green future

ESG e Modello 231: uno strumento “etico” al servizio della sostenibilità

18 settembre 2023

di Alberto LEGNARO

I fattori ambientali, sociali e di governance (ESG, acronimo per Environmental, Social, Governance) hanno assunto un’importanza sempre maggiore negli ultimi tempi per le ricadute applicative sulle imprese.

Ambiti come quello organizzativo (organigramma, funzionigramma, poteri e deleghe), amministrativo (procedure) e contabile (sistema di rilevazione dei fatti di gestione) saranno direttamente interessati da profonde modifiche lato best practice in quanto la sostenibilità non solo risponde a logiche di efficientamento dei processi di produzione e di consumo ma, al contempo, appare imprescindibile sotto il profilo dell’affidabilità nei confronti di altre imprese, degli investitori e del sistema bancario.

Ai fini di un’efficace integrazione di tali fattori nel sistema di governance le imprese dovranno valutarne i rischi correlati tanto in ottica di compliance normativa quanto per il miglioramento della performance aziendale.

Inevitabile sotto tali profili il richiamo a normative quali:

  • le linee guida LOM (Guidelines on Loan Origination and Monitoring) in materia di concessione e monitoraggio dei prestiti, emanate dall’Autorità Bancaria Europea e vigenti a partire dal 30.06.2021, ove i fattori ESG sono espressamente menzionati in particolare agli artt. 56 “Gli enti dovrebbero incorporare i fattori ESG e i rischi ad essi associati nella loro propensione al rischio di credito, nelle politiche di gestione dei rischi e nelle politiche e procedure relative al rischio di credito, adottando un approccio olistico.” e 57 “Gli enti dovrebbero tenere conto dei rischi associati ai fattori ESG per le condizioni finanziarie dei mutuatari, e in particolare del potenziale impatto dei fattori ambientali e del cambiamento climatico, nella loro propensione al rischio di credito e nelle politiche e procedure ad esso relative. I rischi del cambiamento climatico per le performance finanziarie dei clienti possono materializzarsi principalmente sotto forma di rischi fisici, come quelli che derivano dagli effetti tangibili del cambiamento climatico, compresi i rischi di responsabilità civile per aver contribuito al cambiamento climatico stesso, o i rischi di transizione, ad esempio quelli che derivano dalla transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio e resistente ai cambiamenti climatici. Inoltre, possono verificarsi altri rischi, quali cambiamenti delle preferenze del mercato e dei consumatori e rischi legali, che potrebbero influire sull’andamento delle attività sottostanti.” rivestendo un ruolo fondamentale ai fini della valutazione della sostenibilità di un investimento, soprattutto sotto il profilo del fattore ambientale;
  • la DNF (Dichiarazione di informazioni non finanziarie), prevista dal D. Lgs. 254/2016 in attuazione della Direttiva comunitaria 2014/95/UE, vigente dal 25.01.2017, la quale ha sancito per imprese di interesse pubblico e gruppi di grandi dimensioni l’obbligo di descrivere il modello aziendale di gestione e organizzazione delle attività su temi quali quelli legati all’ambiente, sociali, attinenti al personale;
  • la Direttiva UE 2022/2464 (c.d. “Direttiva CSRD”) pubblicata il 16.12.2022 sulla Gazzetta Ufficiale UE, relativa alla rendicontazione societaria di sostenibilità, per la quale le imprese saranno tenute ad adottare un unico standard di rendicontazione ESRS (European Sustainability Reporting Standard) ove figurano 10 Topical Standards:
    • 5 ambientali ovvero cambiamento climatico, inquinamento, risorse idriche e marine, biodiversità ed ecosistemi, risorse ed economia circolare,
    • 4 sociali ovvero forza lavoro propria, lavoratori della catena del valore, comunità interessate, clienti e utenti finali,
    • 1 sulla governance: condotta aziendale,
      oltre, tra gli altri aspetti, a) a dimostrare l’impegno ad integrare obiettivi ESG nella propria strategia inserendo le informazioni necessarie idonee a comprendere l’impatto sull’andamento, sui risultati e sulla struttura del modello di business, b) a fare disclosure specificando competenze e capacità degli organi di amministrazione, gestione e controllo su quanto legato alla sostenibilità, c) a valutare nel modello di gestione dei rischi quelli relativi a questioni ambientali, d) a rendicontare l’informativa di sostenibilità considerando le informazioni sugli impatti materiali, sui rischi e sulle opportunità connesse all’intera catena del valore come risultato dell’attività di due diligence;
  • la Corporate Sustainability Due Diligence Directive (c.d. Direttiva CSDDD), in corso di approvazione, volta alla tutela dei diritti umani e degli impatti ambientali generati dalle aziende europee lungo l’intera catena del valore tramite lo sviluppo di piani di transizione per limitare l’aumento della temperatura globale come previsto dall’Accordo di Parigi. La proposta – che prevede l’obbligo di individuare i rischi, evitare, far cessare o attenuare gli effetti negativi dell’attività sui diritti umani e sull’ambiente – richiede alle imprese interessate di integrare la due diligence nelle policy aziendali e di individuare i potenziali o reali effetti negativi – prevenendo o attenuando i primi e ponendo fine o riducendo al minimo i secondi – altresì istituendo una procedura di denuncia, monitorando l’efficacia di policy e misure di due diligence anche rendendone conto pubblicamente di queste ultime;
  • il Decreto Legislativo 231 del 2001 che disciplinando la responsabilità amministrativa degli enti derivante da reato richiama l’impresa ad operare “eticamente” tramite l’adozione del Modello Organizzativo e di Gestione (c.d. Modello 231), documento che non solo definisce i principi, le regole, gli strumenti e i meccanismi di controllo dei quali l’ente si dota al fine di monitorare i rischi e prevenire la commissione dei reati presupposto previsti ma, come già detto in un precedente articolo, che “[…] Garantendo una maggiore solidità aziendale e una maggiore uniformità rispetto alle best practices italiane ed europee, offre maggiore affidabilità ai partner commerciali […] migliorando l’immagine dell’impresa”.

Con riferimento a quest’ultimo richiamo la domanda che tuttavia potrebbe sorgere spontanea è:

“Come può uno strumento nato oltre 20 anni fa rilevare in riferimento ad una tematica così recente come quella rappresentata dai fattori ESG?”

Tra i fattori ESG e il Modello 231 sussiste una stretta connessione, una serie di evidenti punti di contatto.
Difatti, l’elenco dei reati presupposto di cui al D. Lgs. 231 del 2001 annovera, a titolo di esempio:

  • reati ambientali (“Environment”);
  • reati contro la salute e sicurezza dei lavoratori (“Social”);
  • reati contro la personalità individuale (si pensi all’intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro come nel caso del caporalato) (“Social”);
  • reati tributari (“Governance”);
  • reati societari, come in tema di false comunicazioni sociali (“Governance”);
  • reati di riciclaggio e autoriciclaggio (“Governance”);
    ecc. risultando all’evidenza un’affinità con gli obiettivi previsti nell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità sottoscritto da un gran numero di Paesi membri delle Nazioni Unite.

Orbene il Modello 231, quale strumento di autoregolamentazione dell’assetto dell’ente e presidio dalla responsabilità amministrativa derivante da reato di cui al Decreto Legislativo citato, dimostra di influire sulle attività aziendali a rischio di commissione di reati presupposto – come quelli summenzionati rilevanti sotto il profilo dei fattori ESG – potendo assolvere non solo a finalità aventi carattere di prevenzione/attenuazione/eliminazione/riduzione ai minimi termini dei rischi relativi ma anche di conseguimento di obiettivi di sostenibilità confermandosi come una “scelta” responsabile, improntata alla legalità ma soprattutto espressione di un’etica imprenditoriale.

Un esempio pratico potrà chiarire meglio il concetto che si vuole esprimere.
Guardando ai Sustainable Development Goals (SDGs) dell’Agenda 2030, programma costituito da 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile inquadrati in un più ampio contesto di 169 target, traguardi come:

  • 2.4 Entro il 2030, garantire sistemi di produzione alimentare sostenibili e applicare pratiche agricole resilienti che aumentino la produttività e la produzione, che aiutino a conservare gli ecosistemi, che rafforzino la capacità di adattamento ai cambiamenti climatici, alle condizioni meteorologiche estreme, alla siccità, alle inondazioni e agli altri disastri, e che migliorino progressivamente il terreno e la qualità del suolo”,
  • 6.3 Entro il 2030, migliorare la qualità dell’acqua riducendo l’inquinamento, eliminando le pratiche di scarico non controllato e riducendo al minimo il rilascio di sostanze chimiche e materiali pericolosi, dimezzare la percentuale di acque reflue non trattate e aumentare sostanzialmente il riciclaggio e il riutilizzo sicuro a livello globale”,
  • 6.6 Entro il 2020, proteggere e ripristinare gli ecosistemi legati all’acqua, tra cui montagne, foreste, zone umide, fiumi, falde acquifere e laghi”,
  • 9.4 Entro il 2030, aggiornare le infrastrutture e ammodernare le industrie per renderle sostenibili, con maggiore efficienza delle risorse da utilizzare e una maggiore adozione di tecnologie pulite e rispettose dell’ambiente e dei processi industriali, in modo che tutti i paesi intraprendano azioni in accordo con le loro rispettive capacità”,
  • 14.1 Entro il 2025, prevenire e ridurre in modo significativo l’inquinamento marino di tutti i tipi, in particolare quello proveniente dalle attività terrestri, compresi i rifiuti marini e l’inquinamento delle acque da parte dei nutrienti”,

solo per citarne alcuni, possono essere garantiti e tutelati tramite la previsione di cui all’art. 25-undecies (Reati ambientali) del D. Lgs. 231 del 2001 che prevede pesanti sanzioni sia pecuniarie che interdittive per le imprese in caso di commissione di reati ambientali nell’interesse o a vantaggio delle stesse.

Peraltro, preme osservare come il sistema sia stato recentemente “rafforzato” dalla novella di cui al D. Lgs. 10 marzo 2023, n. 24 la quale, nel riformare la materia del whistleblowing, con modifica dell’art. 6 del Decreto Legislativo 231 del 2001, concernente i canali di segnalazione interna delle condotte costituenti reati presupposto, ha previsto non solo un ampliamento della figura del whistleblower (comprensiva oltre che dei dipendenti anche di tutti quei soggetti collegati in senso ampio all’organizzazione nella quale si è verificata la violazione e che potrebbero temere ritorsioni come ex dipendenti, lavoratori autonomi, tirocinanti, subappaltatori, fornitori, colleghi e parenti del whistleblower, ecc.) ma altresì ha stabilito che le segnalazioni possano riguardare anche le violazioni del diritto dell’UE lesive del pubblico interesse o che rientrino in molteplici settori come – in riferimento all’esempio citato – la tutela dell’ambiente.

Inoltre, il Modello 231 annovera tra i suoi componenti complementari il c.d. Codice Etico: il documento, contenente diritti e doveri per raccomandare, promuovere o vietare determinati comportamenti, può senz’altro reputarsi utile ai fini di promozione di una sana cultura aziendale non solamente corretta dal punto di vista etico ma soprattutto capace di orientare e accompagnare l’impresa nella transizione verso la sostenibilità dell’intera organizzazione.

In buona sostanza, nell’affrontare le sfide aperte dai fattori ESG la governance societaria è chiamata a operare una scelta etica: il Modello 231 può costituire un valido punto di partenza in tal senso per acquisire una maggiore consapevolezza sotto il profilo della corporate responsibility e, al contempo, per approcciarsi al fenomeno della sostenibilità in maniera concreta ed efficace che, come argomentato, ormai sempre più fortemente, e a più riprese, viene richiesto a livello europeo alle imprese.

Intervento di Alberto LEGNARO, Giurista internazionale d’Impresa, Avvocato e Consulente 231



  • Commento Utente

    Giovanni Falcone

    Al netto del migliore “Modello organizzativo” possibile, la vera zona d’ombra rimane la sua attuazione, in termini di formazione e funzionamento dell’organismo di controllo, per autonomia, indipendenza e professionalità.
    Il rispetto dell’ambiente e connessi rischi climatici, potranno accelerare certi processi virtuosi, nella misura in cui verranno esercitati i controlli necessari.

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