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Brexit e aspetti pratici doganali

10 febbraio 2021

di Gennaro Giancarlo TROISO

E torniamo all’accordo di libero scambio, senza dazi e quote. Si tratta di un accordo che evita di mettere a rischio gli scambi tra il Regno Unito e i 27 paesi della UE.

Nel 2019 la Gran Bretagna ha infatti esportato il 43% dei propri beni verso l’Unione Europea, mentre i singoli Paesi europei erano notevolmente meno esposti, dal momento che essi hanno esportato in media il 6,5% delle proprie merci verso Londra e per quel che riguarda in particolare il nostro Paese, Il Regno Unito è il quinto importatore di beni italiani.

È vero che l’accordo ha eliminato tariffe e quote, ma ha introdotto un gran numero di barriere non tariffarie come dichiarazioni doganali, licenze speciali, formalità e certificazioni, test di conformità e controlli, che si prevede potranno rallentare le procedure alle frontiere.


Sotto gli aspetti doganali, già prima della chiusura del deal, la Commissione Europea era da parte sua al lavoro sullo sportello doganale unico nell’UE. Si tratta di una soluzione digitale per una condivisione rapida ed efficiente dei dati elettronici tra le diverse Autorità coinvolte nello sdoganamento delle merci, tale da consentire alle imprese di completare le formalità di frontiera in un unico portale. Le dogane europee saranno quindi in condizione di verificare automaticamente che le merci siano conformi ai requisiti UE e che le formalità necessarie siano state espletate.

Un altro degli aspetti pratici che toccano il lavoro delle tante imprese, in buona parte PMI, che commerciano da e per il Regno Unito, riguarda il problema della marcatura delle merci. Dal 1° gennaio la Gran Bretagna è a tutti gli effetti un paese terzo rispetto alla UE, ed è quindi necessario il passaggio dalla marcatura “CE” a quella “UKCA” (United Kingdom Conformity Assessed), per immettere merci che prima richiedevano la marcatura CE, nel mercato UK. I requisiti della marcatura UKCA sono gli stessi della marcatura CE: il fabbricante dichiara che il prodotto è conforme ai requisiti di legge applicabili nel Regno Unito e che le procedure di valutazione della conformità sono state espletate con successo. Per quel che riguarda le nostre imprese, è utile a questo caso il supporto fornito dall’ICE / ITA (Italian Trade Agency).

Ho trovato interessante la lettura di un articolo del 28 dicembre scorso sul sito di “Federvini(1), dal titolo: “Brexit: scatta l’autocertificazione delle merci”. In esso viene esposto in breve che l’accordo di libero scambio non riguarda solo gli scambi di merci e servizi, ma anche altri settori, quali gli investimenti, la concorrenza, gli aiuti di Stato, la trasparenza fiscale, i trasporti aerei e stradali, l’energia e la sostenibilità, la protezione dei dati, il coordinamento in materia di sicurezza sociale, e la già ricordata pesca. Per poter operare beneficiando dell’assenza di dazi e quote per le merci, le imprese devono attestare che i propri prodotti rispettino le regole dell’origine delle merci e ne abbiano i requisiti richiesti. Per facilitare la conformità a tali regole e ridurre la burocrazia, le imprese possono autocertificare l’origine delle merci, tenendo conto:

  • sia dei materiali originari utilizzati,
  • sia che la lavorazione sia avvenuta in UK o in UE.

L’accordo, al fine anche di facilitare le procedure doganali, ha concesso il mutuo riconoscimento della qualifica di AEO, ovvero esportatore autorizzato.

Altrettanto interessante è stato leggere un altro articolo del 29 dicembre, ancora sul sito di “Federvini(2)”, che titola: “Brexit: quasi la metà delle aziende inglesi che importano dall’UE sono impreparate”. L’articolo riporta di una ricerca della banca Aldermore secondo la quale il 47% delle PMI che importano beni e servizi dalla UE e il 43% di quelle che esportano nella UE, non si sono preparate alla Brexit. Il dato secondo lo studio in parola appare preoccupante, perché per le PMI britanniche un 30% circa del fatturato proviene da imprese e clienti UE.

Leggere la parola dogana negli articoli che ho appena citato, mi ha fatto scattare la connessione mentale con: tributi, importazione, ed esportazione. Faccio una ulteriore ricerca, e trovo sul sito web di una società dedita alla rappresentanza istituzionale e alla consulenza alle imprese, un breve articolo esemplificativo in argomento, che mi pare appropriato al contesto del quale sto scrivendo. La mia onestà intellettuale mi impedisce di leggere per riproporre poi rimaneggiati, scritti di altri. Colgo quindi la loro disinteressata disponibilità in proposito e riporto qui parte del testo in parola, perché non potrei dirlo meglio a parole mie e perché lo trovo utile, riguardo la mia narrazione, a rappresentare con semplice chiarezza i principali profili doganali e tributari derivanti dalla Brexit. Salvi ovviamente tutte le istruzioni, aiuti e chiarimenti che vengono forniti in argomento dagli Uffici e siti istituzionali delle Autorità di Governo, domestiche e Comunitarie, impegnatissimi da qui ai prossimi due mesi ad illustrare con un gran numero di conferenze, seminari, incontri virtuali e webinar espressamente dedicati, i nuovi adempimenti richiesti alle imprese.

Sinteticamente:
“Post Brexit, la circolazione dei beni verrà considerata commercio con un Paese terzo, sia sotto il profilo doganale che per l’IVA e le accise. Le vendite di beni verso il Regno Unito non rappresenteranno più cessioni intracomunitarie, ma saranno soggette alle regole proprie dell’esportazione doganale, mentre gli acquisti di beni materiali dal Regno Unito daranno luogo a operazioni di importazione, con conseguente assolvimento dell’IVA in dogana. L’accordo infatti, pur scongiurando dazi e quote, non escluderà l’applicazione delle procedure doganali, né l’assolvimento dell’IVA e delle accise in dogana al momento dell’importazione, determinando comunque conseguenze giuridiche, finanziarie e operative, anche in termini di maggiori costi e tempi, per le oltre 50.000 imprese italiane che operano con il Regno Unito e che finora non hanno avuto necessità di svolgere operazioni doganali proprie del commercio con un Paese extra UE.

Posto che le cessioni di beni verso il Regno Unito non saranno più cessioni intracomunitarie, tracciabili soltanto con un documento di trasporto, bensì esportazioni doganali, gli operatori economici dovranno essere in grado di compilare una dichiarazione doganale di esportazione, indicando la classificazione, l’origine doganale e il valore della merce. Si tratta di un cambiamento significativo per i nostri esportatori, non tanto per gli adempimenti in sé, che normalmente sono delegati a un rappresentante doganale, quanto per le informazioni che sono necessarie per poterli eseguire. Diventa infatti fondamentale conoscere le caratteristiche essenziali del prodotto e il corretto incasellamento in una delle 9.500 voci della “Nomenclatura combinata” dell’Unione Europea, al fine di indicare la corretta classificazione della merce. Inoltre, occorre valutare attentamente l’origine doganale delle materie prime e dei semilavorati che compongono il prodotto, nonché analizzare le lavorazioni che hanno contribuito al risultato finale. Le aziende, pertanto, dovranno controllare la propria “supply chain” e verificare caso per caso le regole di origine applicabili.

Per procedere alla movimentazione verso il Regno Unito, si renderà necessaria una dichiarazione doganale di esportazione, tramite un rappresentante doganale, unitamente ai documenti commerciali e alle licenze, autorizzazioni o titoli eventualmente richiesti per quella tipologia di prodotto. Se non già provvisti, gli operatori dovranno richiedere il numero di identificazione Eori, necessario per le operazioni doganali. L’operazione di esportazione si perfeziona con l’attestazione di “uscita conclusa”, prodotta dal sistema informatico AIDA dell’Agenzia delle Dogane, che vale a dimostrare l’esportazione avvenuta, anche ai fini del riconoscimento del regime di non imponibilità IVA.
Nel Regno Unito i prodotti europei saranno soggetti alle procedure doganali di importazione, anche se, nei primi sei mesi, Londra ha previsto di ridurre al minimo le formalità, proprio per scongiurare colli di bottiglia e il formarsi di lunghissime code ai punti di frontiera. Come emerge dal “Border Operating Model”, infatti, soltanto a partire dal luglio 2021 i prodotti in arrivo dall’Unione Europea saranno trattati come merce di origine “Paese terzo” e, pertanto, soggetti agli ordinari controlli doganali alle frontiere inglesi.

Gli operatori economici che importano prodotti provenienti dal Regno Unito dovranno compilare una dichiarazione doganale di importazione, indicando l’esatta classificazione doganale del prodotto, con la specifica delle 10 cifre della tariffa doganale comune dell’UE, nonché l’origine e il valore della merce. I beni provenienti dal Regno Unito saranno trattati come prodotti provenienti da Paesi extra UE, pertanto dovranno essere immessi in libera pratica e saranno soggetti alle regole di accertamento proprie delle operazioni doganali. Gli importatori, se non già provvisti, dovranno dotarsi di un codice di identificazione Eori e, inoltre, dovranno assolvere l’IVA in dogana.

La trasformazione delle operazioni da acquisti intracomunitari a importazioni, comporta conseguenze finanziarie dal punto di vista IVA. Mentre con l’acquisto intra UE si realizza un’operazione neutra dal punto di vista finanziario, essendo l’imposta assolta mediante “reverse charge”, per le operazioni doganali l’IVA deve essere assolta in dogana, salvo l’utilizzo di un deposito IVA o doganale.

Il passaggio dalle regole proprie dell’acquisto intracomunitario all’importazione doganale, comporta inoltre una serie di obblighi dichiarativi dalle rilevanti conseguenze. È fondamentale la corretta compilazione della dichiarazione, anche se delegata a un doganalista o a una casa di spedizioni, considerato che eventuali errori comportano conseguenze, economiche e sanzionatorie, direttamente in capo all’impresa, nonché eventuali responsabilità di natura penale. Infine, occorre ricordare che ai prodotti UK si applicherà la normativa UE, relativa a tutti i controlli e le verifiche del rispetto delle norme doganali, sanitarie e fitosanitarie.”

Il risultato di tutto questo excursus, è che più leggo, più mi addentro in realtà e particolari che si sommano gli uni agli altri, mostrandomi la reale complessità e ampiezza dell’accordo. L’obiettivo che mi riproponevo scrivendo queste righe era quello di sottoporre al lettore uno spunto di idee, di riflessioni, e un minimo di dati su aspetti riguardanti ragioni e retroterra pro e contro la Brexit, fino ad arrivare allo spirito pratico del fare che ogni giorno accompagna i cittadini e le istituzioni. Nel riordinare le tante cose lette e procedere nello scrivere, ho acquisito consapevolezza – se già non ne avessi avuta abbastanza – della complessità che comporta anche la sola volontà di documentarsi, anche al solo fine di comprendere almeno l’essenziale dei mille e mille rivoli e intrecci che, consapevoli o meno, legano, se non gli Stati, i cittadini tutti dell’Unione Europea.

Per concludere, riporto quanto letto su “Il Sole 24Ore” del 18 gennaio: “La Brexit frena gli autotrasportatori italiani”, e del 20 gennaio: “Scenari post Brexit: inciampa l’export alimentare verso Londra”, e “Brexit, export di carne e pesce made in Britain al collasso”. Ho scorso questi articoli, e mi sono reso conto una volta di più di come davvero “il diavolo si nasconda nei dettagli”. L’accordo con la UE del 24 dicembre ha eliminato sì tariffe e quote e creato un’area di libero scambio, ma non ha eliminato le barriere non tariffarie. Sembra scontato da dire, e in effetti così suona, ma la strada delle imprese per arrivare a una “normalità” del vivere quotidiano, mi viene da pensare, sarà ancora lunga e forse non così agevole, dovendo essa in particolare fare necessario riferimento alle valutazioni e ai comportamenti delle persone che devono metterla in pratica.

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LEGGI QUI l’articolo precedente 1/2, Brexit. Impatto politico sociale dell’accordo appena raggiunto

 

Intervento del Dott. Gennaro Giancarlo TROISO, Consulente ed Esperto di compliance e AML in ambito finanza e intermediazione nonché Socio Fondatore di AICOM (Associazione Italiana Compliance)

 


Per approfondimenti, consultare i seguenti link e/o riferimenti:

Federvini – Brexit: scatta l’autocertificazione delle merci

Federvini – Brexit: quasi la metà delle aziende inglesi che importano dall’UE sono impreparate

Federvini – La Commissione europea al lavoro sullo Sportello doganale unico dell’UE

Commissione Europea – EU Single Window for Customs: Questions and Answers

Confartigianato Parma – Brexit: Le nuove regole dal 1 gennaio. ICE sostiene le PMI

ICE – Brexit: cosa cambia?

Imprese del Sud – ‘No Deal’ Brexit: ore di negoziati decisive per l’export delle PMI

SACE, Focus on – Brexit: un no-deal che colpisce anche l’Italia

Federvini – Brexit, da gennaio modifiche alle clausole Incoterms

Exportiamo.it  – Incoterms: cosa sono e a cosa servono

Commissione Europea – Horizon Europe, Il futuro programma di investimenti dell’UE per la ricerca e l’innovazione

Il Sole 24 Ore – Brexit al via: istruzioni per l”uso

Il Sole 24 Ore – Primo giorno senza la Ue, Londra è nell’era post-Brexit

Il Sole 24 Ore – Scenari post Brexit: inciampa l’export alimentare verso Londra

Il Sole 24 Ore – Argomenti: Brexit

 



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