di Marta VALENTINI
In questi ultimi anni il mondo dello sport si sta sempre più orientando verso una graduale e maggiore promozione dell’integrità, della trasparenza e del rispetto dei diritti fondamentali, incentivando un ambiente quanto più possibile sicuro, equo e privo di ogni forma di abuso, violenza e discriminazione.
Lo stimolo, almeno a livello nazionale, è rappresentato dall’art. 16 del d.lgs. 39/2021 che ha introdotto l’obbligo per le Associazioni e Società Sportive professionistiche e dilettantistiche (di seguito solo “ASs”) di adottare Modelli e Codici di Condotta per la tutela dei minori e la prevenzione delle molestie, della violenza di genere e di ogni altra discriminazione (c.d. Modelli e Codici di Condotta Safeguarding), conformi alle Linee Guida emanate sul tema dai rispettivi Enti di affiliazione, quali le Federazioni Sportive Nazionali, le Discipline Sportive Associate, gli Enti di Promozione sportiva e le Associazioni benemerite(1).
Entro il prossimo 31 dicembre, le ASs dovranno inoltre individuare una specifica figura di controllo – il c.d. Responsabile contro abusi, violenze e discriminazioni (di seguito anche solo “Responsabile Safeguarding” o “Responsabile”) – indicando nei Modelli anche i relativi requisiti di nomina, le funzioni e le responsabilità(2).
Tanto richiesto, né il Legislatore del 2021, né il C.O.N.I. (intervenuto in materia con delibera n. 255 del 25 luglio 2023) hanno tuttavia fornito, al netto di qualche indicazione di massima, alcuna specifica circa la corretta configurazione del Responsabile. Una decisione che, se da un lato ha il pregio di lasciare ampia autonomia alle ASs nell’individuare le misure di prevenzione ritenute più idonee, dall’altro lato può suscitare dubbi e perplessità, soprattutto in seno a quelle organizzazioni meno avvezze a trattare di sistemi di gestione e controllo del rischio.
Considerata la laconicità del dato normativo, il presente articolo si pone l’obiettivo di fornire un contributo auspicabilmente utile ad orientare e guidare le singole organizzazioni nella predisposizione del proprio sistema safeguarding, concentrandosi in particolare su quelle che possono essere le funzioni e le responsabilità della relativa figura di controllo.
I requisiti, le tempistiche e le modalità di nomina del Responsabile sono invece già stati trattati in una precedente pubblicazione, alla quale si rinvia(3).
Funzioni del Responsabile Safeguarding
I “Principi fondamentali per la prevenzione e il contrasto dei fenomeni di abuso, violenza e discriminazione” del C.O.N.I.(4) (di seguito solo “Principi Fondamentali”) non individuano direttamente i poteri e i compiti del Responsabile Safeguarding, ma si limitano a rinviare al contenuto del Modello per identificare le funzioni a questo attribuite.
Secondo il C.O.N.I., i Modelli devono innanzitutto:
- prevedere “misure idonee a garantire la trasmissione delle informazioni ai Responsabili”(5)e l’obbligo a carico di tutti i tesserati, i dirigenti sportivi, i tecnici e gli atleti di “segnalare senza indugio al Responsabile … situazioni, anche potenziali, che espongano sé o altri a pregiudizio, pericolo, timore o disagio” (sistema informativo e di segnalazione)(6);
- garantire al Responsabile l’accesso “alle informazioni e alle strutture sportive, anche mediante audizioni e ispezioni senza preavviso, nonché favorendo la collaborazione dei tesserati e di tutti coloro che partecipano con qualsiasi funzione o titolo all’attività sportiva” (poteri ispettivi)(7).
In buona sostanza, perché possa vigilare sulla corretta attuazione del sistema safeguarding, secondo il C.O.N.I. è necessario che il Responsabile sia messo in condizione di venire a conoscenza e di investigare tutti i fatti e le circostanze rilevanti. In ottica integrata, le ASs che dovessero aver già adottato un proprio sistema di segnalazione whistleblowing ai sensi del d.lgs. 24/2023 (adempimento obbligatorio per tutte le realtà dotate di un Modello di prevenzione dei reati, exd.lgs. 231/2001) potranno farvi riferimento anche ai fini della segnalazione delle violazioni safeguarding. In particolare le ASs:
- potranno usare i canali interni di segnalazione whistleblowing, già configurati in modo da garantire la gestione tempestiva, efficace e riservata delle segnalazioni (requisiti richiesti anche per il sistema di segnalazione safeguarding(8));
- dovranno implementare la procedura whistleblowing prevedendo, come stabilito dalla normativa safeguarding: i) la possibilità di segnalare fenomeni abusivi, violenti e discriminatori e/o violazioni del Modello e del Codice di condotta; ii) apposite misure di prevenzione di “vittimizzazione secondaria” dei segnalanti in buona fede e degli eventuali testimoni(9); iii) i rapporti e i flussi informativi tra Responsabile Safeguarding e Gestore del canale whistleblowing (due ruoli che, ad opinione della scrivente, possono anche coincidere nello stesso soggetto, se competente in entrambe le materie)(10).
In considerazione del ruolo e delle competenze specialistiche, può inoltre essere opportuno demandare al Responsabile Safeguarding lo svolgimento di ulteriori funzioni che i Principi Fondamentali richiedono di prevedere nei Modelli, ossia:
- formulare all’organo amministrativo le proposte di aggiornamento del Modello e del Codice di Condotta, tenendo anche conto delle caratteristiche e dell’organizzazione dell’ASs e dell’attività sportiva praticata;
- valutare annualmente le misure del Modello e del Codice di Condotta, sviluppando, sulla base di tale valutazione, un piano d’azione da sottoporre all’organo amministrativo al fine di risolvere le criticità e le anomalie eventualmente riscontrate e monitorandone poi il relativo stato di avanzamento(11);
- coordinarsi con il Responsabile federale per le politiche di safeguarding (vale a dire l’analoga figura di controllo in seno all’Ente di affiliazione), anche ai fini del recepimento e dell’attuazione delle relative raccomandazioni;
- segnalare al Responsabile Safeguarding dell’Ente di Affiliazione condotte rilevanti e fornire allo stesso ogni informazione o documentazione richiesta;
- monitorare/provvedere all’adeguata diffusione dei materiali informativi finalizzati alla sensibilizzazione e alla prevenzione in ambito safeguarding;
- promuovere la formazione di lavoratori, collaboratori e volontari che, a qualsiasi titolo e ruolo, sono coinvolti nell’attività sportiva e sono a contatto con i tesserati;
- adottare ogni forma di sensibilizzazione ritenuta opportuna al fine di prevenire e contrastare fenomeni abusivi, violenti e discriminatori;
- suggerire alle funzioni competenti di adottare le opportune iniziative, anche con carattere d’urgenza (c.d. “quick-response”), per prevenire e contrastare all’interno della ASs ogni forma di abuso, violenza e discriminazione. Come specificato nei Principi Fondamentali, tali misure devono rispettare il principio di proporzionalità, tenendo in particolare considerazione la natura e la gravità delle violazioni, il numero delle violazioni, ovvero qualsiasi altra circostanza rilevante (quali la minore età, le condizioni o menomazioni psico-fisiche della vittima), ferme restando le procedure e le sanzioni previste dal Codice di Giustizia Sportiva(12).
Profili di responsabilità del Responsabile Safeguarding
La scelta di configurare il Responsabile Safeguarding come un soggetto indipendente e dotato di autonomi poteri investigativi ricalca, a ben vedere, quanto previsto dal d.lgs. 231/2001 (di seguito anche solo “Decreto 231”) con riferimento all’Organismo di Vigilanza.
Non si può infatti non notare l’analogia con i principi sanciti dall’art. 6, comma 1, lett. b) del Decreto 231, secondo cui il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei Modelli di prevenzione dei reati e di curarne l’aggiornamento deve essere affidato ad un organismo dell’ente dotato di “autonomi poteri di iniziativa e controllo”.
Una correlazione che sembra trovare conferma nello stesso art. 16 del d.lgs. 39/2021 il quale prescrive, al comma 4, che le ASs già dotate di un Modello 231 lo integrino con i Modelli e i Codici di Condotta safeguarding.
Se questo è vero, allora i profili di responsabilità delle due figure di controllo possono essere contestualizzati in maniera analoga e, quindi, il Responsabile può rispondere, al pari dell’OdV, per responsabilità civile:
- contrattuale nei confronti dell’ASs per cui opera, qualora abbia agito in violazione degli obblighi contrattuali assunti o non abbia adempimento dell’obbligo di diligenza nell’esercizio delle proprie mansioni, come previsto dall’art. 1176, comma 2, c.c.;
- extracontrattuale, ai sensi degli artt. 2043 e ss. c.c., laddove le sue azioni o omissioni, nel contesto delle funzioni di prevenzione e vigilanza svolte, causino un danno ingiusto a terzi, siano essi interni (ad es. dipendenti o atleti) ovvero esterni all’organizzazione (ad es. sostenitori).
Quanto ai possibili profili di responsabilità penale, il sistema 231 guarda ai soli reati presupposto commessi nell’interesse e a vantaggio dell’ente dai soggetti posti in posizione apicale e/o subordinata, con riferimento ai quali la responsabilità dei membri dell’OdV può emergere in relazione alle modalità con cui esercitano le proprie funzioni di vigilanza.
In particolare, i singoli membri dell’OdV potranno rispondere a titolo di concorso/cooperazione colposa (ex art. 110 e 113 c.p.) qualora abbiano prestato un contributo materiale o morale alla realizzazione del reato presupposto. Non è invece legittimo contestare il reato per omesso controllo (secondo lo schema del c.d. “reato omissivo improprio”), non gravando sull’OdV alcun obbligo di impedire l’evento criminoso.
Considerati i richiamati profili di analogia tra sistema 231 e safeguarding, tali considerazioni devono, ad opinione di chi scrive, poter valere anche per la figura di controllo del sistema safeguarding, a maggior ragione se sfornito di poteri decisori/di intervento.
Uscendo dallo specifico perimetro della 231, il Responsabile contro abusi, violenze e discriminazioni potrà ovviamente essere chiamato a rispondere personalmente della violazione di altre norme penali, come ad esempio per i reati in materia di illecito trattamento dei dati personali.
Con specifico riferimento al diritto sportivo, il Responsabile Safeguarding potrà essere accusato delle infrazioni specificatamente previste dagli Enti di affiliazione nei propri Regolamenti Safeguarding. Al riguardo si richiama, a titolo esemplificativo, il Regolamento emanato dalla Federazione Italiana Giuoco Calcio – F.I.G.C. il 27 agosto u.s. che, rinviando al nuovo art. 28 bis del Codice di Giustizia Sportiva, sanziona con la pena dell’inibizione non inferiore a un mese il Responsabile che non abbia adempiuto ai propri obblighi.
LEGGI QUI l’articolo precedente 1/2, Responsabile Safeguarding: requisiti, tempistiche e nomina
Intervento di Marta VALENTINI, Avvocato, Studio Legale LP Avvocati
LP Avvocati è uno studio legale multidisciplinare di Roma.
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Per approfondimenti, consultare i seguenti link e/o riferimenti:
(1) Per un’introduzione alla normativa safeguarding e i relativi obblighi per le ASs, v. in questa stessa rivista M. Valentini, “Riforma dello sport: nuovi Modelli e Codici di condotta per la safeguarding in ottica di compliance integrata”, 24 aprile 2024.
(2) Diversamente dai Modelli e dai Codici di Condotta, il riferimento normativo al Responsabile Safeguarding non è nel d.lgs. 39/2021, ma nel d.lgs. 36/2021, che è uno degli altri cinque decreti attraverso cui il Governo ha attuato la c.d. “riforma dello sport”, varata con la L. 86/2019. L’art. 33, comma 6, del d.lgs. 36/2021 (Sicurezza dei lavoratori sportivi e dei minori) richiede infatti alle ASs “la designazione di un responsabile della protezione dei minori, allo scopo, tra l’altro, della lotta ad ogni tipo di abuso e di violenza su di essi e della protezione dell’integrità fisica e morale dei giovani sportivi”. Il perimetro di azione era, in realtà, solo quello della tutela dei minori, poi ampliato – dalla lettura in combinato disposto con l’art. 16 del d.lgs. 39/2021 – alla prevenzione da ogni forma di molestia, violenza di genere e discriminazione dall’Osservatorio permanente per le politiche di safeguarding”, istituito dal C.O.N.I. con delibera n. 255 del 25 luglio 2023 (per un approfondimento sull’Osservatorio, v. infra nota 4).
(3) V. in questa stessa rivista M. Valentini, “Responsabile Safeguarding: requisiti, tempistiche e modalità di nomina”, 4 settembre 2024.
(4) La Giunta nazionale del C.O.N.I., con delibera n. 255 del 25 luglio 2023, ha istituito il proprio “Osservatorio permanente per le politiche di safeguarding”, che ha a sua volta emanato i “Principi fondamentali per la prevenzione e il contrasto dei fenomeni di abuso, violenza e discriminazione”, in cui, tra le altre cose, si fa espresso riferimento al Responsabile contro abusi, violenze e discriminazioni a favore della tutela dei diritti di tutti i tesserati.
(5) Art. 5, comma 2 dei Principi Fondamentali. Un esempio di informativa al Responsabile esplicitata all’art. 8, comma 1, lett. f) dei Principi Fondamentali è quello relativo all’attivazione da parte di medici sportivi e operatori sanitari di protocolli di assistenza psicologica o psicoterapeutica ai tesserati in caso di riscontrati segni e indicatori di lesioni, violenze e abusi.
(6) Artt. 12, 13 e 14 dei Principi Fondamentali.
(7) Art. 5, comma 2, dei Principi Fondamentali.
(8) Cfr. art. 3, comma 3, lett. e) e art. 7, comma 1, lett. d) dei Principi Fondamentali.
(9) L’art. 7, comma 1, lett. e) dei Principi Fondamentali richiede “l’adozione di apposite misure che prevengano qualsivoglia forma di vittimizzazione secondaria dei tesserati che abbiano in buona fede: i. presentato una denuncia o una segnalazione; ii. manifestato l’intenzione di presentare una denuncia o una segnalazione; iii. assistito o sostenuto un altro tesserato nel presentare una denuncia o una segnalazione; iv. reso testimonianza o audizione in procedimenti in materia di abusi, violenze o discriminazioni; v. intrapreso qualsiasi altra azione o iniziativa relativa o inerente alle politiche di safeguarding”. Il concetto di “vittimizzazione secondaria” si riferisce al danno ulteriore che una vittima di un illecito o di un trauma subisce a causa delle reazioni o del comportamento di coloro che dovrebbero offrire supporto. Questo può includere colpevolizzazione della vittima, mancanza di sensibilità, trattamenti inappropriati o insensibili e la percezione della vittima di non essere creduta e/o rispettata. In altre parole, è il danno aggiuntivo causato dalle istituzioni o dalle persone che dovrebbero aiutare la vittima, ma che invece ne peggiorano la sofferenza.
Quello della “vittimizzazione secondaria” è un concetto in buona sostanza assimilabile a quello di “ritorsione” definito dall’art. 2, lett. m), del d.lgs. 24/2023 sul whistleblowing come “qualsiasi comportamento, atto od omissione, anche solo tentato o minacciato, posto in essere in ragione della segnalazione … e che provoca o può provocare alla persona segnalante … un danno ingiusto”. L’art. 19 disciplina poi la protezione dalle ritorsioni che, diversamente da quanto previsto dalla normativa safeguarding per i fenomeni di “vittimizzazione secondaria”, non si applica espressamente anche ai testimoni.
(10) Come il Responsabile Safeguarding, anche il Gestore dei canali interni di segnalazione deve essere autonomo e indipendente, cfr. art. 4, comma 2 del d.lgs. 24/2023 e considerando 56 della Direttiva UE 2019/1937.
(11) Tra le possibili misure rientrano, ad es., le raccomandazioni all’organo amministrativo ai fini dell’aggiornamento del Modello e del Codice di Condotta (punto a) dell’elenco).
(12) Sono misure urgenti, a titolo esemplificativo e non esaustivo: la sospensione dall’attività del potenziale trasgressore; l’immediata cancellazione dai dispositivi e oscuramento da eventuali piattaforme social di contenuti ritenuti offensivi (ad es. immagini di tesserati, specie se minori, non completamente vestiti).