Revenue based Financing

Un nuovo modo di finanziare le imprese: La Revenue Based Financing

5 settembre 2022

di Nunzia RUSSO

Tanti sono i modi per finanziare un’impresa e in particolare una startup, alternativi al normale autofinanziamento, per citare quelli più famosi oltre i classici Finanziamenti bancari abbiamo i Business Angel, il Crowdfunding, il Venture Capital e il Corporate Venture Capital.

A seconda della fase della vita della startup è consigliabile proseguire seguendo un metodo o un altro per i vantaggi e le peculiarità che ognuno di essi comporta.

Il timing giusto e la scelta corretta sono la chiave per far crescere o perire una startup in tempi brevi e rapidissimi.

Consigliabile il Business Angel quando l’impresa è già formata, strutturata e solida perché con un diretto accesso ai capitali degli imprenditori si può usufruire velocemente del loro network e delle loro competenze.
Mentre i Business Angel hanno capitale limitato da mettere a disposizione, più possibilità economiche si hanno con il Venture Capital. Ma d’altro lato, la Startup spesso ricorrendo a questo sistema perde il controllo e la gestione della sua stessa azienda.

Il Crowdfunding, a cui ho dedicato un articolo(1) proprio su questa piattaforma, è il “finanziamento collettivo” tramite piattaforme online consigliabili sia in una fase inziale sia in una fase avanzata con un nuovo progetto o ristrutturazione da realizzare.

Dallo scorso anno inoltre, sentiamo discutere e prender piede anche a un’altra fonte di finanziamento di recente introduzione in Italia che è il Revenue Based Financing (RBF).
Quest’ultimo termine indica un nuovo strumento di rimborso del capitale basato sulle entrate/vendite lorde della startup o dell’impresa in cui si è investito. Il denaro investito verrà ripagato come percentuale dei ricavi futuri, il che significa che se i ricavi faticano ad arrivare l’azienda avrà più tempo per ripagare il debito.

Da molti viene considerato un ibrido tra Debt Financing ed Equity Financing.
In realtà non è uno strumento nuovo ma si iniziò a parlare di “Royalty Financing” già negli anni ‘90 dal finanziere statunitense Arthur Fox.
Differisce dal finanziamento del debito perché non prevede il pagamento di interessi sul saldo in sospeso. E nello stesso tempo a differenza dei Venture Capitalist qui non si è alla ricerca di grandi rendimenti e non si entra nel capitale sociale delle aziende ma di solito si finanziano campagne di marketing o di pubblicità in genere.

Le aziende candidate per esser finanziate con questo metodo sono aziende innovative che hanno modelli di business SaaS, un marketplace o basati su abbonamenti, quindi con entrate certe e scadenzate ma anche da una stagionalità legata all’ e-commerce.
L’importo del finanziamento solitamente varia da 10.000 dollari a 10 milioni di dollari. L’approvazione del finanziamento, diversamente dalle modalità di venture, si basa quasi esclusivamente sul Business Case e sui Ricavi previsionali. Nella comunità di Venture capital (VC), le startup SaaS sono considerate redditizie quando i Customer Lifetime Value (LTV) sono sufficientemente elevati da coprire i costi di acquisizione dei clienti (CAC) e altre spese aziendali.
Questo è il sistema in cui anche Goldman Sachs lo scorso anno ha finanziato la ristrutturazione di Camp-Nou, lo stadio del Barcellona.

Ci sono tante startup che hanno ricorso a questo strumento di finanziamento per un totale di raccolta registrato a fine 2021 di 1,8 miliardi di dollari in azioni e debito in 32 round con una crescita superiore di 7 volte rispetto al 2020.

A partire da fine 2021, qualche esempio di questo modello di startup è nato anche in Italia. In questi casi, la startup fornisce capitali alle aziende europee (debt financing), senza diluizione in equity né debiti a garanzia. La startup investe tra 10mila e un milione di euro in società digitali che stanno dimostrando potenzialità di crescita e ottiene, come compenso una cifra che varia dal 5 al 10% di interessi sulla cifra prestata per investimenti nel marketing digitale.
In particolare, una fintech italo-irlandese ha lanciato il prodotto sul mercato, raggiungendo un valore di portfolio superiore ai nove milioni di euro e finanziando oltre 30 aziende con fatturato compreso tra i 200mila e un milione di euro in poco più di sei mesi. Nel frattempo, le imprese supportate sono cresciute, in media, del 216% successivamente al primo investimento.

Inutile dire che i driver principali di remunerazione per aziende che svolgono RBF sono:

  • Massimizzare la velocità di rimborso, insieme all’ accuratezza di distribuzione del capitale
  • Concentrarsi su servizi aggiuntivi

Ci sono aziende che puntano sull’una o sull’altra a seconda della propria strategia di business.

In Europa il più grande player europeo è Capchase che ha annunciato come ultima novità un conto di deposito, chiamato “Capchase Earn”, che garantisce un 3% sul capitale inattivo, molto più alto della media dei valori di mercato.

Gli RBF aggirano il limite del prestito alle startup chiedendo alle aziende da finanziare di accedere a vari punti dati come la piattaforma che utilizzano per i pagamenti o il loro account Google Analytics; quindi utilizzano i propri algoritmi, spesso basati sull’intelligenza artificiale, per sottoscrivere i prestiti.
I risultati finora riscontrati ci dicono che l’ RBF si sta rivelando un’ottima alternativa, dove applicabile, alle tradizionali e note forme di finanziamento.

 


Per approfondimenti, consultare i seguenti link e/o riferimenti:

(1)   Cfr. N.  Russo (2019), “Crowdfunding: Uno sguardo sullo strumento di finanza alternativa di grande successo”; Risk & Compliance Platform Europe; www.riskcompliance.it

 



Lascia un Commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono segnati con *