La realizzazione di nuove strutture culturali o il potenziamento di quelle già esistenti è un lavoro multidisciplinare che richiede il coinvolgimento di architetti, di informatici, di esperti delle diverse discipline umanistiche e scientifiche.
Senza mai dimenticare però l’importanza degli stakeholders di riferimento (il pubblico, la società civile, il territorio, l’impresa) che devono essere coinvolti fin dalle prime fasi di progettazione per assicurare la corrispondenza del risultato finale alle aspettative.
I processi di digitalizzazione sono ormai prepotentemente entrati in ogni settore, dall’impresa ai servizi pubblici. Non fa eccezione l’ambito culturale che però si muove un po’ a rilento per la cronica carenza di finanziamenti che vengono spesso prioritariamente destinati ad altre attività ritenute più essenziali. Tuttavia, non mancano significativi esempi di musei, di biblioteche o di beni storico-artistici-paesaggistici che hanno intrapreso percorsi di digitalizzazione:
- ampliando le modalità di accesso e di fruizione ad un pubblico più eterogeneo,
- abbattendo confini geografici e barriere architettoniche,
- arricchendo l’offerta con una vasta gamma di informazioni aggiuntive riguardanti discipline affini e correlate ma anche aspetti di storia e tradizione del territorio di riferimento.
Forma o Sostanza?
Ma poiché viviamo in un’epoca di forte accelerazione tecnologica, la sola digitalizzazione per quanto ancora largamente incompiuta non è più sufficiente a qualificare una moderna gestione di strutture culturali. Sia per l’adeguamento di quelle già esistenti che per la realizzazione di nuove è diventato indispensabile muoversi parallelamente su due direzioni:
- quella della progettazione architettonica in un’ottica di rigenerazione urbana e,
- quella della progettazione culturale, ovvero della destinazione d’uso supportata dalle più avanzate tecnologie disponibili sul mercato.
E qui sorge subito spontanea una domanda fondamentale: è più importante l’infrastruttura o il contenuto che deve essere da essa ospitato?
Ricorrendo a un parallelo di facile comprensione, quando si decide di realizzare una nuova soluzione informatica:
- si comincia sempre a fare un’analisi delle esigenze applicative che devono essere soddisfatte e solo successivamente,
- si passa a progettare un’architettura hardware adeguata a supportare i requisiti funzionali definiti.
Facendo il contrario si rischierebbe di avere un’infrastruttura sovradimensionata rispetto alle reali esigenze operative, quindi costi elevati e spreco di risorse, oppure un’infrastruttura sottodimensionata e quindi prestazioni scadenti con vincoli di utilizzo e di ampliamento futuro.
E allora perché quando si affronta lo sviluppo di servizi culturali l’approccio dovrebbe essere diverso?
La progettazione architettonica
Nonostante ciò le più recenti correnti di pensiero tendono a privilegiare la progettazione architettonica degli spazi anteponendola alla definizione della loro destinazione d’uso. Questo succede perché è:
- più facile reperire finanziamenti per mettere in atto azioni di rigenerazione urbana,
- piuttosto che per creare strutture mirate a soddisfare reali esigenze culturali.
La rigenerazione urbana è più semplice:
- parte da spazi esistenti che devono essere riqualificati,
- coinvolge quasi esclusivamente aspetti urbanistici e architettonici,
- l’importante è creare impatto visivo esterno poi si deciderà cosa metterci dentro.
La progettazione culturale è più complessa perché bisogna partire dall’analizzare:
- il bacino di potenziale utenza (fruitori),
- gli interessi e le aspettative delle parti interessate (stakeholders),
- quali contenuti proporre e come renderli accessibili.
È già successo molte volte in passato di costruire strutture completamente avulse dal contesto sociale circostante: cito il caso a me noto riguardante la realizzazione di un teatro di concezione architettonica innovativa ma nato con evidenti problemi di acustica, dimensionato su 800 posti a sedere (con conseguenti alti costi di gestione) ma collocato nelle vicinanze di una grande città già dotata di altri teatri importanti. Risultato: afflusso medio di pubblico per spettacolo inferiore alla metà dei posti disponibili, quindi con entrate insufficienti a coprire i costi. Un esempio tipico di struttura edificata solo per visibilità politica e realizzata senza un’analisi preliminare del contesto e del bacino d’utenza, senza una valutazione attenta della sostenibilità economica nel tempo.
La progettazione culturale
La risposta ovviamente è SI, perché la cultura non è mai abbastanza e il patrimonio di cui disponiamo va salvaguardato e costantemente integrato.
Ma i tempi odierni richiedono anche uno sforzo di innovazione da attuare mediante un approccio multidisciplinare dove storia, arte e letteratura si sposano con scienza e tecnologia per raggiungere un pubblico sempre più ampio con nuove suggestioni, nuovi linguaggi e nuovi canali di divulgazione.
Le più recenti esperienze a livello mondiale dimostrano la forte attrattività dell’ibridazione tra scienza e umanesimo che si sostanzia nella rigenerazione di ex aree industriali o militari dismesse la cui storia viene recuperata e valorizzata grazie all’integrazione con le discipline tradizionali e con quelle del futuro.
Il prossimo futuro
I moderni hub culturali sono dunque luoghi fisici/virtuali che ospitano musei, teatri e biblioteche insieme a planetari, laboratori di stampa 3d e robotica, coworking e incubatori di start-up. La user-experience offerta non si limita alla sola digitalizzazione me si spinge verso le tecnologie di spatial-computing: realtà aumentata (AR) per aggiungere dettagli informativi a quanto direttamente visibile, realtà virtuale (VR) per creare scenari e simulazioni che ricostruiscono il passato, che allenano a gestire il presente, che aiutano a immaginare il futuro, intelligenza artificiale (AI) per creare avatar di personaggi famosi (scienziati, artisti, filosofi, astronauti etc…) che diventano accompagnatori nelle scoperta delle discipline, testimonial della storia, grandi saggi che possono indicare percorsi futuri dialogando e interagendo con i visitatori in uno scenario immersivo.
Fantascienza? Non credo, ma anche se lo fosse pure la fantascienza è una espressione culturale degna di rispetto.