adeguato assetto organizzativo

Adeguati Assetti: il legame fra fattori ESG e crisi d’impresa

29 agosto 2023

di Alessandro MICOCCI

Lo scorso febbraio, il Tribunale di Catania si è espresso sul caso della mancata predisposizione di adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili delle Società, soprattutto in ottica di prevenzione e tempestiva rilevazione di situazioni di crisi d’impresa, che potrebbero comportare un rischio per la continuità aziendale.

Richiamando l’articolo 2086 comma 2 del Codice Civile, ed in particolare su come questo articolo è stato modificato a seguito dell’articolo 375 del D. Lgs 12 gennaio 2019 (Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza), il non dotarsi di un assetto adeguato comporterebbe una irregolarità secondo i dettami dell’articolo 2409 del Codice Civile e, di conseguenza, una responsabilità in capo all’organo amministrativo e di controllo.

Infatti, sempre secondo il Tribunale di Catania, il citato articolo, non deve essere inteso come relativo ai soli fatti di gestione “imprenditoriali”, bensì con una più ampia applicazione e che tenga conto del ruolo degli amministratori e dei sindaci e che, insieme ad altre figure aziendali, sta subendo e subirà una continua trasformazione, tema di cui ho avuto di trattare ampiamente nel mio articolo di luglio ed a cui rimando(1).

Tra i doveri dei due organi apicali dell’impresa (amministratori e sindaci), infatti, vi è sia la gestione aziendale, sia il controllo su di essa. Il nuovo testo dell’articolo 2086 richiede, a tal proposito, che l’imprenditore:

  1. ponga in essere un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato;
  2. che tale assetto sia idoneo a rilevare tempestivamente eventuali crisi;
  3. attivarsi tempestivamente per porre in essere gli strumenti che il legislatore ha previsto per superare le crisi al fine di non far venire meno la continuità aziendale.

Pertanto, gestione e controllo che, a partire dai singoli fatti aziendali, comportano una funzione di garanzia sulla tenuta dell’impresa e sulla sua capacità di continuare a produrre ricchezza in futuro. Una garanzia sia interna, ovvero verso i soci di minoranza, sia esterna, verso gli stackholder in senso ampio quali, ad esempio, i creditori. Sicché, il fine dell’articolo 2086 del Codice civile, comma 2, è quello di far sì che l’impresa si doti di un sistema interno di controlli che risulti idoneo, rispetto alle sue caratteristiche dimensionali e di business, a rilevare tempestivamente tutte quelle situazioni di crisi che possano, potenzialmente, far venire meno quella garanzia.

Chiaramente la norma si limita a richiedere un assetto “adeguato”, senza cioè fornire una definizione univoca e questo è diretta conseguenza del fatto che sarebbe impossibile individuare un valore standard che si possa adattare a qualsiasi impresa, dovendo tener conto invece delle differenze:

  • dimensionali,
  • di business e anche,
  • di contesto nazionale o internazionale,

in cui ogni impresa si trova ad operare. Non a caso, in giurisprudenza si tiene conto del c.d. business judgment rule, cioè ogni scelta del management è insindacabile purché si basi su scelte razionali e giustificate.

Quindi, l’idoneità richiesta dalla norma per l’assetto aziendale andrà valutata caso per caso, partendo da una serie di fattori generali, quali ad esempio:

  • (i) l’esistenza di un organigramma aziendale,
  • (ii) l’esistenza di procedure (diffuse tra il personale) idonee a garantire efficienza e efficacia nella gestione dei rischi da parte del sistema di controllo,
  • (iii) l’esistenza di un funzionigramma chiaro e diffuso,
  • (iv) una regolare tenuta della contabilità.

Un aiuto per comprendere se l’assetto organizzativo – contabile è adeguato può arrivare dalla checklist operativa (Documento di ricerca “Assetti organizzativi, amministrativi e contabili: check-list operative”, luglio 2023) che l’Ordine Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili e dalla Fondazione Nazionale di Ricerca dei Commercialisti, hanno reso disponibile nel mese di luglio.

Fatta questa doverosa premessa, è interessante notare come i dettami dell’articolo 2086, comma 2, del Codice Civile, seppur ad una prima analisi sembrerebbero focalizzarsi su aspetti “contabili”, nella sostanza abbiamo altresì impatti anche in ottica sostenibilità. Preme ricordare che la nuova normativa Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD) e le più recenti normative europee si focalizzino, tra le altre cose, anche sul corretto e tempestivo flusso informativo necessario a garantire una trasparenza e una veridicità dei dati, evitando altresì il rischio greenwashing (il comportamento, ai limiti della truffa, attraverso il quale le imprese comunicano al mercato dei risultati coerenti con le normative sulla sostenibilità, ma che nella realtà sostenibili non sono). Inoltre, quel processo di integrazione dei dati non finanziari nel bilancio aziendale, comporta inevitabilmente che i dettami del richiamato articolo del Codice Civile si applichino in coerenza con le nuove normative europee, anche considerando il nuovo principio ESRS – G1 che mira a disciplinare il sistema dei controlli, la governance e il controllo dei rischi. Le imprese obbligate a redigere la rendicontazione di sostenibilità non potranno esimersi dal dotarsi di un sistema che risulti quindi adeguato sia con riferimento alla normativa italiana (il codice civile), sia per quella europea sulla sostenibilità, anche attraverso un processo di trasformazione interno che interverrà su tutti gli organi sociali. Una sfida non indifferente se si considera che i rischi, soprattutto per le grandi imprese, sono legati anche al contesto macroeconomico in cui operano e che spesso supera i confini nazionali. Un sistema di controllo interno, capace:

  • di mitigare i rischi e,
  • di prevenire situazioni di crisi che possano mettere in dubbio la continuità aziendale, dovrà pertanto tener conto anche del contesto geopolitico attuale (si veda l’economia post Covid, la guerra in Ucraina, cambiamenti climatici).

Gli assetti organizzativi, amministrativi e contabilità, per essere adeguati, dovranno richiedere, soprattutto in ottica ESG, una profonda trasformazione, perché la sostenibilità, intesa come cambiamento nel modo di fare impresa, sarà uno dei fattori chiave della continuità aziendale: sostenibilità come elemento strategico per la sopravvivenza aziendale. Un processo dinamico, continuo, che potrebbe richiedere ulteriori modifiche della struttura, anche in termini di cultura aziendale. Un diverso modo di pensare e concepire l’attività di impresa da parte del management, in primis, per poi diffondersi a tutte le componenti aziendali

Si passa quindi da una visione strettamente “amministrativo – contabile”, ad una visione strategica, imprenditoriale e, soprattutto, una visione di lungo periodo. Non a caso, già dal 2001 l’European Banking Authority (EBA) ha incorporato i fattori ESG nelle loro politiche di gestione del rischio del credito: un fattore ESG non gestito può comportare il merito creditizio dell’impresa e, nel lungo periodo, l’equilibrio aziendale.

Concludendo, il Tribunale di Catania, ha fatto emergere ancora una volta, quel legame sempre più stretto tra fattori ESG e le normative di compliance nazionali (es. Decreto 231/2001), soprattutto quel processo che si pone l’obiettivo di mitigare i rischi che possano comportare, ad esempio:

(i) reati ambientali,

(ii) reati contro la sicurezza del personale dipendente,

(iii) reati informatici o

(iv) tributari.

Infatti, molti dei rischi che rientrano sotto il perimetro del modello 231 del 2001 sono spesso rilevanti per i fattori ESG; pertanto, l’impresa, nel rispettare le normative sulla sostenibilità, sarà indirettamente chiamata ad organizzarsi in maniera adeguata anche secondo quanto richiesto dal Decreto del 2001. Ciò facendo, in caso di reati commessi che comportino anche un legittimo interesse per l’impresa, questa potrebbe non essere ritenuta responsabile per tali fattispecie perché sarà stato predisposto un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato. Per fare ciò, oltre agli organi societari, il processo non potrà non coinvolgere le funzioni di compliance e di internal audit che saranno, come scrivevo nel mio articolo del mese di aprile(2), “investite dall’evoluzione della reportistica che, gradualmente, diventerà a 360 gradi, richiedendo investimenti organizzativi, tecnologici e lo sviluppo di capacità manageriali che coniugano competenze tecniche, funzionali e trasversali”.

Le opinioni espresse e le conclusioni sono attribuibili esclusivamente all’Autore e non impegnano in alcun modo la responsabilità di Fintecna S.p.A.-Gruppo CDP


Per approfondimenti, consultare i seguenti link e/o riferimenti:

(1) A. MICOCCI (2023), “Direttiva CSRD e Organi Sociali”, Risk & Compliance Platform Europe; www.riskcompliance.it

(2) A. MICOCCI (2023), “Il bilancio di sostenibilità e le nuove sfide degli Internal Auditors”, Risk & Compliance Platform Europe; www.riskcompliance.it



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