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Women Empowerment: lo stato dell’arte in Italia

12 giugno 2023

di Florinda SCICOLONE

La scorsa settimana a distanza di un giorno si sono verificati ennesimi due femminicidi, due vite umane sono state spezzate a distanza di poco sotto i colpi di mano di uomini ai quali le due donne avevano affidato la loro vita e con i quali avevano condiviso un progetto.

La violenza di genere è un crimine contro l’umanità secondo la Convenzione di Istanbul recentemente ratificata dall’Unione Europea. Un crimine di cui nessuna di noi donne può ritenersi immune, senza distinzione di ceto sociale e grado di istruzione, tutte noi possiamo rimanere vittime di violenza di genere, basta incontrare nel nostro cammino un uomo accecato dal possesso, non in pace con se stesso e una tragedia può consumarsi all’improvviso, dietro l’angolo.

Uno dei modi primari e indispensabili per combattere la violenza di genere è quello di permettere a tutte le donne l’emancipazione economica, l’autodeterminazione nel mondo del lavoro affinché ogni donna possa, al primo segnale di comportamento “spia” di violenza sia psicologica che fisica, smarcarsi immediatamente dall’uomo compagno o marito, nella consapevolezza e nella certezza di non dovere dipendere economicamente dall’egemonia di quell’uomo che esprime segnali di violenza nei suoi confronti. Il primo vero modo di prevenire la violenza è non permettere alle donne la violenza economica, cioè non permettere alle donne di dipendere economicamente dall’uomo, ma concedere ad ogni donna inclusione nel mondo del lavoro che le conferirà l’autonomia finanziaria necessaria.

Ma qual è il bilancio sull’empowerment femminile in Italia oggi?

Il bilancio è negativo, non possiamo affermare che esiste una parità di genere anzi è molto lontana. Siamo nel compleanno della Legge Golfo-Mosca approvata nel giugno 2011, dopo 13 anni, l’ultimo rapporto della Consob sulla Corporate Governance delle quotate ci consegna:

  • una percentuale del 43% di donne nei board dei CdA delle quotate.

Bellissima vittoria per quanto riguarda i board dei CdA delle quotate, ci dimostra che la normativa ha funzionato bene in questi anni, ma nello stesso tempo ci consegna un quadro preoccupante e cioè una certezza, che se non vi è una normativa che obbliga all’equilibrio di genere non decolla la parità, infatti, lo stesso rapporto Consob ci indica che:

  • le amministratrici delegate sono il 2% mentre
  • le presidenti donne sono al 4%,

significa che nelle stesse società destinatarie della Legge Golfo-Mosca dal momento che la normativa non è destinata alle deleghe queste non decollano come percentuale.

Allora, nel 2023 è grave pensare che ancora non esiste il cambio culturale tanto auspicato che avrebbe dovuto indurre la governance a scegliere d’investire in parità di genere volontariamente, di scegliere la valorizzazione dei talenti femminili in azienda senza nessuna normativa che lo imponga. Ancora, oggi, è chiaro, quindi, un messaggio se non vi sono normative che prevedono gender balance nelle aziende spontaneamente poco si muove.

Le grandi aziende sono soggette all’obbligo della DNF (Dichiarazione non Finanziaria) definito anche Bilancio di Sostenibilità nel quale annualmente alla luce di una normativa europea, in virtù della sostenibilità e quindi sempre alla luce di un obbligo normativo devono rendere pubblici anche i dati e le politiche di genere. Anche se non sempre nelle DNF ritroviamo realmente le politiche di genere, diciamo a questo riguardo che l’equilibrio di genere sia pure rientrando nei criteri ESG della sostenibilità viene delle volte solo proclamata intenzione della declinazione dell’equilibrio di genere come sviluppo sostenibile, ma di fatto poco attuata con contenuti reali atti a rimuovere il gender gap e quindi poco accompagnato da provvedimenti reali al conseguimento dello sviluppo sostenibile inteso come realizzazione della parità di genere aziendale. Dal 2026 l’obbligo della DNF verrà esteso a tutte le Imprese, anche le medie.

In ausilio è arrivata dallo scorso anno un altra normativa che sta stimolando il decollo dell’equilibrio di genere che è quella della Certificazione della parità di genere che al contrario della Legge Golfo- Mosca non è obbligatoria, ma è su base volontaria, ma dal momento che è previsto un meccanismo di premialità nei bandi, negli appalti e una decontribuzione, dal momento che gli stakeholders sono molto attenti alle aziende che investono in parità, soprattutto quelli stranieri, perché la considerano fortemente espressione di attuazione dello sviluppo sostenibile, allora molte aziende spinte dalla premialità e dal maggiore risultato che catalizzano in competitività stanno rincorrendo a certificarsi. Quindi, ancora una volta, è stata necessaria un’altra normativa per l’equilibrio di genere. La normativa sulla Certificazione tocca tutti i settori dell’azienda, non solo i board come la legge Golfo-Mosca, attraverso 6 KPI che prevedono delle percentuali che dovranno totalizzare un determinato score di risultato senza il quale l’azienda non supera l’esame certificazione da parte dell’Ente certificatore. Importante, perché attraverso i 6 KPI l’azienda che sceglierà di certificarsi dovrà creare un documento sulle politiche di genere, dovrà renderlo pubblico e dovrà creare un vero e proprio sistema di strategia della parità di genere aziendale come vera espressione della compliance integrata, atto a soddisfare la cultura e strategia, la governance, i processi HR, l’opportunità di crescita e inclusione, la parità retributiva, la tutela genitoriale intesa come conciliazione lavoro-donna, ma anche dovrà essere soddisfatto un apparato aziendale posto in essere per prevenzione delle discriminazioni e molestie. Quindi con la normativa sulla Certificazione di genere le politiche di genere diventano un asset nel quale l’azienda dovrà scegliere d’investire, infatti, il sistema di strategia deve contenere la previsione di un capitolo di budget stanziato nell’esercizio di bilancio dedicato proprio agli investimenti in parità, quindi budget dedicato:

  • alla progressione delle carriere,
  • ai corsi di formazione aziendale in parità di genere, peraltro obbligatoria per le aziende che vorranno certificarsi, in quanto requisito richiesto,
  • ma anche, investimenti in welfare aziendale cioè tutti quei provvedimenti che mirano alla conciliazione lavoro-maternità, lavoro-famiglia per permettere alle donne di non fare una scelta tra madre o lavoratrice, ma rimanere incluse nella vita aziendale conciliando la famiglia e la progressione delle carriere.

L’azienda che sceglie di certificarsi dovrà intervenire in un sistema strutturale nel quale si impegna con provvedimenti da realizzare nell’arco dei tre anni per lo sviluppo della parità e la realizzazione dei provvedimenti e gli impegni indicati saranno monitorati nei tre anni successivi. Sarà monitorato tale impegno dalle verifiche degli enti che hanno rilasciato la certificazione e dalle consigliere di parità territoriali alle quali la legge ha conferito un ruolo importante in quanto è previsto un obbligo da parte delle aziende certificate di comunicare tale informativa.

Le considerazioni appena esposte dimostrano come le normative ancora oggi sono necessarie come strumento per consentire lo sviluppo della parità. Recentemente sono state approvate due importanti Direttive U.E una sulle quote di genere nei CdA delle quotate e una sull’obbligo della parità salariale. Due importanti normative europee che saranno strumento per il cammino dell’equilibrio di genere. Dovranno essere recepite entro 2026. Quindi i prossimi tre anni saranno anni nei quali il parlamento italiano dovrà recepire queste importanti normative europee. Vedremo come verranno recepite, anche qui si configureranno alla luce del dettato europeo scenari importanti che tracceranno una strada diversa fino ad ora non enucleata per il superamento del gender gap.
La realizzazione dell’empowerment femminile produrrà la realizzazione dell’eliminazione di molte discriminazioni, fino a quando questo messaggio culturale e sociale non verrà recepito dobbiamo appoggiarci alle stampelle fornite dalle normative senza le quali fino ad oggi non ci sarebbe stato nessun cammino.

Questa settimana con la Fondazione Centesimus Annus Pro-Pontefice, in occasione del trentesimo della Fondazione, siamo stati ricevuti in udienza dal Santo Padre, tralascio l’emozione personale che si prova incontrando gli occhi Santi di Papa Francesco, ma quello che vorrei ricordare come Sua Santità in occasione della presentazione del volume curato dalla Fondazione Centesimus e dalla Strategic Alliance of Catholic Research Universities intitolato “Più leadership femminile per un mondo migliore. Il prendersi cura come motore della nostra casa comune” ha indicato tra l’altro la necessità di dare spazio all’azione delle donne naturalmente e potentemente sensibile e orientata alla tutela della vita in ogni stato, età, condizione. Fa molto riflettere questo pensiero di Papa Francesco perché il concetto di “dare spazio” all’azione della donna significa permettere alle donne di sviluppare le innumerevole potenzialità nella realizzazione dei talenti nel rispetto della piena inclusività senza che necessariamente debba essere un obbligo oppure una previsione normativa che deve indicare la strada, bensì dovrebbe essere il senso etico-culturale che in pieno progresso dovrebbe ormai essere immanente sia nella governance privata che pubblica se si vuole tendere ad un pieno raggiungimento dello sviluppo sostenibile.



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