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Banche e IA: le complessità dell’innovazione

8 giugno 2020

di Andrea DANIELLI

L’Intelligenza Artificiale (IA) sta conquistando nuovi mercati incessantemente, automatizzando il settore manifatturiero, il trading di borsa, presto la logistica; “software is eating the world” disse il venture capitalist Marc Andreessen, in un celebre articolo del 2011(1).

Nel mondo bancario e finanziario, come già sostenuto in altri articoli, vi sono crescenti investimenti in startup che si occupano di fintech e regtech. Il potenziale, d’altronde, è notevole: l’IA può contrastare le frodi, produrre credit scoring più accurati, identificare transazioni sospette più rapidamente, consentire una spinta personalizzazione delle offerte commerciali, fornire una gestione reclami efficace e soddisfacente(2).

I report delle società di consulenza producono rosee previsioni per chiunque si stia occupando di regtech, ma sembrano non tenere in considerazione la situazione di paradosso che vive qualunque settore minacciato dalla nascita di tecnologie avanzate. Le ragioni per investire in innovazione paiono tanto semplici, quanto i buoni risultati a portata di mano: efficientamento dei processi, risparmi, migliore rapporto con la clientela, nuove modalità di offerta dei prodotti.

Eppure, l’innovazione non ha lo stesso impatto sulla bontà degli effetti sul conto economico:

  • deve ripagare l’investimento,
  • perseguire ulteriori risparmi e
  • incrementare i ricavi.

Questi requisiti portano a due conseguenze nella scelta delle nuove soluzioni:

  1. Non bisogna adottare un prodotto di bassa qualità.
  2. Occorre puntare a qualcosa di davvero nuovo e disruptive.

Naturalmente, sono due prospettive in netto contrasto tra loro. Se ci si affida a una Big Four, la soluzione proposta sarà certamente di qualità, ma al contempo si finirà per rimanere all’interno di uno standard ad ampia diffusione, che non sarà in grado di creare per la banca una condizione di vantaggio competitivo effettiva sul medio termine.
Converrebbe allora rivolgersi a startup promettenti per adottare una soluzione più originale, game changer, capace di impattare così tanto sui processi da ridurre i costi e consentire offerte di prezzo aggressive oltre a servizi migliori per intercettare nuovi clienti. Allora è necessario muoversi in un campo minato da promesse mirabolanti e marketing ai confini del disonesto, se è vero che il 40% delle startup che vantano l’uso dell’Intelligenza Artificiale mente spudoratamente(3).

Lato banche, tra i decisori non è molto diffusa una competenza tecnologica così solida da poter smascherare i furbi, e questo produce una situazione da “stallo alla messicana”: ogni banca ha alla tempia la pistola dell’innovazione che sta arrivando da qualche concorrente, ma poi nessuno tira il grilletto. Almeno per ora.

I PERICOLI DEI PIONIERI

Chi ha esperienza di ICT in ambito bancario sa bene che non sono le licenze dei software a pesare sui budget, ma l’integrazione tra il nuovo e la legacy, l’infrastruttura preesistente, integrazione che costa anche dieci volte il nuovo. Tutte le principali banche derivano da fusioni e aggregazioni, e col tempo si sono create stratificazioni tra database, linguaggi di programmazione, interfacce, che vivono in un equilibrio precario, e su cui si tende a non intervenire per evitare effetti difficilmente prevedibili. In breve, l’unica certezza dell’innovation manager di una banca è che dovrà investire tempo, pazienza e denaro.  Che cosa accade se i risultati dell’investimento non si ripagano, se le efficienze paventate sono state disattese?  Quanto può costare la gestione di una crisi imprevista, provocata dalla funzione AML inondata di falsi positivi?  O dal risk management senza dati attendibili per la valutazione del merito creditizio a causa di falle dei sistemi di credit scoring?  Beninteso, sono rischi da sempre presenti e gestiti con protocolli di test e recovery, ma piccoli disastri e imprevisti ancora accadono. Perché allora rischiare come first mover, quando si riesce ancora a produrre ricavi?

In un mercato a marginalità decrescenti, errare può infatti essere fatale, soprattutto per banche medio-piccole. Allo stesso tempo, sono proprio gli istituti incapaci di economie di scala e di crescita quelli che rischiano di più: i loro concorrenti negli anni introdurranno servizi innovativi e con buona redditività, basati su credit scoring algoritmici attendibili, o su nuove modalità di gestione del portafoglio. Da non sottovalutare nemmeno l’effetto che avrà l’introduzione di interfacce utenti estremamente intuitive e piacevoli all’uso, di processi di onboarding quasi istantanei, che alzeranno le aspettative nella clientela di tutto il sistema bancario.

COME USCIRE DAL CAMPO MINATO

Si dà per scontato che l’innovazione sia necessaria, ma alla luce dei tanti pericoli che deve affrontare chi vuole adottare qualcosa di “davvero nuovo e disruptive”, potremmo discutere criticamente questa assunzione.
Una prima minaccia, per quanto ancora immatura, sono le challenger bank che, avendo costruito da zero i propri sistemi informatici, soffrono meno del problema dell’integrazione, e sono pertanto più rapide a testare nuove soluzioni.
La seconda minaccia sono le GAFAM (Google, Amazon, Facebook, Apple, Microsoft) che hanno la tecnologia per sfruttare i big data e l’IA al meglio, ma non lo stanno ancora facendo su larga scala in ambito bancario. Finora le GAFAM stanno testando, senza esporsi troppo alla concorrenza degli incumbent e, soprattutto, senza mostrare fino a dove possono spingersi: è probabilmente una strategia ben precisa, attendere che i “dinosauri” si estinguano da soli, per poi entrare in una nicchia lasciata vuota. Se si leggessero i tanti brevetti depositati in ambito sistemi di pagamento, IA e cybersecurity, si avrebbe un’idea più chiara di quale direzione stiano percorrendo. Per esempio, una rapida panoramica alle innovazioni introdotte recentemente da Amazon può essere utile ad approssimare i rischi che corre il settore bancario: Amazon sta offrendo un portafoglio digitale (Amazon Pay), pagamenti tramite riconoscimento biometrico, depositi di contante presso affiliati (Amazon Cash) per pagamenti online, un servizio di “mancette” digitali e una carta di debito per minorenni (Amazon Allowances e Greenlight), nonché diversi prodotti per offrire prestiti alle PMI e ai propri clienti(4).

Per Facebook parlano i 124 brevetti depositati in ambito finanziario e l’ultimo servizio lanciato nell’ambito dei sistemi di pagamento: Novi, che consente di inviare denaro tramite Messenger e WhatsApp(5).
Si potrebbe poi discutere delle iniziative dei giganti cinesi Alibaba e Tencent, estremamente attivi nel mondo fintech. La loro capacità di innovazione è davvero notevole, se si pensa che Tencent ha lanciato WeChat Pay nel 2013, e Facebook ben 7 anni dopo; nel frattempo, 72 milioni di esercenti lo hanno adottato e vi sono un miliardo [sic] di transazioni al giorno(6).

Infine, è parere di chi scrive che sia importante conoscere anche le scelte strategiche della Commissione Europea che si batte, da sempre, per aumentare l’apertura del mercato alla concorrenza. A oggi, aprire un conto on-line lituano è abbastanza complesso per un italiano: per questioni di lingua, perché vi sono alcune differenze nella normativa di trasparenza, perché i dati non sono né portabili né interoperabili. Il progetto EBSI (European Blockchain Service Infrastructure)(7) che ha lo scopo di lanciare servizi basati sulla blockchain, tra cui identità digitale e scambio di dati certificati, potrebbe favorire processi di onboarding celeri, sicuri, transnazionali(8).

Siamo preparati a tutto ciò in Italia? Apparentemente diversi attori del settore bancario italiano stanno iniziando la propria opera di autodistruzione senza attendere Google o Apple. Ci si riferisce:

  • ai limitati investimenti in innovazione (reali, non includendo le spese di integrazione o manutenzione),
  • a politiche di taglio costi lineare,
  • alle app troppo poco user-friendly, peggiorate dalle rigidità derivanti dall’introduzione della Strong Customer Authentication,
  • alla bassa fiducia riposta dai loro clienti, acuita dalla crisi del Covid-19.

VERA OPEN INNOVATION

Come resistere all’incedere di un futuro che è già qui? Come investire al meglio in progetti di innovazione capaci di mantenere competitivi? Bandi aperti a startup, la c.d. “open innovation”, sono il modo migliore per consentire agli innovatori di avvicinarsi alle banche, di capirne la cultura e i problemi quotidiani. Al contempo, consentono alle banche di misurare la serietà delle proposte di innovazione. Bandi tematici, con obiettivi precisi, anche quantitativi, ridurrebbero il rischio di attirare startup spregiudicate. Servono regole di ingaggio chiare su risorse disponibili, tempi previsti di sviluppo e condivisione della risorsa più preziosa oggigiorno: i dati. Serve coraggio da parte di tutte le banche, perché solo condividendo con gli innovatori i loro dati è possibile sviluppare soluzioni originali ed efficaci; le tecniche di “anonimizzazione”, d’altronde, non mancano. Per essere ancora più efficaci, i bandi dovrebbero essere il più possibile disintermediati, gestiti direttamente dalle banche perché raramente gli startupper hanno esperienza diretta dell’ambiente bancario, della sua cultura e delle reali difficoltà che lo caratterizzano. Il problema da affrontare non è (solo) tecnologico: ci troviamo nel pieno di un caso studio di teoria dei giochi, bloccati in un equilibrio di Nash.

Dall’equilibrio di Nash si esce attraverso la cooperazione, e qui abbiamo, a parere di chi scrive, alcune difficoltà. Eppure, condividere i rischi, attraverso consorzi per testare multiple innovazioni insieme, diminuendo il rischio di errore, è una strada che può garantire a tutti i membri buoni risultati. In tal senso, le iniziative che sfruttano le opportunità offerte dalla PSD2, creando ecosistemi che connettono in modo sicuro ai dati delle banche, semplificano il percorso di innovazione, fornendo molti servizi modulari e scalabili.

Infine, occorrono interventi di sistema: ben venga la regulatory sandbox, ma probabilmente è necessario un maggiore coordinamento da parte di chi offre innovazione. Associazioni di categoria più attive sono in grado di selezionare i professionisti, di valorizzarne le idee, e di tessere le trame che servono per un approccio coopetitivo (cooperativo e competitivo) quale quello richiesto ora.

 

Le opinioni espresse e le conclusioni sono attribuibili esclusivamente all’Autore e non impegnano in alcun modo la responsabilità della Banca d’Italia.


Per approfondimenti e normative, consultare i seguenti link e/o riferimenti:

(1)   Marc Andreessen, Why Software Is Eating the World – a16z

(2)   Blog, AI in Banking Operations – Appen

(3)   Parmy Olson, Nearly Half Of All ‘AI Startups’ Are Cashing In On Hype – Forbes

(4)   Everything You Need To Know About What Amazon Is Doing In Financial Services – CB INSIGHTS

(5)   David Marcus, Welcome to Novi – FACEBOOK

(6)   Mansoor Iqbal, WeChat Revenue and Usage Statistics (2020) – Business of Apps

(7)   EBSI – European Blockchain Services Infrastructure

(8)   Alessio Marino, L’Unione Europea annuncia il lancio della European Blockchain Service Infrastructure – CoinTelegraph Italia

 



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