Decreto Legge 231

Il D. Lgs. 231 /2001: scopo della normativa ed evoluzione dalle origini ai giorni nostri

27 aprile 2021

di Maurizio RUBINI

Il D.Lgs. n. 231/2001, recante la “Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica”, come noto, ha introdotto nell’ordinamento italiano la responsabilità amministrativa degli enti per reati commessi nel loro interesse o vantaggio da persone legate al soggetto giuridico da specifici rapporti normativamente previsti.

A giugno 2021 il Decreto 231 compirà 20 anni. Una lunga storia cadenzata da un continuo fiorire di reati presupposto e da indirizzi giurisprudenziali e dottrinali che ne hanno delineato l’evoluzione e la concreta applicazione da parte degli enti non senza ostacoli.

Alcune riflessioni si rendono quindi necessarie anche per via del frequente formalismo che si incontra e che finisce a volte per svilire la norma che, ad inizio del nuovo millennio, aveva rappresentato una positiva innovazione per il sistema economico ma anche per quello giuridico italiano, finalizzata inizialmente a contenere gli effetti distorsivi e perversi dei reati contro la pubblica amministrazione.

1. IL CONTESTO DI RIFERIMENTO

Analizzando il contesto europeo degli anni 2000, si capì che la maggior parte degli illeciti veniva commesso all’interno delle società, fu proprio la giurisprudenza a comprendere, in tempi non sospetti, che le persone fisiche – che di fatto commettevano l’illecito – non perseguivano il proprio interesse, bensì riconducevano uno specifico vantaggio allo stesso ente. Veniva alterato, in questo modo, il libero gioco della concorrenza del mercato e i benefici che ne derivavano da queste violazioni producevano degli effetti anche in capo ai consumatori. A tal proposito occorre considerare che l’Italia non era (come non è tutt’oggi) estranea all’illegalità di impresa, la quale, quantomeno dagli anni ‘60, si era andata intensificando sotto varie forme, dai fenomeni dei “white collar crimes”, inscindibilmente correlati al ruolo dell’impresa ed alla professionalità dei suoi amministratori, alla vera e propria criminalità degli enti, ossia ai crimini posti in essere a favore delle organizzazioni, soprattutto in ambito economico; tuttavia, rispetto a molti Paesi dell’Unione Europea, dove la responsabilità degli enti era già un dato di fatto (Danimarca, Finlandia, Francia, Irlanda, Olanda, Portogallo e Svezia) in Italia si registrava ancora una palese lacuna normativa.

L’entrata in vigore del Decreto 231(1) segnò, quindi, una tappa importante nel processo di modernizzazione del diritto penale mediante il definitivo superamento del principio societas delinquere non potest e della concezione personalistica contemplata dall’art. 27 della Costituzione(2) che rendeva impossibile punire penalmente una società. Il Decreto 231 e la preordinata Legge-delega non furono, però, un atto spontaneo dell’ordinamento italiano ma costituirono l’attuazione di un’ampia serie di atti e convenzioni internazionali ai quali il nostro paese era da tempo vincolato. Il provvedimento – come la quasi totalità dei successivi atti di modifica – è stato, quindi, un atto dovuto nei confronti dell’ordinamento comunitario, “in vista della futura creazione di un diritto penale europeo dell’economia”, tanto che in dottrina si è parlato anche di “scelta europeista coatta”. In ogni caso il Decreto 231 può essere considerato, senza ombra di dubbio, come un provvedimento determinante per il positivo adeguamento del diritto italiano al panorama comunitario, il quale peraltro si caratterizza da anni per la presenza di un ampio movimento di lotta alla corruzione internazionale e di repressione e prevenzione della criminalità che coinvolge il settore economico, fonte di sempre nuove tipologie di reati, con grande forza aggressiva.

2. I PROBLEMI GENERALI, LA FUNZIONALITÀ E LA RATIO DELLE PREVISIONI CHE SANCISONO LA RESPONSABILITÀ DELL’ENTE

Il legislatore, sin dal 2001, aveva riscontrato diversi ostacoli, di natura meramente concettuale per ciò che concerne la definizione della responsabilità dell’ente, difatti, quest’ultima è assai distante dalla nostra tradizione giuridica e dal nostro modo di pensare, ragion per cui ci era confrontati con la tradizione giuridica tedesca che già verso la fine del 1800 trapiantava questa “nuova” responsabilità nel proprio ordinamento giuridico. Da sempre, al centro delle questioni che riguardano la responsabilità dell’ente, vi è quello dell’identificazione della natura di tale responsabilità. La dottrina, sul punto, si è letteralmente divisa in tre fazioni, difatti,

  1. alcuni definiscono la responsabilità dell’ente come responsabilità “amministrativa”,
  2. altri la definiscono come responsabilità “penale”,
  3. altri ancora affermano che si tratti di un “tertium genus” che avrebbe dei punti in comune con entrambe le responsabilità.

Analizzando con attenzione i lavori preparatori dell’epoca ci si accorge che il legislatore colse un duplice aspetto della responsabilità dell’ente:

  • la finalizzazione della condotta illecita, identificabile ex ante e,
  • la materializzazione dell’iter criminis verificabile ex post, per cui il soggetto individuale, vertice dell’ente o suo sottoposto, può compiere un reato nell’interesse proprio ma determinando, anche in conseguenza del suo agire delittuoso, un vantaggio per la persona giuridica.

Per corroborare tale tesi vennero, quindi, utilizzati i due termini “interesse” e “vantaggio”, dove per interesse deve intendersi che il fatto posto in essere dalla persona fisica deve essere commesso perché la persona giuridica ha instradato, con la sua politica d’impresa, l’agente a commettere quel reato. Il termine vantaggio deve invece intendersi, secondo un’accezione oggettiva, nel senso di profitto o comunque arricchimento economico che l’ente ricava direttamente dal reato commesso dalla persona fisica, senza però escludere anche casi di vantaggio non patrimoniale.

3. IL “NUOVO” SISTEMA SANZIONATORIO

Stante la assoluta mancanza di un principio che sancisse la responsabilità degli enti e la loro punibilità con sanzioni di carattere afflittivo è stato necessario ridefinire anche il sistema sanzionatorio da applicare alle società nel caso in cui venissero rinvenuti gli elementi tipici del reato in conformità alle previsioni del Decreto 231. Tale sistema si compone di sanzioni pecuniarie e interdittive.

Lo scopo delle sanzioni amministrative è quello di colpire direttamente o indirettamente il profitto dell’ente, disincentivando la commissione di reati nell’interesse o a vantaggio dell’ente, e di incidere sulla struttura e sull’organizzazione dell’impresa in modo da favorire attività risarcitorie o riparatorie mentre l’interdizione è quell’istituto giuridico che comporta una limitazione temporanea dell’esercizio di una facoltà o di un diritto in tutto o in parte e rappresenta lo strumento elaborato dal legislatore per contrastare più efficacemente le condotte illecite all’interno dell’ente grazie al loro contenuto inibitorio.

CONCLUSIONI

L’impianto normativo voluto dal legislatore può essere definito come un contenitore che consente di essere riempito in funzione delle specifiche esigenze di business ed organizzative, dello stadio di sviluppo nonché della propensione al rischio dell’impresa. Il legislatore non poteva del resto fare altrimenti onde evitare di comprimere con eccessi prescrittivi la libertà dell’imprenditore di organizzare la propria impresa. Si è limitato quindi a:

  • identificare i reati presupposto della responsabilità amministrativa, divenuti nel tempo così numerosi – più di 160 reati ordinati in 23 gruppi – da comportare di fatto l’esposizione al rischio di tutte le attività e funzioni d’impresa;
  • indicare i criteri di imputazione (soggettivi e oggettivi) verificati i quali l’impresa è esposta al rischio di trovarsi coinvolta in un procedimento giudiziario per responsabilità amministrativa;
  • specificare le condizioni attraverso le quali l’impresa può beneficiare dell’esimente. Con il sostanziale ribaltamento dell’onere della prova. Al verificarsi di uno o più reati presupposto ed in presenza dei criteri di imputazione, la responsabilità scatta in modo quasi automatico; spetta quindi all’impresa provare la sussistenza delle condizioni (conseguenti alle proprie scelte organizzative) grazie alle quali la società è esentata dalla responsabilità.

Alla luce dei numerosi interventi che si sono succeduti negli anni, però, la novellazione per tranches successive ha “ammassato” nel catalogo dei reati 231 una serie di temi particolarmente complessi ed eterogenei con la conseguente differenziazione della portata concreta del provvedimento in relazione alle singole fattispecie delittuose; in aggiunta non sono mancate interpretazioni giurisprudenziali foriere di incertezza applicativa.

In futuro, sarebbe quindi auspicabile un riequilibrio degli assetti tra i vari protagonisti della prevenzione del rischio penale d’impresa anche al fine di incentivare sempre più l’applicazione delle norme in tema di responsabilità degli enti nonché dei cd. “compliance programs” da parte delle aziende di ogni dimensione e tipologia.

to be continued 1/3 

Questo articolo fa parte di una trilogia con cui celebriamo idealmente i 20 anni del D.Lgs. 231/2001

1. LEGGI QUI l’articolo 1/3,  Il D. Lgs. 231 /2001: scopo della normativa ed evoluzione dalle origini ai giorni nostri

2.LEGGI QUI l’articolo 2/3,  Compiti e Responsabilità nel D.Lgs. 231/01: il ruolo dell’OdV

3. LEGGI QUI l’articolo 3/3,  Il percorso della giurisprudenza nell’attuazione D. Lgs. 231: sintesi ragionata delle principali sentenze


Per approfondimenti e normative, consultare i seguenti link e/o riferimenti:

(1)   D. Lgs. 231/2001 – Responsabilità amministrativa degli Enti

(2)   Costituzione



Lascia un Commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono segnati con *