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Sanità e accreditamento: la difficile transizione da autorizzazione amministrativa a tecnico-professionale

8 novembre 2021

di  Massimo BALDUCCI e  Anna Maria TISCIA

L’epidemia da covid 19 ha riaperto il dibattito sulla nostra sanità. Il 16 agosto, con il comunicato 54, il Ministro della Sanità ha annunciato interventi riformatori basati sul metodo dell’accreditamento.

L’impressione è che l’accreditamento sia stato citato in maniera non consapevole, anche se esso rappresenta necessariamente uno snodo tecnico ineludibile che si dovrà affrontare quanto prima se si vuole essere in regola con le normative dell’UE. In queste poche righe cercheremo di fare un po’ di chiarezza sul tema.

Ma cosa è questo accreditamento?

Con “accreditamento” ci si può riferire a tre situazioni diverse:

  1. accreditamento da parte di una associazione di enti o professionisti che accettano-accreditano solo chi risponde a certi requisiti (esempio associazione interpreti, ordini professionali);
  2. accreditamento di subfornitori da parte di una ditta capofila: se si tratta di un capofila pubblico si rientra nelle norme che regolano i mercati pubblici/appalti;
  3. accreditamento come pilastro del sistema di libera scelta dell’utente tra fornitori di servizi il cui costo è coperto dalle finanze pubbliche; anche qui si rientra nelle norme che regolano i mercati pubblici/appalti.

Nel caso 2 e nel caso 3 non si può non richiamare il Regolamento europeo 765/2008, il quale prevede che vi sia in ogni Stato membro un Ente unico di accreditamento che attesti la competenza, l’indipendenza e l’imparzialità degli organismi di certificazione, ispezione e verifica.
Nel caso 1 (accreditamento da parte di una associazione) l’accreditamento è realizzato dalla stessa organizzazione che accetta il soggetto accreditato. Nel caso 2 (accreditamento di subfornitori) se si tratta di ente privato può essere realizzato dallo stesso ente acquirente, se si tratta di ente pubblico bisogna avvalersi di un soggetto terzo tecnicamente abilitato come nel terzo caso (pilastro di un qualunque sistema di libera scelta). In questo terzo caso l’accreditamento serve a garantire la qualità del servizio mentre la libera scelta dell’utente è l’equivalente della selezione altrimenti realizzata con gara d’appalto. Si tratta di attivare una vera e propria catena di accreditamento top down che si configura come segue:

  • un ente sovranazionale, UNI-EN, accredita gli enti che, a livello nazionale, sono autorizzati ad accreditare gli enti in grado di accreditare, nei vari settori, le organizzazioni operative; in Italia l’ente abilitato ad accreditare gli enti accreditanti risulta essere ACCREDIA (si veda a tal proposito la recente decisione della Corte di Lussemburgo del 6 maggio 2021 nel caso C-142/2020(1).
  • ACCREDIA dovrebbe accreditare uno o più enti abilitati ad accreditare le strutture sanitarie.

Come è evidente il processo di certificazione ISO si interseca con la normativa europea.

Sanità e accreditamento: confusione organizzativa e normativa

La nostra sanità prende forma con la legge 833 del 1978, emanata in vigenza del testo originale della costituzione precedente alla riforma del Titolo V del 2001 quando le leggi regionali dovevano rientrare nei limiti fissati da leggi quadro nazionali (ne consegue che la sanità lombarda e quella pugliese sono sostanzialmente simili da un punto di vista strutturale). La struttura può essere schematicamente riassunta nei punti seguenti:

  • la sanità è basata su una struttura territoriale, la Unità Sanitaria Locale (USL);
  • nell’ambito di ciascuna USL, successivamente denominate Aziende USL o ASL si trovano dei presidi ospedalieri, dei distretti (sostanzialmente si tratta di poliambulatori) e dei medici di base;
  • il compito del medico di base è quello di smistare il paziente.

Le prestazioni sono gratuite (con l’eccezione di un ticket introdotto in un secondo momento) ma il paziente non può scegliere il professionista da cui farsi curare ed è costretto a lunghissime liste di attesa, spesso incompatibili con l’urgenza della patologia di cui soffre.
Qui va notato che in questo sistema sia il presidio ospedaliero che il distretto/poliambulatorio sono privi di personalità giuridica e di autonomia contabile.
Accanto a questa struttura sopravvivono vari elementi di natura privatistica: medici specialistici, cliniche private etc.

Con il DLgs 502/1992 come successivamente modificato e integrato dal DLgs n. 517/93 e dalla L.724/94 (riforma DE LORENZO) ci si propone di mettere la struttura pubblica e quella privata in competizione tramite l’accreditamento. Il cardine dovrebbe essere rappresentato dalla libera scelta del cittadino, tra strutture giudicate idonee con un processo oggettivo, indipendentemente se pubbliche o private, che dovrebbero possedere i requisiti minimi rispondenti ai criteri fissati nell’atto di indirizzo e coordinamento, adottato secondo i dettami contenuti dell’art. 8, comma 4, DLgs n. 502/92.

Qui inizia il tormentone della implementazione della norma e ci si impiglia su di un problema: chi accredita? Sino a quel momento le strutture private potevano operare se ottenevano una autorizzazione dalle strutture pubbliche. Le strutture pubbliche non avevano bisogno di alcuna autorizzazione. Ma l’accreditamento, parola accattivante e affascinante ma dal significato sconosciuto, che cosa richiede?
Di fatto si richiederebbe, ai sensi del Regolamento europeo 765/2008, una struttura terza professionalmente e tecnicamente abilitata che accreditasse sia le strutture pubbliche che quelle private.

Il legislatore italiano prende un’altra strada. La logica della preminenza del pubblico sul privato si riafferma progressivamente con il DPR n. 54 del 14 gennaio 1997, con il quale inizia a chiarirsi il fatto che autorizzazione ed accreditamento sono atti distinti; mentre “l’autorizzazione” costituisce il presupposto indispensabile per poter esercitare un’attività sanitaria (solo il privato la deve avere perché le strutture pubbliche l’hanno per la loro stessa natura), “l’accreditamento” è quel quid pluris rispetto all’autorizzazione che consente, non solo di esercitare un’attività sanitaria, ma di agire per conto del Servizio Sanitario Nazionale, e che può essere riconosciuto solo a seguito del comprovato possesso di requisiti ulteriori rispetto a quelli necessari per l’autorizzazione. L’art. 2, comma 5, lett. a) del citato DPR, individua, poi, in maniera precisa tali requisiti là dove è chiaro che non si tratta di requisiti tecnico-professionali ma che devono essere “funzionali alle scelte di programmazione regionale”. La sanità viene definita dall’offerta di servizi e non dalla domanda di salute.
Attualmente le strutture pubbliche (ospedali e distretti/poliambulatori) si accreditano o con una autocertificazione o tramite un atto realizzato da altre strutture della ASL (di solito quelle demandate al monitoraggio ambientale non confluite nelle Aziende Regionali per la Protezione Ambientale) configurando la situazione del controllore-controllato. Le strutture private vengono accreditate da strutture prive di personalità giuridica e di abilitazione all’accreditamento.

Che cosa si dovrebbe accreditare

Il problema non è solo rappresentato da chi è abilitato ad accreditare ma anche da che cosa debba essere accreditato. L’accreditamento deve riguardare tre aspetti:

a. processi (per questo aspetto la procedura di accreditamento equivale alla procedura di certificazione di qualità secondo il metodo ISO);

b. strumenti e strutture;

c. competenze (intese come inventari di saperi e saper fare e non semplicemente come titoli di studio; per un esempio significativo si veda l’inventario delle competenze utilizzato dalla sanità francese(2).

Dopo la riforma del Titolo V della Costituzione la “pratica” dell’accreditamento è stata ripresa dalla Conferenza Stato Regioni che ha emanato alcune linee guida(3)(4). L’analisi di queste linee guida evidenzia i seguenti punti al di là di ogni dubbio:

  • i requisiti relativi alle strutture e agli strumenti sono abbastanza ben declinati;
  • i requisiti relativi ai processi sono delineati in maniera piuttosto imprecisa e non corrispondono agli standard ISO;
  • i criteri relativi alle competenze si limitano ad indicare titoli di studio e non approfondiscono gli inventari dei saperi e dei saper fare necessari.

Va qui ulteriormente notato che la procedura corretta di accreditamento delle strutture che erogano servizi sanitari (ospedali e poliambulatori) richiede che le strutture accreditate godano di una piena ed esclusiva autonomia, cosa non possibile per i nostri presidi ospedalieri e per i nostri distretti/poliambulatori privi di personalità giuridica e di autonomia contabile.

Considerazioni conclusive e suggerimenti

La vicenda dell’accreditamento delle strutture sanitarie è, peraltro, anche sicuramente riconducibile ad una confusione concettuale diffusa sui meccanismi dell’accreditamento. Confusione che investe non solo il settore sanitario ma anche altri settori in cui si cerca di introdurre questo approccio. Basti pensare all’ANVUR (l’organismo di certificazione e valutazione delle nostre università) che non è riconosciuto dalla UE proprio perché non è terzo (dipende dalla Conferenza dei Rettori) rispetto agli enti che valuta/certifica e non è, a monte, tecnicamente abilitato da chi è in grado di valutarne la competenza nell’accreditare e valutare.

Da tutto questo emergono due suggerimenti ineludibili per quanto riguarda l’accreditamento delle strutture sanitarie:

  • da una parte la necessità di procedere quanto prima al conferimento della personalità giuridica e della piena autonomia contabile ai presidi ospedalieri e ai distretti/poliambulatori;
  • la promozione di enti di accreditamento da sottoporre alla procedura abilitante di ACCREDIA, facendo qui attenzione a non creare un ente per ogni regione ma, al contrario, cercando di promuovere la nascita di enti di accreditamento tecnico-professionali, indipendenti ed imparziali.

In chiusura vogliamo notare che una procedura tecnicamente corretta nell’accreditamento (magari solo di strutture pubbliche) aiuterebbe non poco a superare il disagio organizzativo in cui la nostra sanità spesso si trova. Non dobbiamo qui passare sotto silenzio il fatto che le nostre ASL non sono assicurate perché, visto lo stato di confusione organizzativa in cui si trovano, i premi assicurativi sarebbero stratosferici.

Abolire la separazione tra autorizzazione e accreditamento e sottoporre tutte le strutture e tutti gli operatori sanitari ad un vero accreditamento tecnico-professionale contribuirebbe a migliorare i servizi e a ridurre i costi della sanità.

 

Intervento di:

Massimo BALDUCCI, esperto del Centre on Good Governance del Consiglio d’Europa

Anna Maria TISCIA, funzionaria della Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi, AOUC

 


Per approfondimenti, consultare i seguenti link e/o riferimenti:

(1)   Corte di Lussemburgo – decisione del 6 maggio 2021, caso C-142/2020

(2)   Inventario delle competenze utilizzato dalla sanità francese

(3)   Conferenza Stato-Regioni – 19 febbraio 2015, Linee Guida  accreditamento delle strutture sanitarie

(4)   Conferenza Stato-Regioni – 4 agosto 2021, Linee Guida  accreditamento



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