Mafia crime covid-19

Covid-19 e contrasto alle attività illecite

19 giugno 2020

di Nicola LORENZINI

LA CRISI FAVORIRÀ UN AUMENTO DELLE INFILTRAZIONI CRIMINALI DEL 30%

«La crisi post-Coronavirus rischia di favorire la diffusione di infiltrazioni mafiose nel tessuto economico, le stime parlano di un aumento della presenza del 20-30% in particolare nelle piccole e medie imprese». A lanciare l’allarme è l’Associazione Italiana di ricerca sul rischio riciclaggio (AML LAB) in occasione del webinar del 12 giugno scorso “Covid-19 e contrasto alle attività illecite, tra decretazione d’urgenza e rinvio della crisi d’impresa”.

Il convegno ha fatto chiarezza sui punti deboli e sulle fragilità del tessuto imprenditoriale, per comprendere e anticipare i passi falsi compiuti da imprenditori e professionisti intenti ad arginare una crisi di liquidità dilagante.

Gli ultimi dati raccolti dall’osservatorio AML LAB, in collaborazione con la Guardia di Finanza, mostrano un quadro preoccupante già in era pre- Coronavirus. Nel primo semestre 2019 in Veneto i soggetti segnalati per reati sintomatici di criminalità organizzata sono così ripartiti: 696 per riciclaggio, 363 per estorsione, 120 per omicidio doloso, 51 per danneggiamento seguito da incendio, 39 per autoriciclaggio, 34 per impiego di danaro beni o utilità di provenienza illecita, 27 per usura e 7 per trasferimento fraudolento di valori.

Il lockdown, una chiusura di Stato dell’economia nazionale, non si è mai verificato nella storia dei tempi moderni. Tale impensabile provvedimento ha causato un caos e una paura senza precedenti, che unito al repentino calo dei fatturati ha generato una sensazione di allarme sociale. Ad oggi è necessario affrontare il futuro con la cognizione dei rischi e delle opportunità. Tra le proroghe delle scadenze, il rinvio delle attività ispettive e degli accertamenti fiscali, il rinvio della normativa sulla crisi d’impresa, i finanziamenti alle imprese si annidano pericolose lacune.

Per scongiurare infiltrazioni mafiose, diventa fondamentale puntare sull’attività preventiva. «Mai come in questo periodo diventa fondamentale la collaborazione tra professionisti per creare un vero e proprio sistema anti-riciclaggio – spiega Nicola Gazzilli, comandante della sezione Riciclaggio Nucleo PEF GDF Guardia di Finanza Padova  -. Commercialisti, legali, operatori del sistema bancario, imprenditori e commercianti sono i primi baluardi del sistema di prevenzione. Nella crisi di liquidità vissuta dalle imprese l’organizzazione mafiosa trova il terreno ideale per ripulire il denaro proveniente dagli atti criminali, a cominciare dal traffico e spaccio di droga, compiuti altrove. Altro tema insidioso sono le truffe, spesso perpetrate on-line, che si nascondono dietro a false raccolte fondi per scopi benefici al tempo del Coronavirus».

Una recente ricerca a cura di Antonio Parbonetti, docente di Economia aziendale all’Università di Padova, ha studiato le sentenze per mafia che hanno coinvolto tutto il centro-nord Italia e ha verificato tramite visure camerali se le persone condannate per mafia erano azionisti o possedevano quote di S.r.l. o S.p.a. o se erano amministratori di società. Più di 400 “aziende criminali”, ovvero il 20%, sono risultate essere in Veneto. L’inchiesta ha preso in considerazione gli anni dal 2005 al 2016, che hanno coinvolto 160 operazioni di mafia, il che significa più di una al mese.

Il denaro sicuramente non manca alla criminalità organizzata poiché la mafia e la ’ndrangheta sono, a loro modo, illecito ovviamente, dei gruppi imprenditoriali molto redditizi. Il problema si presenta quando i soldi guadagnati devono essere riciclati, ripuliti e rimessi in circolo senza destare sospetti. Quale modo migliore di investirli direttamente in qualche piccola o media industria veneta, magari sfruttando qualche momento di difficoltà economica per presentarsi al cancello con una salvifica, si fa per dire, iniezione di capitale per tenerla in piedi e aggirare gli ostacoli frapposti dalle banche al momento della richiesta di prestiti?.

L’ultima relazione semestrale (primo semestre 2019) della DIA (Direzione Investigativa Antimafia) ha già segnalato infiltrazioni della criminalità organizzata calabrese, la nota inchiesta “Aemilia” ha portato all’arresto, nel giugno del 2015, di alcuni soggetti residenti in Veneto, riconducibili alla ‘ndrina calabrese GRANDE ARACRI. Altre conferme di questa proiezione criminale si sono avute con le operazioni “Stige” e “Fiore Reciso”, entrambe concluse nel gennaio 2018 e con l’operazione “Ciclope”, dell’aprile 2018.

Con riferimento a Cosa nostra, già alcune investigazioni del passato, avevano evidenziato la presenza di soggetti collegati a famiglie siciliane che riciclavano i capitali mafiosi con investimenti immobiliari a Venezia e nella provincia. Anche in tempi più recenti si è avuta conferma degli interessi criminali perseguiti da soggetti siciliani che soggiornavano nel territorio avendo il divieto di dimora nelle zone d’origine. Emblematico, in tal senso, il caso di un pregiudicato che, rientrato in Sicilia dopo aver soggiornato per lungo tempo in Veneto, è stato arrestato a fine del 2018, in quanto aveva preso parte al tentativo di ricostruzione della “cupola” di Palermo. Un cenno merita la criminalità pugliese che in Veneto, oltre attuare un “pendolarismo” criminale per la commissione di reati predatori, ha fornito i primi segnali anche di un’infiltrazione rivolta all’economia locale.

 



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