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La certificazione di parità di genere diventerà Compliance

16 maggio 2022

di Florinda SCICOLONE

Per la Corporate Governance l’empowerment women diventerà presto importante materia di compliance a cui le aziende dovranno adeguarsi per non vedersi il rischio di non eccellere in competitività ed in premialità nella partecipazione dei bandi.

Ad elevare l’empowerment women sempre di più nell’alveo della materia compliance è lo strumento della certificazione di parità di genere, prevista dal PNRR, normata con la legge 162/2021(1) che ha modificato il Codice per le pari opportunità e con la legge di Bilancio 2022.

Anche se attualmente la certificazione di parità non è assoggetta ad un meccanismo obbligatorio, bensì, soltanto ad un meccanismo su base volontaria a fronte di un effetto premiale che permetterà alle Imprese che ne saranno in possesso di accedere ad una serie di benefici, tra i quali:

  • un importante sgravio contributivo parziale e,
  • una premialità nella partecipazione a bandi italiani ed europei.

Ma coloro i quali ci occupiamo di Corporate Compliance in Italia da tanti anni sappiamo che l’esempio massimo di normativa compliance è data proprio da una normativa su base volontaria, mi riferisco al D.lgs 231/01(2), dove le aziende non sono obbligate ad applicarla, nel senso che non incorrono in violazione di legge e quindi in sanzione per il solo fatto che la normativa non trovi applicazione in una governance. La Corporate Governance dalla normativa è invitata a scegliere volontariamente di porre in essere un modello organizzativo al fine precipuo di prevenire la salvaguardia reputazionale prima e poi eventuale processuale della società, nel caso in cui nella vita d’impresa si dovessero verificare fatti patologici, ovvero l’imputazione di fattispecie criminose che rientrano nel novero del catalogo dei reati presupposto dei soggetti apicali d’impresa identificati ai sensi dell’art 5 del D.lgs 231/01.

Il Legislatore con il D.Lgs 231 ha posto come ratio legis il voler fornire l’occasione al Governo d’Impresa di scegliere l’etica, cioè di scegliere volontariamente in modo preventivo la valutazione del rischio.

Scegliere l’etica per un’impresa non si intende scegliere la morale. La morale attiene alla vita di una persona fisica, scegliere l’etica per un’ impresa significa porre in essere una scelta pragmatica nel senso proprio del termine, cioè scelta che produce risvolti positivi per la vita dell’impresa ed i risvolti positivi si identificano nel preservare e concorrere a formare il profitto.

Ecco quindi che la similitudine con la certificazione di parità di genere è assai simile, infatti, questa si potrà identificare in una normativa compliance, perché l’Impresa dal legislatore non è stata obbligata, ma anche nel caso della certificazione di parità è stata invitata a possederla, cioè è invitata anche in questa ipotesi normativa a porre in essere una scelta etica, cioè scegliere l’empowerment women, no come un mero beneficio delle donne, ma, bensì, come scelta pragmatica che produrrà risvolti positivi al profitto aziendale, perché la mancanza di questa scelta sia pure non prevederà una sanzione da violazione, ma sarà comminata da una sanzione di esclusione di un effetto di premialità nel caso di partecipazioni per l’azienda di bandi europee e nazionali e sappiamo che per la vita di un’ impresa godere di una premialità in un bando concorre enormemente a produrre profitto. Quindi, sia pure nell’accezione della volontarietà della normativa della certificazione della parità di genere, l’azienda che non porrà una scelta sostenibile, nel senso dell’acronimo ESG, ed in particolare nel criterio Social.

Per Social intendendo tutte le iniziative con impatto sociale e quindi anche la parità di genere. Se l’Impresa non sceglierà di porre un criterio S per la parità e, quindi, non sceglierà volontariamente di possedere tale certificazione correrà il rischio di vedere penalizzato indirettamente il business. La Corporate Governance conformandosi, pertanto, per utilizzare una terminologia compliance, volontariamente alla certificazione della parità porrà al riparo l’impresa dall’incorrere nel rischio di penalizzazione in competitività.

Lo scorso 16 marzo, la certificazione di parità di genere possiamo dire che ha cominciato la sua operatività con la pubblicazione delle tanto attese prime linee guida UNI/PDR 125/2022 che definiscono i requisiti per la Certificazione di Parità di Genere.

Adesso si attendono, soltanto, gli imminenti decreti attuativi che stanno per essere emanati.

In particolar modo, tali linee guida sopra citate prevedono la strutturazione e adozione di un insieme di indicatori prestazionali (KPI) che riguardano le politiche di parità di genere nelle aziende. Prevedendo il richiamo al modello di riferimento dei sistemi di gestione, la PDR UNI 125 stabilisce la misurazione, la rendicontazione e la valutazione dei dati relativi alle presenze femminili nelle organizzazioni aziendali per andare ad attribuire alle stesse aziende un livello di maturità e misurare gli auspicabili miglioramenti nel tempo.

Importante è ricordare che la novità riguarda qualsiasi settore, pertanto, sia il settore pubblico, sia il settore privato, sia il settore no profit. La certificazione, infatti, è applicabile a qualsiasi organizzazione a prescindere dalla dimensione, dalla natura e dall’attività. Le linee guida prevedono, quindi, una flessibilità nella sua reale applicazione per potere trovare operatività adattandosi nei diversi sistemi di business produttivi, sia nelle diverse dimensioni aziendali.

Che la parità di genere aziendale comincerà ad essere trattata sempre di più come materia compliance, lo conferma, un’altra importante novità che riscontriamo nel Bando -tipo n.1 dell’ANAC in tema di semplificazione per il PNRR.

L’ANAC ha inserito nel bando in questione come clausola di esclusione della gara se l’operatore economico al momento della presentazione dell’offerta, non si assume l’obbligo di riservare, in caso di aggiudicazione del contratto, una quota di assunzioni pari almeno al 30% di occupazioni al femminile.

Dopo tutto la normativa che ha posto la prima vera rivoluzione copernicana storica in tema di parità di genere aziendale ovvero la Legge Golfo-Mosca(3) che ha previsto l’introduzione delle quote del genere meno rappresentato nei cda delle quotate e partecipate è un classico importante esempio di compliance, dal momento che le aziende se non pongono l’adeguamento incorrono nella sanzione estrema alla terza diffida della decadenza dell’intero cda e la vigilanza è stato affidata sotto l’egida della Consob e tutti conosciamo il risultato storico eccellente prodotto che vede, oggi, la presenza di tali quote nelle quotate al 42%.

Pertanto, la scelta del legislatore è quella di far decollare la parità di genere aziendale emanando normative che indicano al Governo d’Impresa che la loro applicabilità conserva in ogni caso l’impresa da un rischio o per violazioni o per perdita di premialità ed in entrambi le ipotesi prevenire tale rischio indirettamente concorre a preservare il profitto.

 


Per approfondimenti e normative, consultare i seguenti link e/o riferimenti:

(1)   Legge 162/2021 per le pari opportunità in ambito lavorativo

(2)   D. Lgs. 231/2001 – Responsabilità amministrativa degli Enti

(3)   Legge 120 del 12 luglio 2011 (Legge Golfo-Mosca) sulla parita’ di accesso agli organi di amministrazione e di controllo delle società quotate in mercati regolamentati

 



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