescrizionale di 5 anni, che a decorrere dalla consumazione del reato presupposto è suscettibile di essere interrotto in due soli casi:

  1. con la richiesta di applicazione di una misura cautelare interdittiva;
  2. quando vi è contestazione a norma dell’art. 59.  In quest’ultimo caso, il quarto comma dell’art. 22 prevede la sospensione del decorso della prescrizione fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il procedimento nei confronti della persona morale (cfr. Cass. pen., sez. V, 4 aprile 2013, n. 20060 e Cass. pen., sez. II, 27 settembre 2016, n. 52316). L’art. 59, comma 1, D.Lgs. 231/2001, nel disciplinare le modalità della contestazione, richiama gli atti elencati all’art. 405, comma 1, c.p.p., fra cui, com’è noto, compare anche la richiesta di rinvio a giudizio.

A questo punto la Corte adita nel delineare i termini della questione, individuava quello che era il punctum dolens dell’intera vicenda in oggetto, ovvero, il momento in cui si producevano gli effetti interruttivi della richiesta di rinvio a giudizio dell’ente.

  • Un primo orientamento della Sezione II, 20 giugno 2018, n. 41012(3) faceva decorrere gli effetti interruttivi della prescrizione a seguito della sola emissione della contestazione dell’illecito all’ente, così come previsto in ambito processuale penale a norma dell’art. 405, comma 1, c.p.p., tanto è vero che, gli effetti interruttivi della prescrizione si interrompono con l’emissione del citato decreto di rinvio a giudizio come previsto dall’art. 160 c.p., non certo con la sua notifica, non essendo lo stesso un atto recettizio.
  • Di contro, la Sezione V, con la sentenza 12 settembre 2015, n. 18257(4), mutuando dalla prescrizione civile, sosteneva invece che, il decreto di rinvio a giudizio avrebbe natura recettizia, in virtù del richiamo alla disciplina civilistica della prescrizione (art. 2943 ss. c.c.) contenuto nella legge delega 29 settembre 2000, n. 300; difatti, il legislatore delegante, all’art. 1, comma 1, lett. r) già imponeva sia la durata quinquennale del termine prescrizionale, a decorrere dalla consumazione del reato presupposto, sia il rinvio alla disciplina civilistica in riferimento all’istituto dell’interruzione.

La Legge n. 300 del 2000(5), all’art. 11 (Delega al Governo per la disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche) alla lettera r) disponeva: “prevedere che le sanzioni amministrative di cui alle lettere g), i) e l) si prescrivono decorsi cinque anni dalla consumazione dei reati indicati nelle lettere a), b), c) e d) e che l’interruzione della prescrizione è regolata dalle norme del codice civile“. Evidenziano i giudici di legittimità, che le disposizioni del D.Lgs. n. 231 del 2001 (art. 22) sono conformi a tale previsione disciplinando la prescrizione in modo diverso rispetto alla prescrizione penale; del resto, se non vi fosse ottemperanza alla previsione della applicabilità della disciplina del codice civile scatterebbero le conseguenze della contrarietà alla legge delega.

Pertanto, secondo la V Sezione non vi erano dubbi sul fatto che, in ambito 231 l’istituto della prescrizione era regolato dalle norme del codice civile, con la ovvia conseguenza che, il decreto che dispone il giudizio interrompe la prescrizione non con la sua emissione da parte del P.M. ma, a seguito della effettiva ricezione da parte dell’imputato, rivestendo la natura civilistica di atto recettizio, al pari di una messa in mora inviata al debitore.

Tale orientamento a dire il vero è rimasto isolato, non rivenendosi ulteriori sentenze conformi, a differenza della tesi opposta di cui si rinvengono diversi precedenti tutti conformi.

Ed infatti, secondo l’orientamento maggioritario condiviso dalla IV Sezione Penale con la sentenza in commento (sent. n. 30634/2019) nell’ipotesi di c.d. reato degli enti, infatti, l’interruzione della prescrizione è posta a presidio della tutela della pretesa punitiva dello Stato, sicché il regime non può che essere quello previsto per l’interruzione della prescrizione nei confronti dell’imputato e coincidere con l’emissione della richiesta di rinvio a giudizio, in modo del tutto indipendente dalla sua notificazione.

Sempre secondo gli ermellini, il rinvio alla Legge Delega n. 300 del 2000, art. 11, lett. r), alle norme del codice civile, con cui l’efficacia interruttiva della prescrizione viene ricollegata, dall’indirizzo minoritario, alla notificazione della richiesta di rinvio a giudizio (o più in generale dell’atto di contestazione), che peraltro manca di esplicita attuazione, andrebbe inteso facendo riferimento al regime previsto dall’art. 2945 c.c., comma 2, nel senso che, una volta interrotta la prescrizione, con l’emissione della richiesta di rinvio a giudizio, essa “non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio“.

Il che nulla a che fare con il momento della produzione degli effetti dell’atto interruttivo, ma solo con il contenuto di quegli effetti, rispetto ai quali, diversamente da quanto previsto per la prescrizione del reato con l’art. 160 c.p., l’interruzione impedisce la decorrenza del termine prescrizionale fino a che il giudizio non sia terminato.

La scelta legislativa di far riferimento alla disposizione civilistica, anziché alle previsioni di cui all’art. 160 c.p., derivava dalla natura della pretesa punitiva che sanziona la violazione da parte dell’impresa di norme che implicano limiti di compatibilità dell’azione imprenditoriale con l’interesse generale, come espresso dall’art. 41 Cost.(6), il quale non può declinare di fronte al vantaggio dell’attività d’impresa.

Siffatta prevalenza determina la necessità del ricorso ad una normativa – quella civilistica appunto – che renda indifferente il tempo del processo all’irrogazione della sanzione, al fine di non stravolgere priorità collettive, costituzionalmente garantite.

IN CONCLUSIONE

A parere di chi scrive la tesi posta a fondamento della sentenza in commento apre degli scenari a dir poco allarmanti dal momento che, la Suprema Corte con delle argomentazioni difficilmente comprensibili e condivisibili, per sostenere le proprie argomentazioni assembla un vero e proprio collage giurisprudenziale della prescrizione attingendo dai principi civili e penali secondo convenienza.

Difatti, gli ermellini nelle motivazioni della sentenza asseriscono che, l’interruzione della prescrizione è posta a presidio della tutela della pretesa punitiva dello Stato, sicché il regime non può che essere quello previsto per l’interruzione della prescrizione nei confronti dell’imputato e coincidere con l’emissione della richiesta di rinvio a giudizio, in modo del tutto indipendente dalla sua notificazione.

Ma, non si comprende cosa centri la pretesa punitiva dello Stato ed il richiamo all’art. 41 Cost. nell’ambito di un processo penale, che vede imputata una società per delle presunte violazioni di norme penali.

L’art. 41 Cost. regola l’iniziativa economica privata prevedendo che, la stessa è libera e non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana, non afferma assolutamente che, la pretesa punitiva dello Stato possa derogare ai principi di diritto con il fine di assicurare la pretesa punitiva dello Stato.
Senza dimenticare che l’art. 27, comma 2, Cost., statuisce che, l’imputato (in questo caso l’ente) non è considerato colpevole sino alla sentenza di condanna definitiva, ponendo in essere degli espedienti finalizzati ad assicurare una più facile e sicura pretesa punitiva, travalicando i più elementari principi di diritto e massacrando i diritti di difesa dell’imputato.

Con ogni probabilità ci si è dimenticati che l’art. 35 D.L.gs. 231/2001 stabilisce che, all’ente si applicano le disposizioni relative all’imputato, e quindi anche i diritti posti a tutela e garanzia dell’imputato; ritengo che, a nessun giudice penale in un processo contro un imputato persona fisica verrebbe in mente di applicare un principio di diritto civile solo perché sarebbe più funzionale a giungere ad una più facile sentenza di condanna.

Così facendo, per un verso, la Corte aderisce ai principi della prescrizione penale ritenendo che, la richiesta di rinvio a giudizio non sia un atto recettizio e quindi aderendo ai principi di diritto penale, in quanto più favorevoli, salvo poi però, ritenere che, la previsione dell’art. 22 D.Lgs. 231/2001 ai commi 3 e 4, ovvero che per effetto della interruzione inizia un nuovo periodo di prescrizione ex novo e che, con il rinvio a giudizio la prescrizione rimanga sospesa fino alla sentenza che definisce il giudizio siano applicabili, attingendo ai principi di diritto civile.

In questo modo, però, si creato un principio giurisprudenziale che può aprire la strada verso un vero e proprio baratro.

 2/2

 

Intervento di Cipriano FICEDOLO – Avvocato Penalista d’Impresa

LEGGI QUI l’articolo precedente  1/2,   L’istituto della prescrizione nel sistema 231

 


Per approfondimenti, consultare i seguenti link e/o riferimenti:

(1)  Cass. Pen. sez. IV, (ud. 09.04.2019) dep. 12.07.2019, n. 30634

(2)  D. Lgs. 8-6-2001 n. 231 – Responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni

(3)  Cass. Pen. sez. II, (ud. 20.06.2018) n. 41012

(4)  Cass. Pen. sez. VI, (ud. 12.02.2015) n. 18257

(5)  Legge n. 300 del 29-09-2000

(6)  Costituzione

 



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