work life balance lavoro centralita

Lavoro al centro di cosa?

29 aprile 2024

di Giovanni COSTA

È difficile trovare qualche imprenditore, manager, funzionario pubblico o politico che non si dichiari per la centralità delle risorse umane.

E ancora più difficile trovarne due che concordino sul significato di questa centralità. L’espressione è ormai consunta e rischia di diventare inutilizzabile.

Soprattutto a fronte della progressiva diminuzione del numero di coloro che si dichiarano per la centralità del lavoro nella loro esperienza esistenziale. Si rischia che al centro resti solo la palla di cui parla Matteo Renzi nel suo ultimo libro.

Eppure si stima che nel tempo di veglia di un lavoratore maschio occidentale medio le ore passate al lavoro siano sei volte le ore passate altrove per incombenze parentali. Sembra quindi legittima la richiesta di un riequilibrio tra generi e tra i tempi di lavoro e i tempi privati. Colpisce però che tale richiesta sia espressa con la formula «work-life balance» che sottende, pur con le inevitabili semplificazioni delle formule sintetiche, che il lavoro non sia vita, che esista un’insanabile concorrenza, o un vero e proprio conflitto, tra vita e lavoro.

È forse per questo che registriamo un crescente distacco nei riguardi di un lavoro che viene vissuto in termini strumentali e non per i suoi contenuti.

Un recente rapporto Censis-Eudaimon rileva che il 67,7% degli occupati italiani auspica una riduzione del tempo dedicato al lavoro. Questo desiderio si manifesta in misura crescente al crescere dell’età e raggiunge quasi il 70% tra gli over 50 per i quali sconfina presto nel pensionamento vissuto come liberazione. Mentre nei giovani si esprime attraverso l’esigenza di focalizzarsi su attività e valori personali ritenuti più importanti. Attualmente, il 30,5% degli occupati (34,7% tra i giovani) afferma di impegnarsi solo per lo stretto necessario. Una vera e propria fuga dal lavoro.

Siamo un po’ lontani dalla visione di un grande studioso del lavoro come Elliott Jaques (1917-2003): «Il lavoro di una persona non soddisfa solo i suoi bisogni materiali. In un senso molto profondo, gli dà una misura del suo equilibrio mentale». Secondo questa prospettiva la qualità della vita è in relazione con la qualità del lavoro ed entrambe influiscono sul valore generato.

Ma quando parliamo di lavoro intendiamo solo l’attività svolta all’interno di una relazione d’impiego?

Probabilmente dovremmo estendere il concetto di lavoro a tutte le attività, comprese quelle esterne al rapporto d’impiego:

  • il lavoro di cura e di supporto familiare,
  • il volontariato (quello vero),
  • le attività artistiche senza scopo di lucro e altro ancora.

Si tratta pur sempre di lavoro ancorché non retribuito. Dovremmo distinguere tra il valore generato per l’impresa e misurato in termini di efficienza, produttività e così via, e il valore generato per le persone stesse e per la società. Per le persone si deve capire che oltre al ritorno in termini economici è decisivo il ritorno in termini di gratificazione individuale e sociale, di coinvolgimento emotivo e professionale.

In questo non aiuta l’eclissi dei «mestieri» tradizionali e il loro dissolvimento in «mansioni» che si scompongono e ricompongono a un ritmo dettato più dalla tecnologia che da un disegno di costruzione di una figura professionale.

La concezione di questo disegno resta un fatto essenzialmente individuale che richiede impegno, motivazione e responsabilità. Richiede anche un ambiente adatto ad accoglierlo a valorizzarlo assumendo responsabilità verso la comunità e il futuro. Mentre sempre più spesso incontra un ambiente dominato dalla ricerca spasmodica di risultati economici di breve periodo, se non istantanei, senza memoria, senza visione, senza responsabilità. Dove la centralità del lavoro è solo una figura retorica che non trova certo consistenza nell’esperienza di lavoro in sé e che non può essere surrogata da qualche (per altri versi apprezzabile) misura di welfare aziendale, di smart working e simili.

Intervento di Giovanni COSTA, Professore Emerito di Strategia d’impresa e Organizzazione aziendale all’Università di Padova. Ha svolto attività di consulenza direzionale e ricoperto ruoli di governance in gruppi industriali e bancari. (www.giovannicosta.it)


Pubblichiamo questo articolo per gentile concessione dell’Autore. Fonte, Corriere del Veneto dorso regionale del Corriere della Sera del 28-02-2024)



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