Pass Vaccinali

Pass vaccinali – L’importanza della certezza del diritto

24 marzo 2021

di Florinda SCICOLONE

Il giorno 1 Marzo 2021 il Garante della Privacy italiano ha pubblicato una nota di enorme rilievo nella quale esplicita il “no ai pass vaccinali(1) per accedere a locali o fruire servizi senza disposizione legislativa nazionale.

Il Garante, in particolare, indica, che: “i dati relativi allo stato vaccinale, infatti, sono dati particolarmente delicati e il loro trattamento non corretto può determinare conseguenze gravissime per la vita e i diritti fondamentali delle persone: conseguenze che, nel caso di specie, possono tradursi in discriminazioni, violazioni e compressioni illegittime di libertà costituzionali”.

Conseguentemente, il Garante ritiene che il trattamento dei dati vaccinali ai fini di accesso a determinati locali o di fruizioni di determinati servizi, debba essere oggetto di una norma di legge nazionale ad hoc che risulti conforme ai principi della normativa privacy in vigore.

Quindi una legge nazionale nella quale deve essere prevista il bilanciamento tra interesse pubblico e interesse individuale alla riservatezza.

Importante, è la conclusione della nota, la quale esplicita che: “in assenza di tale eventuale base giuridica normativa – sulla cui compatibilità con i principi stabiliti dal Regolamento UE il Garante si riserva di pronunciarsi – l’utilizzo di qualsiasi forma, da parte di soggetti pubblici e di soggetti privati fornitori di servizi destinati al pubblico, di app e pass destinati a distinguere i cittadini vaccinati dai cittadini non vaccinati è da considerarsi illegittimo”.

Ritengo, a tal proposito, analizzare la questione giuridica posta in rilievo, facendo un passo indietro, ritornando al Febbraio 2020, quando è piombato nella vita di tutti noi un fulmine al ciel sereno chiamato “Covid-19”.

Un virus che ha stroncato vite umane, destabilizzato le nostre esistenze, il mercato del lavoro, l’economia tutta. Nel vortice dello stravolgimento è rimasta vittima, anche la certezza del diritto. Stravolgimento legittimo in nome dell’eccezionalità del momento.

Infatti, nel nostro ordinamento abbiamo assistito al sacrificio di alcuni diritti, in virtù, della difesa di altri diritti primari e inviolabili come la tutela della salute, la salvaguardia delle vite umane. Sia pure, nella deroga legittima della tutela di alcuni diritti, in virtù di altri, però, viene da declinare il pensiero verso il sospetto che l’eccezionalità del periodo drammatico, tutt’ora in corso, possa generare, in taluni casi, il rischio di perdere di vista un punto fermo che, invece, deve regnare sovrano e indiscusso in uno stato di diritto, ovvero che tutto deve essere, comunque, regolamentato sotto l’ègida di norme precise, le quali conferiscono in questo modo la certezza del diritto.

Conseguentemente, “l’eccezionalità del diritto”, causato dall’emergenza sanitaria, deve sempre assolvere un bilanciamento tra il diritto alla salute e gli altri diritti fondamentali della persona, quali ad esempio il diritto alla tutela del trattamento dei dati personali. Si ricorda che nel maggio 2020 il Gruppo di Lavoro di bioetica Covid-19 dell’Istituto Superiore Sanità ha presentato un documento proprio in materia di protezione dei dati personali nell’emergenza Covid-19(2). Il documento de quo indica che “Etica e diritto sono strettamente intrecciati. La salute e la protezione dei dati personali sono due ambiti in cui tale intreccio è particolarmente fitto”.

Mi permetto di prendere in prestito questa espressione del Gruppo di lavoro di bioetica perché è importante riflettere sull’intreccio, particolarmente, fitto tra diritto ed etica che pone il diritto alla salute e il diritto alla protezione dei dati personali. Infatti, tra le normative che hanno subito maggiori deroghe, vi è il diritto alla tutela del trattamento dati personali. Deroga applicata in modo legittimo, in quanto è proprio il Regolamento europeo GDPR 16/679(3) che disciplina i casi eccezionali ai sensi dell’art 9, lettera b) motivi di sicurezza sociale e ai Considerando al n. 73 GDPR.   A tal proposito, infatti, il Comitato Europeo per la protezione dei dati personali il 19 marzo 2020 ha adottato una Dichiarazione sul trattamento dei dati personali nel contesto dell’epidemia(4) ed ha stabilito che “la liceità del trattamento se è necessario per motivi di interesse pubblico rilevante nel settore della sanità pubblica. In tale circostanza non è necessario basarsi sul consenso dei singoli”. Con la dichiarazione de qua l’European Data Protection Board ha considerato, quindi, la tutela degli interessi della collettività nell’emergenza sanitaria fattispecie rientrante nell’art. 9 lett b) che esclude eccezionalmente il consenso al trattamento dei dati da parte del singolo. Tale deroga deve essere sempre prevista, però, in ossequio ad una compensazione equilibrata tra diritti individuali ed interessi collettivi. Ed, altresì, deve essere prevista in conformità, di precisi criteri, che sono quello:

  • della proporzionalità che si ritrova proprio ai Consideranda n.4 del GDPR e,
  • della temporaneità.

Infatti, lo stesso Comitato Europeo ha dichiarato che tale deroga e limitazioni al consenso esplicito del singolo previsto dall’art. 9 lett. b ) deve essere applicata solo nella misura strettamente necessaria. Il Garante Privacy italiano sempre nel marzo 2020 ha dichiarato che tale deroga deve essere intesa nel senso proprio della temporaneità, quindi, nel momento in cui è scoppiata l’emergenza pandemica, in quel momento assolveva il criterio della temporaneità.

Ecco, quindi l’importanza, in tal materia, della nota del Garante emanata lo scorso 1 marzo, che indica che il trattamento dei dati vaccinali senza legge può tradursi in:

  • violazione della normativa privacy,
  • in discriminazione e
  • compromissioni di libertà personali.

Affermazione di notevole importanza giuridica perché la questione pass vaccinale riguarda proprio il bilanciamento tra diritti della persona ed etica. Nel senso che la tutela del trattamento dei dati personali è la punta di un iceberg della tutela di tanti diritti costituzionalmente garantiti, come l’art. 32 Costituzione, l’art. 2 e art. 3 Costituzione.

Infatti, la questione che vi è alla base dei pass vaccinali ritengo sia molto delicata perché il pass vaccinale, in via astratta, presupporrebbe in sé come ratio un obbligo materiale della vaccinazione anti Covid-19. In quanto se il cittadino di fatto non può fruire di un servizio o non può accedere in luogo se non dimostra la vaccinazione attraverso un pass, conseguentemente, comporterebbe in sé, una discriminazione, art. 2, 3, costituzione, verso chi non ha eseguito il vaccino. Conseguentemente, quindi, violerebbe l’art. 32 della Costituzione che prevede che “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge(5). La giurisprudenza della Corte Costituzionale ha inteso far rientrare nel concetto espresso di trattamento sanitario obbligatorio anche, l’imposizione vaccinale, quando, però, non vi sia altro rimedio per la tutela della collettività e quando vi sia la certezza indiscussa della comunità scientifica nazionale ed internazionale verso il vaccino in questione.

Fermo restando che l’inoculazione di un vaccino non debba provocare danni al singolo, ciò risulta nel caso per esempio di soggetto affetto da gravi allergie e per il quale potrebbe risultare controindicato. Quindi la situazione è, alquanto, complessa perché significherebbe che un pass vaccinale tratterebbe altri dati sanitari, cioè altri dati sensibili che riguardano lo stato di salute generale del soggetto che indicano per esempio i motivi clinici, quindi dati sanitari che riguardano anamnesi del soggetto che gli impediscono la somministrazione di un vaccino. Conseguentemente, in questo modo, sarebbe in violazione del Regolamento Europeo GDPR 16/679 perché per trattare i dati sanitari di un soggetto è obbligatorio raccogliere il consenso esplicito e specifico del singolo di volta in volta.

Il pass indicherebbe, pertanto, di fatto un obbligo vaccinale che deriverebbe dall’impedire la fruizione di determinati servizi o accesso a luoghi se non vaccinato. Ma, nel nostro ordinamento un obbligo materiale in materia d’imposizione vaccinale risulterebbe illegittimo. Infatti, la giurisprudenza della Corte Costituzionale ha affermato con sentenza n. 5/2018(6) il principio secondo cui l’obbligo vaccinale per motivi di tutela della comunità, può essere previsto, però, solo in seguito ad una disposizione di legge, anche con una decretazione d’urgenza che si converta in legge. Significa che vige il principio della riserva di legge in tal materia, che ne disciplina i contenuti dell’obbligo de quo che potrebbe per esempio riguardare solo una determinata categoria perché maggiormente a rischio per sé e per tutela della comunità.

Anche se è opportuno ricordare che nel Gennaio scorso l’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha approvato un rapporto(7) nel quale indica che gli Stati devono avvertire i cittadini che il vaccino anti-covid non è obbligatorio, bensì una libera scelta. Ricordiamo che il Consiglio d’Europa è un organizzazione internazionale autonoma che non fa parte dell’Unione Europea, è un osservatore dell’Assemblea delle Nazioni Unite sui diritti umani con sede a Strasburgo. Ma i rapporti del Consiglio d’Europa non sono atti vincolanti per gli Stati membri. Quindi l’Italia, malgrado, faccia parte del Consiglio d’Europa, non è vincolata al rapporto emanato da codesto organismo. Conseguentemente, oggi, rimane in essere l’orientamento giurisprudenziale della Consulta che ha affermato che una legge potrebbe porre un’imposizione vaccinale. Invece, quello che non potrebbe accadere è che un pass vaccinale, preveda tale obbligo attraverso un meccanismo sanzionatorio, che consisterebbe nell’impedire a un cittadino l’esercizio di alcuni diritti per il solo fatto di non essere vaccinato.

Risulta utile indicare, anche, come avrebbe ripercussioni – per esempio – per un lavoratore, che una volta finita l’emergenza sanitaria, dovrà ritornare a muoversi negli aeroporti nazionali, stazioni ferroviarie con frequenza per eseguire trasferte aziendali. Nei luoghi di lavoro vige l’art. 2087 codice civile che impone al datore di lavoro di adottare misure necessarie per tutelare l’integrità fisica del prestatore di lavoro ed, altresì, vige la specialità del Testo Unico sulla salute e sicurezza del lavoro D.Lgs. 81/2008(8). Pertanto, ai sensi dell’art. 279 “il datore di lavoro su conforme parere del medico competente, adotta misure protettive per quei lavoratori per i quali, anche per motivi sanitari individuali, si richiedono misure speciali di protezione”, fra le quali, ai sensi del comma secondo, “la messa a disposizione di vaccini efficaci per quei lavoratori che non sono già immuni all’agente biologico presente nella lavorazione, da somministrare a cura del medico competente”. Tale norma per comprenderne l’applicazione in materia di Covid-19 deve essere letta alla luce della Direttiva U.E 2020/739(9), recepita con legge 159/2020(10) che ha inserito tra gli “agenti biologici… che possono provocare malattie infettive”.. per l’uomo anche il virus SARSCOV-2 (Covid-19).

Ne consegue che stante la mancanza di legge fino a questo momento che impone l’obbligatorietà della vaccinazione al cittadino, un lavoratore, ai sensi del combinato disposto art. 279, comma secondo e Direttiva UE 2020/739, in determinati contesti lavorativi, ad esempio nel settore sanità, cioè dove risulta più alto il rischio contrazione del virus.  In queste ipotesi, il datore di lavoro, previo parere del medico competente, può raccomandare la necessità della vaccinazione per tutela della salute nei luoghi di lavoro. Però, il Garante della Privacy, in una nota il 17 febbraio scorso(11), ha chiarito che il datore di lavoro non può conoscere i nomi dei lavoratori che si sono vaccinati, può, soltanto, acquisire dal medico competente il giudizio di idoneità alla mansione specifica. Comunque, il lavoratore, in assenza di una legge che ne disciplina l’obbligatorietà, può essere libero di rifiutarsi.

L’Inail, a questo riguardo, lo scorso 1 marzo(12), in una nota operativa, in tal guisa, ha evidenziato, però, che il lavoratore che rifiuta di vaccinarsi e rimane contagiato nel luogo di lavoro ha pur sempre diritto alla tutela infortunistica, ma non al risarcimento da parte del datore di lavoro, perché risulta in questa circostanza esonerato da responsabilità. Ci sono, però, categorie e mansioni che riguardano dipendenti che nei luoghi di lavoro non sono esposti al rischio e quindi non rientrano nella previsione normativa sopra indicata.

Tornando all’esempio sopra citato, ci si potrebbe trovare, quindi, nella situazione paradossale di un dipendente, che sia pure nel luogo di lavoro, non ricopra una mansione che lo espone a rischio, pertanto, non viene chiesto dal datore di lavoro, previo parere del medico competente, la raccomandazione dell’inoculazione del vaccino ai sensi dell’art. 279, comma secondo D.Lgs. 81/08 e Direttiva U.E 2020/739. Però, con il pass vaccinale lo stesso lavoratore risulterebbe limitato e discriminato a porre in essere trasferte aziendali nazionali perché non avrebbe accesso a determinati luoghi ad esempio un aeroporto, ad una stazione in quanto non vaccinato. Cioè, sarebbe discriminato non solo come cittadino per il solo fatto di non avere accesso a determinati luoghi, in modo illegittimo, ma, anche, come lavoratore perché costui potrebbe avere conseguenze di possibile ricaduta nel rapporto di lavoro subordinato, in quanto, cessata l’emergenza sanitaria, quindi, in condizioni di normalità, il lavoratore è tenuto ad eseguire le trasferte, qualora queste siano necessarie perché rientrano nello svolgimento della mansione.

A conclusione, una piccola riflessione per quanto riguarda la recentissima proposta legislativa del c.d. “Digital Green Certificate(13)(14) presentata dalla Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen lo scorso 17 marzo in una conferenza stampa. La proposta de qua ha per oggetto il fine della creazione di un certificato vaccinale digitale nel quale dovrebbe essere indicato:

  • la vaccinazione eseguita oppure,
  • l’esito di un tampone negativo oppure,
  • la presenza di anticorpi che dimostrano la guarigione del Covid.

Il certificato vaccinale europeo sembrerebbe essere inteso come “conditio sine qua non” per muoversi all’interno dell’U.E. Sempre a questo riguardo, è opportuno ricordare, però, che l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (che è diverso del Consiglio Europeo) lo scorso Gennaio 2021, nel rapporto sopra citato, aveva indicato il no ai passaporti vaccinali. Anche, la Direttrice del Dipartimento d’immunizzazione dell’OMS ha indicato, recentemente, in audizione al Parlamento U.E che, attualmente, non ci sarebbero le condizioni per proporre un passaporto vaccinale internazionale.
Ma, malgrado queste indicazione di organismi autorevoli internazionali, non avendone valore vincolante, la Commissione europea ha presentato una proposta legislativa, sembrerebbe di regolamento europeo per il passaporto vaccinale, quindi, sarebbe, in questo modo, con efficacia erga omnes. Qualche giorno prima, anche, la direttrice del Centro Europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie aveva mostrato le sue perplessità, nel corso di un’ audizione alla Commissione Sanità del Parlamento europeo, verso un documento in tal guisa.

Quello che in questa fase di certo si può affermare, visto l’importanza e l’infinita delicatezza dei diritti che ivi saranno contemplati in un certificato di questo tipo, è che se una scelta legislativa troverà seguito e se dopo l’iter procedurale, troverà approvazione, ovviamente:

  • non potrà essere in contrasto con le norme del Regolamento Europeo GDPR 16/679, ma anche
  • non potrà essere in contrasto con l’art. 45 del trattato di Nizza(15), il quale prevede “che ogni cittadino dell’Unione ha il diritto di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli stati membri”.

L’excursus sopra delineato fornisce, pertanto, la convinzione assoluta che soltanto la certezza del diritto può assolvere l’applicazione dei principi etici a tutela dei diritti fondamentali della persona.

 


Per approfondimenti, consultare i seguenti link e/o riferimenti:

(1)   Comunicato Stampa “Covid: pass vaccinali” –  Garante per la Protezione dei Dati Personali, 01-03-2021

(2)   Rapporto ISS COVID-19 n. 42/2020, Protezione dei dati personali nell’emergenza COVID-19 –  Gruppo di lavoro Bioetica COVID-19,  28 maggio 2020

(3)   Regolamento (UE) 2016/679 – Protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali – GDPR

(4)   Dichiarazione sul trattamento dei dati personali nel contesto dell’epidemia da COVID-19  –  EDPB,  20 Marzo 2020

(5)   Costituzione

(6)   Corte Costituzionale – Sentenza  5/2018

(7)   Covid-19 vaccines: ethical, legal and practical considerations – Council of Europe,  11 January 2021

(8)   D. Lgs. 81/2008, Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro

(9)   Direttiva UE 2020/739 del 3 giugno 2020

(10)  Legge 159/2020 del 27 novembre 2020

(11)  Vaccinazione anti Covid-19 nel contesto lavorativo –  Garante per la Protezione dei Dati Personali, 17 febbraio 2021

(12)  Tutela assicurativa Inail e rifiuto di sottoporsi a vaccino anti Covid-19 da parte del personale infermieristico  –   INAIL, 01-03-2021

(13)   Covid-19: Certificati Verdi Digitali –   Commissione Europea

(14)   Proposal for a Regulation on interoperable certificates on vaccination, testing and recovery (Digital Green Certificate)  –  European Commission,  17 Marzo 2021

(15)   Trattato di Nizza,  10 marzo 2001

 



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