Investmenti Esteri

Dalla Golden Share ai Golden Powers: il controllo degli investimenti esteri

4 marzo 2020

di Francesco SALERNO

LA DISCIPLINA ITALIANA IN TEMA DI CONTROLLO DEGLI INVESTIMENTI DIRETTI ESTERI: UNA BUONA BASE PER L’ATTUAZIONE DEL REGOLAMENTO (UE) 2019/452(1)

1. Quando, a partire dagli anni ottanta, numerosi paesi europei hanno intrapreso politiche di privatizzazione delle imprese pubbliche, i processi di dismissione sono stati nella maggior parte dei casi accompagnati da cautele volte ad escludere il rischio di scalate ostili da parte di investitori stranieri.

Il primo ordinamento ad essersi mosso in questo senso è stato il Regno Unito, il quale – col dichiarato intento di impedire non voluti cambiamenti nel governo delle società privatizzate – realizzò un meccanismo di controllo statale sulle imprese pubbliche privatizzate, denominato golden share, consistente nell’introduzione di clausole statutarie attributive di poteri speciali all’autorità governativa.

Le modalità di esercizio di questi poteri sulle società privatizzare differirono da caso a caso, per quanto fosse possibile distinguere due fondamentali tipologie di golden share:

(a) la built in majority, con la quale si riconosceva all’azionista pubblico un voto in più rispetto alla totalità delle azioni in mano privata, così garantendo un penetrante intervento nelle vicende gestorie delle società privatizzate, e

(b) la relevant person, volta ad assicurare il rispetto di limiti nel possesso di pacchetti azionari, con la possibilità di instaurare un contraddittorio nei confronti dei detentori di partecipazioni eccedenti determinate soglie al cui esito diveniva possibile procedere alla cessazione coattiva delle partecipazioni.

Analoghi strumenti societari vennero adottati in Francia, dove l’istituto dell’action specifique attribuì al governo poteri affini a quelli della golden share anglosassone. Particolari previsioni statutarie vennero nel frattempo introdotte in altri ordinamenti, ad esempio nella legislazione portoghese e belga. Ed analoghi interventi furono assunti, tra l’altro, in Italia, ove in particolar modo toccò alla legge 474/1994 stabilire che, prima della dismissione del pubblico controllo sulle società operanti in taluni settori (fonti energetiche, trasporti, difesa, telecomunicazioni e altri pubblici servizi), le società interessate avrebbero dovuto attribuire poteri speciali al Governo, a tal fine introducendo nello statuto apposite clausole.

Le regole sulla golden share riservavano però ampi margini di discrezionalità agli interventi statuali, e per questa ragione andarono incontro a critiche, soprattutto da parte della Corte di giustizia europea, la cui giurisprudenza in più casi ne mise in discussione la conformità ai principi dell’Unione sanciti dall’art. 207 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE)(3) (che rimette la materia degli investimenti esteri diretti alla competenza esclusiva dell’Unione) e dagli artt. 63 e 65 TFUE (che a loro volta vietano restrizioni ai movimenti di capitali, se non per ragioni di ordine pubblico e di sicurezza).

2. Anche al fine di superare queste critiche della Corte di giustizia, diversi Paesi dell’Unione si sono quindi cimentati nel sostituire la disciplina della golden share con nuove regole, finalizzate anch’esse al controllo degli investimenti in tutta una serie di settori, ad iniziare dalla difesa, la sicurezza e le infrastrutture critiche e strategiche. Per quanto riguarda l’Italia queste nuove regole, cui per assonanza terminologica al sistema del golden share è stato dato il nome di golden powers, sono state in particolar modo introdotte dal d.l. 15 marzo 2012, n. 21(4), successivamente integrato dalla l. 4 dicembre 2017, n. 172(5), e dal d.l. 25 marzo 2019, n. 22(6).

La disciplina italiana in tema di golden powers, in estrema sintesi, attribuisce allo Stato il potere di controllare le operazioni di investimento finalizzate all’acquisto del controllo di imprese operanti in settori strategici, consentendo in pratica all’autorità governativa di vietare talune operazioni societarie (fusioni, scissioni, trasferimenti di azienda o di rami di azienda, modifiche dell’oggetto sociale, cambi di controllo in genere, ecc.) nonché di opporsi all’ingresso in società di soci sgraditi. A differenza di altre legislazioni, che non specificano a sufficienza l’ambito di applicazione dei poteri governativi, alla legislazione italiana va il merito di aver definito esattamente le attività “strategiche” relativamente alle quali i golden powers possono essere esercitati, come pure va il merito di aver delimitato l’intervento del governo italiano ai soli casi di investimenti diretti esteri in grado di rappresentare una «minaccia di grave pregiudizio» per gli interessi nazionali. Solo al ricorrere di ben delineate condizioni il governo italiano ha infatti il diritto di intervenire, in un termine peraltro delimitato a soli 15 giorni dal decorrere di una comunicazione (alla Presidenza del consiglio) da parte dei soggetti economici interessati. L’assenza di provvedimenti da parte del Governo nel predetto termine assurge a valore di silenzio-assenso, consentendo all’investitore di portare a termine l’operazione, all’esito quindi di un procedimento sufficiente snello ed in grado di concludersi in tempi tutto sommato ragionevoli.

3. In questa materia, in data 19 marzo 2019 è intervenuto il Regolamento (UE) 2019/452, con il quale il Parlamento ed il Consiglio europeo – nel proposito di conciliare l’interesse alla libera circolazione dei capitali con il diritto degli Stati membri al controllo degli investimenti diretti stranieri – hanno delineato un quadro generale a livello europeo per il controllo degli investimenti esteri per motivi di sicurezza e di ordine pubblico.

Il Regolamento (UE) 2019/452, in particolar modo, attribuisce a ciascuno Stato membro il diritto di avvalersi di strumenti di generale applicazione volti a definire:

  • i termini,
  • le condizioni e
  • le procedure per valutare, limitare e sottoporre a condizione, gli investimenti esteri diretti.

Di questi strumenti, che definisce strumenti di controllo, il Regolamento consente in particolar modo il “mantenimento” (qualora, come nel caso dell’Italia, già adottati), la “modifica” ovvero la “adozione”, premurandosi di delineare un comune contesto di riferimento. Con queste finalità, il Regolamento ha quindi definito le preferibili connotazioni delle regole e procedure di controllo, stabilendo che le stesse devono tra l’altro:

(i) risultare trasparenti e non discriminatorie,

(ii) prevedere termini pertinenti,

(iii) stabilire nel modo più puntuale possibile le circostanze che danno luogo al controllo e, in ogni caso,

(iv) consentire agli investitori esteri ed alle imprese interessate la possibilità di presentare ricorso contro le decisioni assunte.

Con queste previsioni, in pratica, il Regolamento ha cercato di garantire «la certezza del diritto per quanto riguarda i meccanismi di controllo» sugli investimenti esteri diretti nell’Unione nonché di «assicurare il coordinamento e la cooperazione a livello di Unione», al fine di conciliare le esigenze degli Stati membri con gli interessi degli investitori esteri, soprattutto in termini di prevedibilità e di verificabilità delle decisioni assunte.

4. Analogamente agli altri Paesi dell’Unione europea anche l’Italia dovrebbe a questo punto uniformare la propria regolamentazione ai nuovi principi comunitari.

In questa occasione, come desumibile dalla sopra riportata sintesi, la disciplina italiana sembrerebbe tuttavia sufficientemente pronta, mostrando difatti le regole italiane sui golden powers adeguate premesse per una compiuta integrazione con le regole europee. Tanto da non potersi neppure escludere che, quale base normativa forse tra le più avanzate, possa addirittura assurgere a modello per la regolamentazione che i Paesi dell’Unione dovranno adottare in materia.

 

Intervento di Francesco SALERNO, Avvocato, è partner responsabile del settore legale di Studio Associato (KPMG)

 


Per approfondimenti, consultare i seguenti link e/o riferimenti:

(1)   Regolamento UE 2019/452  –  Controllo degli Investimenti esteri diretti nell’Unione

(2)   Legge 474/1994 – Dismissioni di partecipazioni dello Stato

(3)   Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE)

(4)   Decreto Legge 15 marzo 2012,  n. 21

(5)   Legge 4 dicembre 2017,  n. 172

(6)   Decreto Legge 25 marzo 2019,  n. 22

 



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