criptovalute-riciclaggio

La corsa all’oro 4.0: criptovalute – intermediazione finanziaria abusiva – riciclaggio

13 aprile 2022

di Nicola LORENZINI

Non è facile spiegare cos’è una cripto valuta

Per essere più semplici possibile, possiamo affermare che è un sistema di pagamento digitale, non controllato da un ente centralizzato, e tanto meno una Banca centrale, ne ha il controllo, l’emissione e l’utilizzo.

Una vera e propria rivoluzione delle transazioni, che permette di scambiare valore ed investire, senza che vi sia contatto fisico, ma diversamente dai bonifici, dalle carte di credito o altri sistemi di pagamento non implica il pagamento di servizi, ma liberalizza le transazioni e lo scambio di valori in modo concreto e fruibile, tanto che oramai si contano migliaia di cripto valute, circa una trentina sono le più utilizzate, che sono completamente affidate agli utilizzatori, che semplicemente con uno smartphone e una rete peer to peer dialogano, scambiano e trasferiscono.

La normativa italiana è all’avanguardia europea in quanto per prima a livello comunitario, in occasione della legiferazione di recepimento della normativa antiriciclaggio, (d.lgs. n. 231/07), ha introdotto una definizione di crypto asset poiché, da sempre, come si è anticipato, tali particolari forme di valore digitale vengono spesso ricollegate a sofisticati ed innovativi fenomeni di riciclaggio di denaro.

Il legislatore comunitario con la Direttiva (UE) 2018/843 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 30 Maggio 2018, che modifica la Direttiva (UE) 2015/849 relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo e che modifica le direttive 2009/138/CE e 2013/36/UE, ha affrontato in modo chiaro la pericolosità dell’utilizzo delle valute virtuali per scopi illeciti.

I prestatori di servizi, la cui attività consiste nella fornitura di servizi di cambio tra valute virtuali in valute aventi corso legale e i prestatori di servizi di portafoglio digitale, godevano di un “buco” normativo, che non li obbligava ad adempiere agli obblighi di adeguata verifica, individuazione del titolare effettivo e segnalazione di operazioni sospette. La prima preoccupazione del legislatore era ed è la possibilità di fruire delle transazioni digitali mantenendo uno pseudo anonimato, che potenzialmente consente un uso improprio per scopi criminali. Purtroppo anche il legiferare in tal senso con l’inclusione dei prestatori di servizi e dei prestatori di servizi di portafoglio digitale, non risolverà il problema dell’anonimato delle operazioni in valuta virtuale, che sarà sempre possibile fintanto che globalmente non vengano attuate medesime politiche. Le operazioni criminali sicuramente non ricorreranno ad exchange cripto trasparenti, gran parte dell’ambiente delle valute virtuali rimarrà probabilmente caratterizzato dall’anonimato.

Per tentare di superare questi rischi legati all’anonimato è necessario un sistema che monitori e associ gli indirizzi delle valute virtuali all’identità del proprietario di tale valuta, stimolando l’utenza ad auto dichiararsi su base volontaria in fase di registrazione, associata per gli Exchange, ad una ferrea attuazione KYC.

Il Legislatore nazionale, spinto da queste necessità, ha come noto, con il d.lgs. n. 125 del 4 ottobre 2019 in attuazione della V direttiva antiriciclaggio UE 2018/843 introdotto nel d.lgs. 231/2007 ulteriori apposite misure volte a fronteggiare fenomeni di riciclaggio connessi all’impiego di valute virtuali.

In particolare, si è inteso ampliare la definizione di «valuta virtuale» di cui all’art. 1, comma 2, lett. qq), d.lgs. 231/2007, includendo anche «la finalità di investimento», nella definizione di valuta virtuale

Mentre nella definizione all’art. 1, comma 2, lett. ff) d.lgs. 231/2007 nelle attività di cambiavalute vi si ricomprende anche i servizi di conversione, ovvero l’ipotesi di conversione «in altre valute virtuali», e nella lettera ff-bis) si vanno ad definire i prestatori di servizi di portafoglio digitale.

La figura dell’Exchange e dei prestatori di servizi di portafoglio digitale (c.d. wallet provider) sono inseriti nella lista degli «operatori non finanziari» ai sensi del comma 5, dell’art. 3 d.lgs. n. 231/07, lett. i e i-bis) che quindi li si definisce In pratica, veri e propri broker che gestiscono un portafoglio virtuale per conto terzi.

Tali figure professionali risultano parificate ai tradizionali cambiavalute e pertanto, quali soggetti alle disposizioni antiriciclaggio, tenuti all’iscrizione in una sezione speciale del registro tenuto dall’Organismo degli Agenti e dei Mediatori (ai sensi dell’art. 128-undecies del Testo Unico Bancario).

Alla luce del notevole interesse, stante una offerta esponenziale di piattaforme digitali di trading di investimento in crypto assets, è necessario farli rientrare nella categoria di «strumenti» o «prodotti finanziari, e gli Exchange e i wallet providers devono essere destinatari degli obblighi inerenti alla normativa antiriciclaggio.

Ma stante il poliedrico utilizzo della criptovaluta, che come un giano a tre teste è investimento, valuta e bene riserva di valore; per poter determinare quando e se un acquisto di cripto valute è investimento finanziario, come principio si deve acclarare e verificare se l’operazione di cryptocurrency Exchange è effettuata per poi essere riconvertita in moneta legale e quindi finalizzata a conseguirne un profitto; in tal caso la transazione assume i canoni di investimento finanziario, ancorché atipico.

Il primo provvedimento che si rinviene nel nostro panorama nazionale è la sentenza del Tribunale Civile di Verona che con la pronuncia n. 195 del 24 gennaio 2017 ha definito la cripto valuta come «uno strumento finanziario utilizzato per compiere una serie di particolari forme di transazioni online».

Il servizio offerto dal promoter è stato qualificato dal Tribunale di Verona come attività professionale di prestazione di servizi a titolo oneroso svolta in favore dei consumatori. Il contratto derivatone, quindi, doveva informare a dovere i contraenti.

Pur essendo solo un promoter della piattaforma di scambio di valuta virtuale, la società coinvolta assume pienamente il ruolo di fornitore: si tratta di una persona fisica o giuridica, soggetto pubblico o privato, che nell’ambito delle proprie attività commerciali o professionali, è fornitore contrattuale di servizi finanziari oggetto di contratti a distanza (art. 67-ter, lett. c), il quale, attraverso un contratto a distanza che abbia per oggetto un servizio finanziario (art. 67-ter, lett. a) collochi tra il pubblico dei consumatori valute virtuali (cfr. Codice del Consumo, sezione IV-bis: Commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori).

Il soggetto che eroga tali servizi è tenuto, da norma, a un innalzamento degli obblighi informativi nei confronti del consumatore.

La piattaforma di investimenti online, anche sul fornitore (o promoter) del servizio ha obbligo di far comprendere nel dettaglio i contenuti dell’operazione economico-contrattuale, così da far maturare nell’investitore cliente una scelta negoziale meditata (art. 67-quater, Codice del Consumo).

Tali obblighi informativi non sono forma, ma sostanza in un mercato particolarmente volatile come quello delle cripto valute.

Per il consumatore si hanno notevoli rischi in quanto non è cosciente in cosa sta investendo se nell’ l’acquisto di valuta virtuale, o di prodotto finanziario collegato o se sta acquistando obbligazioni o azioni di una partecipazione sociale in una società.

Sicuramente recenti pronunce considerando produttrici di valore le “operazioni che generano materia imponibile” sono quindi rilevanti ai sensi dell’art. 67 del TUIR, quando, «in forza della natura delle operazioni poste in essere mediante detti valori, laddove e nella misura in cui detto utilizzo generi materia imponibile». una sorta di atipico capital gain laddove l’acquisto e la successiva vendita ad un prezzo maggiorato comporti un profitto per l’utente e come tale soggetto ad imposizione fiscale.

La giurisprudenza (leggasi pronuncia della Cassazione penale sez. II – 17/09/2020, n. 26807) ritiene che « quando la vendita di bitcoin è reclamizzata come una vera e propria proposta di investimento, con l’ausilio di pubblicità su appositi siti ove si danno così informazioni ai risparmiatori in grado di valutare se aderire o meno all’iniziativa, affermando ad esempio guadagni favolosi che “chi ha scommesso in bitcoin in due anni ha guadagnato più del 97%”», allora si deve ritenere che «la vendita di bitcoin venga reclamizzata come una vera e propria proposta di investimento»; per tali ragioni, dunque, si tratterebbe «di attività soggetta agli adempimenti di cui agli artt. 91 e seguenti TUF, la cui omissione integra la sussistenza del reato di cui all’art. 166, comma 1, lett. c) TUF»

È oramai chiaro che stiamo assistendo ad una rivoluzione che svela grandi opportunità e altrettanti potenziali rischi. L’Europa, è il più grande mercato globale delle criptovalute con il 25% sul «valore ricevuto» e la tecnologia dei registri distribuiti (Dlt, o più semplicemente blockchain) sta cambiando la nostra società e i rapporti e gli scambi tra le persone, compreso il mondo della finanza;

Anche il Governatore della Banca d’Italia, ha recentemente sottolineato «forti pericoli per gli investitori» e «in prospettiva implicazioni di rilievo per la stabilità finanziaria».

Entro il 2030 è atteso l’abbandono dell’uso del contante e inoltre, le criptovalute rappresenteranno a breve il 10% delle transazioni totali. Le criptovalute hanno lo scorso anno capitalizzato nel mercato 2.500 miliardi di dollari, e in Europa occidentale il comparto crypto nel 2021 è arrivato a 46,3 miliardi di scambi solo per investitori istituzionali.

Ecco perché è rilevante e indispensabile che la normativa Antiriciclaggio abbia abbracciato tutti i prestatori di servizi sia relativi all’utilizzo di valuta virtuale sia di portafoglio virtuale rendendoli dei presìdi antiriciclaggio e quindi obbligati a segnalare eventuali operazioni sospette.

Inoltre entro il 18 maggio sarà funzionante la Sezione speciale del Registro dei Cambiavalute tenuto dall’OAM al quale dovranno iscriversi i prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale e di servizi di portafoglio digitale che operano in Italia.

L’OAM fornirà, su richiesta, ogni informazione e documentazione detenuta alla luce della gestione della Sezione speciale del Registro a tutti i soggetti istituzionali impegnati nella lotta al riciclaggio e alla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo.

Tra i dati che potranno essere richiesti quelli relativi alle operazioni effettuate dai soggetti iscritti sul territorio della Repubblica italiana: dati identificativi del cliente, dati sintetici relativi all’operatività complessiva di ciascun prestatore di servizi relativi all’utilizzo di valute virtuali e prestatore di servizi di portafoglio digitale per singolo cliente.

Reati Connessi all’offerta – Truffe

Si riporta un caso di studi inerente la ”Raccolta di fondi illeciti e successivo investimento in valute virtuali” pubblicato dalla UIF della Banca d’Italia al n. 11 dei Quaderni dell’antiriciclaggio di luglio 2018, casi si studio in materia di contrasto al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo.

Il Caso riporta come una rete di soggetti Persone fisiche Tizio, Caio e Sempronio, titolari di numerose carte prepagate operava come punto di raccolta di fondi provenienti da varie zone del territorio nazionale con la finalità di trasferire le somme ricevute verso piattaforme di scambio e di investimento di valute virtuali individuate come le Persone giuridiche: − Alfa, Beta e Gamma, società estere attive nell’investimento e nel trading di valute virtuali.
Tizio, Caio e Sempronio ottenute le risorse in accredito effettuavano disposizioni di bonifico esteri a favore delle società Alfa, Beta e Gamma, operanti come piattaforme di investimento e compravendita di valute virtuali – fra cui “Bitcoin” – con rapporti bancari incardinati in vari Stati esteri, alcuni off-shore, anche diversi da quelli in cui risultavano localizzate le rispettive sedi legali.

Venivano svolti opportuni approfondimenti che portavano a constatare che le ricariche risultavano effettuate da una pluralità di persone fisiche da varie zone del territorio nazionale; l’analisi del profilo dei soggetti disponenti le ricariche ha rivelato la presenza, fra di essi, di nominativi indagati o condannati per traffico di stupefacenti e affiliazione ad associazioni mafiose o già segnalati alla UIF per l’utilizzo di fondi derivanti da frodi informatiche (c.d. phishing).

L’esperienza di vigilanza, fa emergere anche alcune metodologie di truffa con comportamenti ricorrenti.

“La modalità per raggiungere il potenziale investitore implicano ormai quasi sempre tecniche di marketing molto aggressive e ‘furbe’ come mail, chat, social network, oltre alle piû tradizionali telefonate.

I soggetti abusivi sono spesso società fittizie che dichiarano di avere sede in paesi extra-europei o che, se apparentemente localizzate in Ue, sono di fatto irreperibili.

Le attività proposte al consumatore riguardano spesso servizi di trading su piattaforme web e strumenti finanziari di complessa comprensione, come derivati con sottostanti, cripto-valute”.

I prodotti offerti abusivamente sono sempre più ‘atipici’ e collegati al mondo delle cripto-attività, ambito nel quale è possibile subire perdite integrali del proprio investimento.

Lo schema truffaldino è molto spesso riconducibile al noto ‘schemi Ponzi’ che assicura alti rendimenti ai primi clienti, creando un’illusione di guadagno per attrarre ulteriori clienti che subiranno perdite pesanti nel momento in cui la catena di interrompe.

Inoltre agli investitori viene spesso prospettato un ulteriore guadagno per il procacciamento di ulteriori clienti.

Questi ultimi schemi configurano pratiche commerciali scorrette che la Consob segnala all’Autorità Antitrust.

Il Dg di Banca d’Italia sottolinea anche la necessità di una maggiore educazione finanziaria: “Secondo le rilevazioni mirate della Consob la conoscenza delle cripto-valute e di alcuni servizi digitalizzati è poco diffusa. La quota di investitori che afferma di averne almeno sentito parlare oscilla tra il 19% per la consulenza automatizzata e il 39% per le cripto-valute“.

In tal senso si riporta una recente una indagine della Guardia di Finanza di Trento.

Nel novembre 2021 venne scoperta una truffa piramidale che ha portato nella rete oltre mille investitori in tutta Italia, compresi 43 in Veneto e 227 in Trentino Alto Adige.

Il gruppo è arrivato a raccogliere 2 milioni e 200mila euro con un finto progetto finanziario che consisteva nel «minare» (dall’inglese to mine, letteralmente «estrarre») nuova moneta virtuale attraverso l’acquisto di server.

L’accusa è di reati di associazione a delinquere finalizzata alla truffa aggravata, abusivismo finanziario, illecita raccolta del risparmio, falso in bilancio e bancarotta fraudolenta.

La Procura di Trento ha contestato la truffa milionaria in criptovaluta scoperta dalla guardia di finanza di Trento insieme allo Scico di Roma, ai danni di mille investitori, italiani, ma anche svizzeri, tedeschi e austriaci.

Secondo l’accusa e dopo mesi di indagini, si è constata proprio l’attività di un consorzio mondiale di società che operavano nel settore finanziario con sedi dislocate in Italia, Slovacchia, Lussemburgo, Regno Unito e Isole Vergini Britanniche. Un progetto finanziario, che consisteva nel creare una nuova criptovaluta attraverso l’acquisto di server utili alla coniazione della criptomoneta.

 



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