Redazione
Tra dossier caldi, timori politici e l’appello di Draghi a investire €800 mld l’anno, la finestra per la grande razionalizzazione bancaria europea si sta aprendo. A due condizioni: regole davvero uniche e disciplina di rischio affidabile anche a costo di sembrare noiosa.
Il punto di partenza: un consolidamento che non può più aspettare
La mappa del credito europeo resta iper-frammentata: circa 4.400 istituti, con mercati nazionali dove —come in Germania e, anche in Italia — la banca “di città” è ancora la norma. Nel frattempo, negli Stati Uniti un pugno di operatori serve la gran parte di una base clienti comparabile per dimensioni. La situazione è radicalmente diversa: negli USA su una popolazione di circa 350 milioni di persone, l’80% del mercato è controllato da appena cinque grandi banche. In Europa, pur avendo 450 milioni di abitanti, lo stesso 80% del mercato è diviso tra circa ottanta istituti.
Il risultato è noto: efficienza, valutazioni di Borsa e capacità d’investimento si concentrano oltreoceano. Se l’Europa vuole colmare il gap con USA e Cina — come chiede Mario Draghi — servono banche più grandi, più produttive e più profittevoli, capaci di sostenere fino a €800 miliardi l’anno di investimenti in innovazione, energia e sicurezza.
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