Smart Contract

Facciamo chiarezza sugli Smart Contract

21 giugno 2019

di Nunzia RUSSO

Ultimamente si sente molto parlare di Smart Contract ma l’attenzione maggiore si è avuta dopo la conversione nell’art. 8-ter del Decreto Semplificazioni (D.L. 14 dicembre 2018, n. 135, convertito in legge con L. 11 febbraio 2019, n. 12) in vigore dal febbraio scorso, che introduce la definizione normativa di Smart Contract e gli conferisce la qualità giuridica della forma scritta.

La norma demanda all’Agenzia per l’Italia digitale l’individuazione degli standard tecnici che le predette tecnologie basate su registri distribuiti debbono possedere al fine di attribuire data certa e valore di forma scritta ai documenti ivi memorizzati. Inoltre sempre la stessa norma conferisce ai documenti informatici registrati su Blockchain la stessa efficacia giuridica riconosciuta alla validazione temporale elettronica (la cd. Marca temporale).

Ma cosa si definisce per «smart contract»?

Un programma per elaboratore che opera su tecnologie basate su registri distribuiti e la cui esecuzione vincola automaticamente due o più parti sulla base di effetti predefiniti dalle stesse.
Ma gli smart contract sono nati adesso? Sono stati oggetto di sperimentazione già negli Anni ’90, ricordiamo che il primo a teorizzare l’algoritmo è stato nel 1994 Nick Szabo e avevano una loro specifica dimensione a prescindere dalla tecnologia Blockchain.
Certamente il fenomeno Blockchain ha permesso e sta permettendo di avere quelle garanzie di Trust, Fiducia, Affidabilità e Sicurezza che nel passato erano necessariamente delegate a una figura “terza” (notai o avvocati) in quanto risultava mancante un mezzo di pagamento programmabile (i.e. le criptovalute) che permettesse l’esecuzione automatica degli script. Inoltre altro elemento fondamentale à la presenza di oracoli, cioè entità terze che forniscono informazioni alla blockchain e vengono collegati a essa in modo che i contratti possano ricevere input dall’esterno.
L’errore che non si deve fare, quindi, è considerare uno smart contract come la mera archiviazione di un normale contratto su una blockchain, mentre da un punto di vista tecnico quello che oggi si intende per smart contract è strettamente legato al concetto di blockchain.
Uno smart contract è sicuramente qualcosa di più di un semplice contratto, le cui clausole scattano da sole in presenza di determinate condizioni, l’istruzione viene eseguita e non c’è più modo di revocarla.
Possiamo dire che non esiste uno standard di smart contract ma ognuno di essi è basato su una tecnologia diversa e codificato in un linguaggio di programmazione (es. su Ethereum si scrivono in un linguaggio che si chiama “Solidity”). Semplificando gli smart contract potrebbero essere definiti come un insieme di “istruzioni condizionali” più o meno complesse.
Lo scopo di tale strumento è quello di ridurre o, addirittura, eliminare la possibilità di inadempimento di un contratto.

L’immutabilità però è vista come un punto di debolezza nella maggior parte dei settori economici in quanto specie con il passare del tempo il contratto si autoesegue a delle condizioni che potrebbero non essere più valide. A tal proposito vengono in soccorso le strategie attuate da alcune piattaforme blockchain (come Hyperledger Fabric di IBM) che intendono realizzare soluzioni per la certificazione su blockchain di contratti stipulati off-chain. In questo caso la validità del contratto è data dall’immutabilità del consenso al contratto sottoscritto dalle parti, senza che però sia presente una automaticità nell’esecuzione delle clausole; ma in questo caso non si parlerebbe più di smart contract, trattandosi esclusivamente di un contratto certificato tramite blockchain.

In ambito ABI è stata scelta l’implementazione R3 “CORDA” della Blockchain e questa prevede anche gli “smart legal contracts” che introducono una modalità evoluta di raccordo tra documenti in linguaggio naturale (legale) e smart contract.

Blockchain, criptovalute e reti peer-to-peer, ovvero l’infrastruttura su cui si basa l’esecuzione degli Smart Contracts, non sono soggetti ad alcuna norma di diritto positivo. È quindi indispensabile essere consapevoli del fatto che, nel momento in cui si decida di tradurre un contratto in Smart Contracts, si accettino anche le regole del protocollo informatico alla base della suddetta infrastruttura e che tali regole, di fatto, entrino nel rapporto giuridico esistente tra i soggetti.

Vi sono materie più propense all’utilizzo di tale strumento quali: la gestione dei cosiddetti Digital Rights Management ovvero “gestione dei diritti digitali” (sistemi tecnologici mediante i quali i titolari di diritto d’autore e dei diritti connessi possono tutelare, esercitare ed amministrare tali diritti nell’ambiente digitale, concedendo o meno all’utente la possibilità di fruire del contenuto) e i contratti assicurativi basati su IoT.

Ripercorrendo brevemente i requisiti essenziali del contratto disciplinati dal Codice Civile, è agevole individuare numerose similitudini, che potrebbero costituire la base giuridica per assimilare gli smart contract alla disciplina del contratto tradizionale.

Gli smart contract esistenti hanno riguardato per lo più il settore finanziario e assicurativo (dalla emissione di token allo scambio di cryptovalute) ma attualmente stanno vedendo applicazione anche in altri ambiti come quello della Supply Chain o della Sanità.

Alcune applicazioni attive di smart contract:

  • AXA Assicurazioni ormai un paio di anni fa, sperimentò in modo positivo uno smart contract sviluppato sulla blockchain di Ethereum per rimborsare automaticamente i viaggiatori se il loro aereo o treno avesse subito dei ritardi considerevoli. Il nome del servizio è Fizzy, una polizza assicurativa parametrica, il cui costo è calcolato sulla base di dati storici dei voli aerei degli ultimi sette anni, che indennizza in automatico in caso di ritardo, oltretutto indipendentemente dalla motivazione del ritardo stesso e quindi senza esclusione assicurativa.
  • Unico esempio nella PA digitale riguarda il Comune di Bari che da qualche mese ha avviato con SIA il primo progetto blockchain in Italia per certificare l’autenticità e il rilascio di polizze fideiussorie attraverso l’utilizzo di smart contract. Questo permetterà al Comune di Bari di dematerializzare l’iter di rilascio da parte di banche, intermediari finanziari, assicurazioni e certificare in modo univoco e irrevocabile tali garanzie.

In ambito finanziario si stanno pensando a diverse applicazioni su diversi fronti; ma sicuramente la parte più significativa è quella per contrastare il riciclaggio di denaro tramite il pagamento di criptovalute.
Difatti la maggior parte dei POC (Proof of Concept) degli istituti Finanziari stanno vertendo sul processo di Adeguata Verifica del Cliente, Know Your Customer e sui sistemi di pagamento.

Alla luce di quanto precede, nonostante si tratti di uno strumento ancora marginale che presenta numerose incognite e problematiche, siamo chiaramente di fronte ad un nuovo modo di dare esecuzione ai contratti che, potenzialmente, può eliminare l’alea di rischio relativa all’adempimento degli stessi.

Tuttavia appare sempre necessaria la presenza di una figura legale professionale che sia in grado di dialogare non solo con le parti, onde tradurre in contratto l’effettiva volontà delle stesse, ma anche con i soggetti programmatori, onde evitare che vi sia discordanza tra la volontà delle parti e la traduzione in codice dell’accordo raggiunto.

 

Intervento di Dott.ssa Nunzia RUSSO, Consultant Specialist Compliance Area presso Gruppo Metoda S.p.A.


Per approfondimenti e riferimenti normativi, consultare i seguenti link:

LEGGE 11 febbraio 2019, n. 12

TESTO COORDINATO DEL DECRETO-LEGGE 14 dicembre 2018, n. 135



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