Banca-AML-Cliente

Verifiche antiriciclaggio nelle operazioni bancarie: durata delle verifiche AML e diritti del cliente

3 marzo 2023

di Gianluca BOZZELLI

SOMMARIO: 1. Durata delle verifiche AML sull’operazione (o sul rapporto, in analogia con altre tipologie di verifiche); 2. Buona fede e correttezza nei contratti: illiceità del blocco dell’operatività del rapporto bancario e del recesso immotivato. Reazione del cliente; 3. Considerazioni conclusive.

Il tema delle verifiche antiriciclaggio nel operazionale bancarie non riguarda soltanto la sospensione e il blocco del conto corrente(1) ed i relativi obblighi per banche e operatori ma comprende anche le verifiche ispettive delle autorità dello Stato ed il principio della buona fede che permea tutto il rapporto fra banca e cliente e rimane in essere anche in caso di verifiche AML impedite o positive.

1. Durata delle verifiche AML sull’operazione (o sul rapporto, in analogia con altre tipologie di verifiche)

Nel ragionare circa l’esigenza di individuare un limite di durata nella verifica antiriciclaggio e sulla possibilità — o meno — per la banca di sospendere ad libitum l’operatività di un rapporto bancario (ad es. di un conto corrente), appare opportuno distinguere tra l’attività del soggetto obbligato e quella degli organi di Stato, deputati alle attività ispettive AML.

Le Circolari operative della GDF(2) descrivono un’attività ispettiva antiriciclaggio flessibile ed adattabile, dovendo essere calibrata alle funzioni di intelligence e di analisi risk based svolta a monte, nonché in funzione delle caratteristiche e delle dimensioni dell’operatore controllato; l’ispezione AML è, infatti, un’attività a contenuto variabile, in quanto può avere ad oggetto una o più obblighi antiriciclaggio, a seconda dell’orientamento investigativo del controllo; è attività ispettiva globale ed integrata, nel senso che, in ragione dell’ emersione di sospetti o di indizi di violazioni amministrative e/o penali in altri settori, comporta l’onere di adottare le conseguenti decisioni per l’ accertamento ed il riscontro delle eventuali infrazioni.

Proprio una Circolare del 2012(3) evidenzia elementi di analogia tra la metodologia utilizzata nel compimento delle attività AML e quella utilizzata per le verifiche fiscali; l’attività è improntata ai generali canoni di legalità, trasparenza, efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa ed è eseguita mediante il funzionale utilizzo dei poteri di polizia economica e finanziaria. Si riconosce alla GDF le medesime potestà di accesso, ricerca, ispezione e verifica attribuite in materia di IVA e imposte sui redditi, polizia valutaria di cui al d.P.R. n. 148/1988(4), nonché l’accesso all’archivio dei rapporti finanziari di cui all’ art. 37, comma 4, del d.l. n. 223/2006, conv. in legge n. 248/2006.

La verifica vera e propria da parte del Nucleo Speciale Polizia Valutaria (NSPV) è preceduta da una serie di attività di acquisizione di informazioni sul soggetto ispezionato, per così dire a tavolino (mutuando l’espressione dal gergo tributario): analisi documenti, atti e informazioni, sopralluoghi, verifica della compliance di settore di operatività del soggetto controllato. L’intervento invece avviene solitamente presso la sede del soggetto obbligato oppure direttamente presso gli uffici GDF. Il controllo viene effettuato attraverso due fasi: una prima più generica ed una seconda più specifica e con carattere propriamente ispettivo. L’obiettivo principale è quello di verificare la legittimazione all’esercizio dell’attività svolta dal soggetto controllato; segue poi la conoscenza della struttura organizzativa e commerciale, con attenzione all’organigramma interno e ai flussi informativi, volti ad identificare il personale incaricato all’interno dell’attività, verificare la presenza di un piano formativo per il personale, nonché la presenza di sistemi di controllo interni atti a verificare il corretto adempimento degli obblighi.

L’analogia con le ispezioni in materia tributaria e cambiaria è stabilita anche dall’art. 26 (Altri organi di accertamento delle violazioni valutarie) del d.P.R. n. 148/1988, che adegua i poteri e le facoltà degli ufficiali del NSPV a quelli riconosciuti ai funzionari dell’Ufficio italiano dei cambi nello svolgimento dell’attività ispettiva in materia valutaria. I militari della GDF — prosegue la norma — nell’accertamento delle violazioni valutarie, esercitano i poteri che sono loro attribuiti in materia finanziaria dalla legge n. 4/1929 e dalle leggi tributarie.

L’estensione della normativa sulle indagini tributarie a quelle antiriciclaggio proviene anche dalla previsione contenuta nel commi 3 e 4 dell’art. 4 (Poteri di accertamento e di contestazione) del d.lgs n. 195/2008. In caso di accertamento di violazioni AML rilevanti, la Agenzia Dogane e Monopoli (ADM) informa immediatamente la UIF. Identica disposizione è oggi prevista dall’art. 9 comma 4 del d.lgs 231/2007(5).

A conferma ulteriore dell’intercambiabilità tra le informazioni acquisite in sede di verifica AML e quelle in sede di verifica fiscale e valutaria, il comma 9 dell’art. 9 del d.lgs 231/2007 (a seguito della modifica del 2019) stabilisce espressamente che “I dati e le informazioni acquisite nell’ambito delle attività svolte ai sensi del presente articolo sono utilizzabili ai fini fiscali, secondo le disposizioni e le attribuzioni vigenti”.

Viene in evidenza, nel ragionamento sulla durata delle verifiche AML, anche la normativa sul procedimento amministrativo, in quanto l’attività proviene da organi dello Stato. L’art. 2 della legge n. 241/1990 dispone che – sia che l’istanza per l’avvio del procedimento amministrativo provenga da un privato sia che venga attivato d’ufficio – tale procedimento deve concludersi obbligatoriamente con l’adozione di un provvedimento espresso. Inoltre, salvo che non ne sia previsto uno diverso, stabilito dalla legge o con apposito provvedimento, il termine generale per la conclusione del procedimento è di trenta giorni. La fase di iniziativa è quella nella quale prende avvio l’iter del procedimento amministrativo; in tale sede è fondamentale la comunicazione di avvio del procedimento (art. 7) ai destinatari i cui interessi sono coinvolti. Con tale comunicazione di avvio, viene indicato anche il termine entro il quale l’amministrazione dovrà adottare il provvedimento espresso e l’autorità cui è possibile ricorrere (art. 3 comma 4). Il provvedimento espresso deve essere adottato (dal dirigente o dal responsabile della struttura, che può coincidere con il responsabile del procedimento) entro il termine che la medesima comunicazione ha indicato. In caso contrario, ovvero allorquando l’amministrazione non abbia adottato il provvedimento espresso preconizzato entro il termine del procedimento indicato nella comunicazione di avvio, la stessa p.a. dovrà sostituire il funzionario inadempiente con quello gerarchicamente superiore (c.d. potere sostitutivo), al fine di provvedere all’emanazione del provvedimento entro la metà del termine previsto dalla comunicazione di avvio del procedimento.

Se quelle sopra enucleate sono le principali ragioni dell’applicazione analogica in materia antiriciclaggio delle normative che governano ispezioni, verifiche e controlli in materia fiscale e tributaria, potrà affermarsi l’applicazione — in chiave garantista — dei diritti sanciti dallo Statuto del contribuente. L’art. 12 (Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali) della legge n. 212/2000 prescrive specifiche garanzie per il contribuente nel caso in cui la sua attività sia sottoposta a ispezioni e verifiche contabili da parte degli uffici dell’amministrazione finanziaria e della Guardia di Finanza.

Le principali regole possono riassumersi nella necessità:

  • (i) che l’attività di ispezione, verifica o controllo si svolga durante il normale orario di lavoro dell’azienda o del professionista,
  • (ii) che il soggetto sia stato informato sui motivi e sulle conseguenze del controllo, sulle modalità di svolgimento, sui suoi diritti ed obblighi e sulla possibilità di farsi assistere da un professionista di fiducia;
  • (iii) che gli sia garantito di richiedere che l’ ispezione, verifica o controllo dei documenti si svolgano nello stesso ufficio dei verificatori oppure presso il professionista che lo assiste o presso chi lo rappresenta;
  • (iv) che al soggetto sia garantita la facoltà di far verbalizzare le osservazioni e i rilievi, propri e del professionista che lo assiste.

La durata di tali attività di controllo, come detto estensibili anche alle ispezioni e verifiche AML, è fissata dall’art. 12 dello Statuto: i verificatori devono compiere le attività di verifica entro trenta giorni, prorogabili di altri trenta solo per esigenze motivate. Il contribuente, conclusa la verifica, può contestare di fronte al Garante del contribuente le modalità in cui questa si è svolta e — a chiusura delle operazioni di verifica — ha la facoltà di proporre osservazioni e richieste agli uffici competenti. Nel procedimento antiriciclaggio, sia il NSPV che la Direzione Investigativa Antimafia (art. 9 commi 5 e 7) accertano e contestano, con le modalità e nei termini di cui alla legge n. 689/1981(6), ovvero trasmettono alle autorità di vigilanza di settore, le violazioni degli obblighi di cui al d.lgs 231/2007, riscontrate nell’esercizio dei propri poteri di controllo; la DIA effettua anche gli approfondimenti investigativi, attinenti alla criminalità organizzata, delle informazioni ricevute ai sensi dell’art. 13 e delle s.o.s. trasmesse dalla UIF ai sensi dell’art. 40. 

2. Buona fede e correttezza nei contratti: illiceità del blocco dell’operatività del
rapporto bancario e del recesso immotivato. Reazione del cliente

Occorre ricordare, ai fini del discorso, che anche in tema di contratti bancari, il principio della buona fede oggettiva deve presiedere ogni fase del rapporto, dall’interpretazione all’esecuzione, inclusa la fase necessaria delle verifiche in materia antiriciclaggio, che dello sviluppo del rapporto fanno parte a pieno titolo. La buona fede viene identificata dalla giurisprudenza nella reciproca lealtà di condotta ed è operante tanto sul piano dei comportamenti del debitore e del creditore (nell’ambito del singolo rapporto obbligatorio ex art. 1175 cod. civ.), quanto sul piano del complessivo assetto di interessi sottostanti l’esecuzione di un contratto (ex art. 1375 cod. civ.). Il principio si concretizza nel dovere di ciascun contraente di cooperare alla realizzazione anche dell’interesse della controparte, ponendosi come limite di ogni situazione, attiva o passiva, negozialmente attribuita e determina tanto il contenuto quanto gli effetti del contratto. La buona fede, pertanto, si atteggia come un vero obbligo di solidarietà, che impone a ciascuna parte di tenere quei determinati comportamenti che prescindono da specifici obblighi contrattuali e che siano idonei a preservare gli interessi dell’altra parte(7).

L’obbligo di buona fede oggettiva o correttezza rappresenta un autonomo dovere giuridico, espressione massima del principio di solidarietà sociale, la cui violazione perpetrata attraverso strumenti di abuso del diritto rappresenta una chiara lesione dei superiori principi costituzionali (art. 2 Cost.). Nelle vicende contrattuali, il principio di buona fede e l’abuso del diritto si intrecciano: da un lato, la buona fede rappresenta il canone generale cui ancorare la condotta delle parti, dall’altro, l’abuso del diritto è la necessità di una correlazione tra i poteri conferiti e lo scopo per i quali essi lo sono, senza travalicare i limiti imposti dalla buona fede. Costituisce abuso un’utilizzazione alterata e illecita dello schema formale del diritto, finalizzata al conseguimento di obiettivi ulteriori e diversi rispetto a quelli indicati dal legislatore.

L’esemplificazione di un atteggiamento ritenuto contrario a buona fede è data dal comportamento di quella parte contrattuale che omette, senza giustificazione alcuna, di collaborare per consentire il corretto adempimento dell’altra o che non chiarisce equivoci insorti nel corso del rapporto; o ancora è abusivo e in malam partem il comportamento di chi esercita i propri diritti in modo apparentemente lecito ma sostanzialmente sleale e dannoso per la controparte(8) o che induce l’altra parte ad un legittimo affidamento(9).

Secondo il criterio di reciprocità, il principio di correttezza e buona fede impone a ciascuna parte il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o normativi(10): è il caso delle verifiche antiriciclaggio, che la banca e gli intermediari non devono utilizzare come schermo per attività arbitrarie di sospensione dell’operazione o blocco dei rapporti non disposta dalla pubblica autorità, o peggio ritorsive, finalizzate ad estorcere l’adempimento contrattuale. Anche quando lecite e prescritte dalla legge, le attività di verifica AML non devono mai danneggiare il rapporto contrattuale e devono essere eseguite nel solco della correttezza e della buona fede, provocando — in caso contrario — gravi responsabilità per la banca o l’intermediario segnalanti.

Analogamente a quanto affermato nelle ipotesi di recesso ad nutum, in ambito AML (a seguito delle attività di cui agli artt. 19, 35 e 42 d.lgs 231/2007), potrebbe trovare applicazione quanto già da tempo la giurisprudenza di legittimità ha sostenuto in generale nei rapporti contrattuali: si ha abuso del diritto quando il titolare di un diritto soggettivo, pur in assenza di divieti formali, eserciti il proprio recesso con modalità irrispettose del dovere di correttezza e buona fede, causando uno sproporzionato ed ingiustificato sacrificio della controparte contrattuale, ed al fine di conseguire risultati diversi ed ulteriori rispetto a quelli per i quali quei poteri o facoltà furono attribuiti(11).

La Suprema Corte(12) ha avuto occasione di pronunciarsi proprio in relazione alla lesione del principio di buona fede nelle ipotesi di recesso da contratti bancari: nel caso analizzato, si trattava di recesso della banca dall’apertura di credito, operato in base ad una clausola che lo consentiva anche in difetto di giusta causa, che giustificava solo il rifiuto di pagare gli assegni del cliente pervenuti successivamente, sulla base dell’affidamento revocato, ma non costituiva valida ragione per rifiutare al correntista di effettuare il deposito della provvista occorrente per il pagamento dei titoli.

L’atteggiamento della banca è stato valutato alla luce del principio di buona fede, al fine di stabilire se, nel bilanciamento dei contrapposti interessi contrattuali, vi fossero validi motivi per giustificare il recesso dal contratto di conto corrente: laddove si verifichi una evidente lesione degli interessi di una parte contrattuale, l’ordinamento riconosce l’inefficacia degli atti compiuti in violazione del divieto di abuso del diritto o, diversamente, condanna al risarcimento dei danni.

Pare di poter affermare, pertanto, alla luce del citato orientamento giurisprudenziale, che, laddove la carta contrattuale andasse a disciplinare ipotesi di recesso ad nutum in favore di una delle parti (banca o intermediario), ad es. in caso di verifiche AML impedite o positive, la semplice previsione di tale ipotesi non sarà da sola sufficiente ad escludere ogni responsabilità in capo all’istituto, dovendosi invece sempre valutare se l’esercizio di tale facoltà sia stato effettuato nel pieno rispetto delle regole di correttezza e di buona fede. In caso contrario potrebbe configurarsi un abuso del diritto, pure se contrattualmente stabilita l’ipotesi di recesso: una sorta di responsabilità da fatto lecito.

3. Considerazioni conclusive

All’esito di questa breve analisi — e senza pretesa di esaustività (il dibattito può dirsi in corso, in accademia e nelle aule di giustizia) — conclusivamente potrebbe affermarsi che:

  • l’operatività del rapporto bancario non può essere sospesa o
  • il contratto sottoposto a blocco da parte dell’istituto di credito,

senza rischio di esposizioni a responsabilità contrattuali anche gravi.

Può invece essere legittimamente sospesa su disposizione dell’U.I.F. – per il solo breve termine di legge (pari a cinque giorni) – la specifica operazione ritenuta sospetta, al termine del procedimento s.o.s. regolato dall’art. 35 d.lgs 231/2007.

Nel caso in cui non fossero superate le verifiche previste e prescritte dagli artt. 25 e 26, invece, l’istituto di credito potrà astenersi dal compiere le attività contrattuali richieste dal cliente, ai sensi dell’art. 42, sia dall’instaurazione del rapporto che dall’operazione richiesta e potrà porre fine, mediante recesso, al rapporto continuativo o alla prestazione.

In caso di verifiche, accertamenti o controlli, la banca o l’intermediario non potranno invocare una sospensione o blocco dell’operatività dei rapporti bancari, giustificandola con l’esercizio delle attività di indagine in corso: ogni procedimento operato da organi dello Stato è procedimento amministrativo, rispetto al quale la banca o l’ intermediario riveste la qualità di soggetto controllato o contribuente (in analogia con le indagini fiscali e valutarie); tale procedimento non può avere una durata superiore a giorni trenta (prorogabile di altri trenta per ragioni espresse) e il provvedimento di chiusura, se non si traduce in attività cautelare dell’autorità giudiziaria (ad es. sequestro penale) non può tradursi in blocco dell’operatività dei rapporti bancari in danno del cliente.

In ogni caso, le decisioni dovranno essere sorrette da motivate ragioni e giustificate al cliente, al fine di non incorrere in responsabilità; chiusura del conto e rifiuto in astensione dell’operazione non possono mai essere provvedimenti a carattere ritorsivo, ad esempio per non avere il cliente ottemperato all’obbligo di pagamento alla scadenza di una rata del debito, oppure per aver protestato per la riduzione o per mancata concessione di un affidamento.

Inoltre, l’istituto di credito dovrà predisporre senza ritardo ogni attività conseguente alle decisioni prese: in caso di conto corrente, ad esempio, ai sensi dell’art. 1831 cod. civ., alla chiusura del conto seguirà obbligatoriamente la liquidazione del saldo in giacenza (entro il termine di preavviso di almeno dieci giorni). Il contratto potrà prevedere termini anche nell’interesse della banca, purché nei limiti di ragionevolezza, in considerazione dei criteri di correttezza, buona fede e specifica diligenza professionale che devono permeare l’attività dell’istituto di credito.

Non può infatti sottacersi che il titolare del rapporto bancario di conto corrente ha pur sempre la disponibilità del denaro risultante dal saldo e ha altresì diritto a rientrare in possesso del denaro, di cui è proprietario e di cui la banca è mera depositaria. Occorrerà anche rendersi reattivi agli obblighi informativi, che sorgono in capo all’istituto di credito alla chiusura del rapporto, ovvero quelli di rendicontazione andamentale integrale, di cui all’art. 119 comma 1 T.u.b., Delibera CICR 286/2003 e Disposizioni sulla trasparenza di Bankitalia (Provv. del 22/7/2009 e succ. modd., sez IV, par. 3.1, p. 27), per cui “Il rendiconto (estratto conto per i rapporti regolati in conto corrente) indica, anche mediante voci sintetiche di costo, tutte le movimentazioni, le somme a qualsiasi titolo addebitate o accreditate, il saldo debitore o creditore e ogni altra informazione rilevante per la comprensione dell’andamento del rapporto”.

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LEGGI QUI l’articolo precedente 1/2, Verifiche Antiriciclaggio nelle operazioni bancarie: sospensione e blocco del conto

Intervento di Gianluca BOZZELLI  – Avvocato Cassazionista,  Fondatore di BG&P e  di COMP.R.ESA Compliance & Responsabilità d’Impresa


Per approfondimenti, consultare i seguenti link e/o riferimenti:

(1) G. Bozzelli (2023), “Verifiche Antiriciclaggio nelle operazioni bancarie: sospensione e blocco del conto“; Risk & Compliance Platform Europe; www.riskcompliance.it

(2) Si fa qui prevalentemente riferimento alla già citata Circ. n. 83607/2012, ma in materia, cfr, anche le successive n. 17/INCC del 17 gennaio 2014, n. 1026/INCC del 17 giugno 2015 e n. 2900/INCC del 29 maggio 2017 del Comando Generale GdF- I Reparto Operazioni.

(3) Pagg.162 ss.

(4) Testo Unico delle norme in materia valutaria.

(5) A seguito della modifica dell’art. 9 del d.lgs 231/2007 da parte del d.lgs 125/2019.

(6) Ai sensi dell’art. 14 (Contestazione e notificazione) della legge n. 689/1981, “la violazione, quando è possibile, deve essere contestata immediatamente tanto al trasgressore quanto alla persona che sia obbligata in solido al pagamento della somma dovuta per la violazione stessa. Se non è avvenuta la contestazione immediata per tutte o per alcune delle persone indicate nel comma precedente, gli estremi della violazione debbono essere notificati agli interessati residenti nel territorio della Repubblica entro il termine di novanta giorni e a quelli residenti all’estero entro il termine di trecentosessanta giorni dall’accertamento. Quando gli atti relativi alla violazione sono trasmessi all’autorità competente con provvedimento dell’autorità giudiziaria, i termini di cui al comma precedente decorrono dalla data della ricezione […].

(7) Sul punto, cfr. Cass. n. 13345/2006.

(8) Cass. Sez. Unite, n. 23726/2007, e Cass. n. 20106/09, ed all’exceptio doli generalis:
Cass. n. 5273/2007.

(9) Cosiddetto venire contra factum proprium : Cass. n. 5639/1984, n. 12405/2000, n. 13190/2003.

(10) Si vedano sul punto, Cass. n. 1078/1999 , in Rass. dir. civ., 2000, p.895; Cass. n. 23273/2006; Cass. n. 10182/2009.

(11) Cass. n. 20106/2009.

(12) Cass. n. 8711/2006.



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