Trust Passaggio Generazionale

Patto di Famiglia versus Trust: domande e risposte per gli imprenditori

9 giugno 2021

di Giancarlo TROISO

Nella parte iniziale del presente testo ho riportato alcuni dati, che portano a considerare degno di attenzione l’aspetto del passaggio di testimone nelle aziende, dall’imprenditore ad altri soggetti in vista del suo ritiro dal mondo del lavoro, del sopraggiungere di una sua eventuale incapacità (fisica o psichica) e infine, immancabilmente, perché evento assolutamente certo, della sua morte.

Per un imprenditore, che non è inconsueto possa identificare se stesso con l’azienda che ha creato, non sempre è così pacifico individuare con tranquillità chi dovrà continuare l’impresa.

L’imprenditore si può trovare ad esempio di fronte a situazioni quali: l’assenza di successori capaci; l’impossibilità da parte sua di prevedere o di stabilire chi tra i suoi discendenti o familiari sia il più idoneo a succedergli nella conduzione dell’azienda; l’età ancora giovane dei discendenti; il desiderio, a prescindere dall’effettiva capacità imprenditoriale di essi, di non voler fare differenze tra i figli al fine di non creare conflitti in seno alla famiglia; il desiderio di rispettare le loro scelte di studio o professionali.

E infine, come già ho avuto modo di accennare, il desiderio di rimanere al comando il più a lungo possibile, con conseguente sottovalutazione del problema.

A questo punto, tornando più specificamente all’impresa e al passaggio generazionale, vorrei chiarire meglio l’utilizzo dei “patti di famiglia”, dei quali ho sopra fatto cenno, per raffrontarli con il trust.

Il patto di famiglia è un contratto che deve essere stipulato con atto pubblico. Con esso, senza corrispettivo alcuno, l’imprenditore trasferisce in tutto o in parte l’azienda o le partecipazioni societarie a uno o più dei suoi discendenti (detti assegnatari). Al contratto devono partecipare:

  • sia l’imprenditore che effettua il trasferimento e gli assegnatari,
  • sia il coniuge e tutti gli altri soggetti non assegnatari, che, se in quel momento si aprisse la successione, sarebbero suoi legittimari.

I discendenti assegnatari devono liquidare i legittimari non assegnatari, corrispondendo loro (in denaro o in natura) il valore della quota di legittima che a loro spetta sull’azienda o sulla partecipazione. Ciò può avvenire nel medesimo atto o in un atto successivo, di cui siano parte gli stessi contraenti del primo.

Con il patto di famiglia le assegnazioni e le liquidazioni effettuate non sono più aggredibili con l’azione di riduzione, né sono soggette a collazione. Infatti, a seguito della stipula del contratto, quando dopo la morte dell’imprenditore si aprirà la successione, non si potranno più impugnare con riferimento alla quota di legittima i trasferimenti in favore degli assegnatari, salvo il caso in cui in epoca successiva alla stipula vengano ad esistenza ulteriori figli, che potranno, salvo loro rinuncia, reclamare la liquidazione delle loro spettanze.

Le complicazioni relative all’utilizzo di tale strumento, o forse è meglio dire i limiti, che lo rendono nei fatti non molto usato, sono sostanzialmente:

  • che si tratta di un contratto al quale devono necessariamente partecipare (oltre ovviamente l’imprenditore e l’assegnatario) tutti i legittimari “attuali”
  • e che è il discendente assegnatario a dover liquidare, salvo loro rinuncia, i legittimari attuali che partecipano al contratto, con una somma pari al valore della quota di legittima che a loro spetta.

Altro elemento non di poco conto è che i soggetti assegnatari possono essere solo i discendenti in linea retta dell’imprenditore. Sono cioè esclusi coniuge, fratelli, nipoti in linea collaterale e altri parenti o affini, per non parlare dei conviventi more uxorio.

A parte i limiti appena detti, un imprenditore che non abbia discendenti in linea retta, ovvero che li abbia ma non li reputi adatti alla gestione dell’impresa, non si avvarrà dei patti di famiglia ai fini della continuità e stabilità della sua azienda, non potendo, pur presenti altri soggetti a lui legati in possesso di capacità imprenditoriale, trasferirla ad essi con tale strumento.

Dato altrettanto fondamentale, è poi che i patti di famiglia si limitano a regolare il trasferimento della proprietà dell’azienda o della partecipazione societaria, tralasciando aspetti di fondamentale importanza quali sono invece le scelte relative alla leadership e alla governance dell’impresa. Se i vertici aziendali non funzionano l’azienda entra in crisi, entrando di conseguenza in crisi anche la proprietà.

La flessibilità del trust può invece permettere di perseguire le finalità che l’imprenditore si pone come obiettivo nel passaggio generazionale e che non sarebbe possibile perseguire completamente con i patti di famiglia. Con il trust infatti è possibile:

  • mantenere efficiente la gestione dell’azienda,
  • regolamentare le modalità di gestione e il modo di esercitare i diritti inerenti le partecipazioni societarie,
  • assicurare unitarietà al patrimonio familiare,
  • assicurare reddito o mantenimento anche agli altri membri della famiglia,
  • segregare i beni in trust con l’effetto che questi non siano in alcun modo interessati dalle vicende personali del trustee.

Volendo esaminare altre differenze, il trust è un atto unilaterale del disponente, mentre il patto di famiglia è un contratto, plurilaterale.

Nel trust i soggetti beneficiari finali non coincidono con il titolare dei beni, che è il trustee, mentre nel patto di famiglia l’assegnatario è il soggetto che beneficia del trasferimento di ricchezza disposto dall’imprenditore.

Nel trust, inoltre, è possibile, istituendo la figura del guardiano, prevedere un controllo sull’operato del trustee nell’interesse dei beneficiari; nel patto di famiglia, al contrario, l’assegnazione dell’impresa è fatta in via definitiva al discendente che l’imprenditore ritiene più capace, che è libero di gestire l’impresa come meglio ritiene opportuno.

Nel trust, come già ricordato, avviene un effetto segregativo rispetto al patrimonio del trustee, con l’eliminazione di qualunque conseguenza per i beni conferiti rispetto alle sue vicende personali, mentre nel patto di famiglia i beni assegnati restano esposti alla vicende familiari e patrimoniali dell’assegnatario.

L’imprenditore può ad esempio ricorrere al trust quando il familiare che ha individuato per continuare l’attività di impresa non è un discendente in linea retta (unica ipotesi invece prevista dai patti di famiglia), ovvero nel caso in cui non abbia discendenti ma desideri assicurare continuità alla propria impresa, destinandola a un parente diverso o ad un’altra persona che nel tempo possa dimostrarsi idonea, oppure nel caso in cui i suoi discendenti siano ancora troppo giovani per manifestare una attitudine imprenditoriale. Il disponente, se non ha ancora maturato una decisione a riguardo, può inoltre riservarsi il potere di individuare in un momento successivo i beneficiari oppure aggiungerne altri.

I casi che possono elencarsi rispetto ai desideri e obiettivi di un imprenditore che si ponga il problema del passaggio generazionale dell’impresa, possono davvero essere i più vari secondo le situazioni personali e imprenditoriali di ognuno e non penso qui utile ora, continuare ad elencare una serie di possibili situazioni per sottoporle poi al vaglio di come il trust possa ben essere lo strumento più adatto per soddisfare esigenze le più complesse e articolate. Numerose sono infatti le pubblicazioni disponibili, per chi desiderasse approfondire.

Ritengo invece utile sottolineare, ove ancora occorra, come il tema del passaggio generazionale dell’impresa sia strettamente connesso con quello necessariamente importante di assicurare la continuità di gestione dell’azienda, una volta soprattutto che sia venuto a mancare il proprietario o fondatore. Saper gestire il passaggio generazionale in azienda è infatti di importanza vitale per l’impresa. Il trust può certo essere lo strumento duttile, fluido, adattabile alle necessità e ai desideri degli imprenditori e famiglie in questo campo, ma il solo strumento per così dire “tecnico”, la sola fiducia nel trustee e la sua competenza e preparazione, possono non essere sufficienti quando venisse a mancare il substrato umano.

È importante pianificare la successione nell’impresa per tempo, e dico per tempo perché il processo può non essere breve secondo i casi, dovendosi preparare adeguatamente oltre le salvaguardie patrimoniali, le persone che si pensano idonee alla successione, e questo comporta anche la capacità, da parte dell’imprenditore, di riuscire serenamente a prendere atto della necessità di organizzare questo aspetto, come anche, ove dovesse occorrere, di farsi da parte a vantaggio del futuro dell’azienda e per la continuità dei valori che rappresenta.

Vorrei trovare i termini giusti per riassumere in poche parole quello che ritengo possa essere l’aspetto fondamentale sul quale incentrare un argomento così vario, vasto e complesso, che necessita alla prova dei fatti del supporto e dell’opera di professionisti preparati, capaci di accompagnare al successo della realizzazione gli obiettivi di imprenditori, persone che hanno perseguito e realizzato un sogno e che a un certo momento della loro vita devono con maturità decidere cosa farne e come esso possa continuare al di là della loro presenza fisica.

Mi sento di dire: il trust nel passaggio generazionale delle imprese è uno strumento sì di segregazione, ma soprattutto di programmazione e il suo scopo è la preservazione e continuità dell’attività aziendale, della quale chi fa il gestore è il trustee. Fino al passaggio ai beneficiari finali, quando ci saranno determinati momenti per i quali ciò potrà o dovrà avvenire.

Una buona parte del materiale che ho letto mi ha fatto comprendere come ci possano essere soggetti che si avvicinino a questo strumento pensando di poter trovare nel trust una sorta di panacea attraverso la quale proteggere i propri beni, magari quando già si è in difficoltà; di riuscire in sostanza a raggiungere con il trust obiettivi non del tutto trasparenti, e ciò purtroppo sul sentore di luoghi comuni e aspettative improbabili che spesso lo accompagnano. Non condivido affatto, come certamente chi legge, questi atteggiamenti, a mio parere indicativi tanto di disagio quanto di difetto di cultura di appartenenza sociale a un contesto di regole condivise ma, duole dirlo, nella diffusione in effetti della percezione di un pensiero comune negativo, ovvero nella perdurante aura di opacità che si continua a addossare a strumenti pur leciti ma effettivamente poco noti, per questa come per altre cose, anche la diffusione mediatica ci mette del suo.

Nella lunga e a volte non facile disamina che ho tentato di effettuare, certamente non così approfondita su tanti aspetti che invece lo meriterebbero, ma forse più adatta a questa sede che è di spirito divulgativo e di ausilio nella comprensione, per quanto “light”, dell’argomento, sono stato anche stimolato dalla lettura di recenti articoli che mi hanno sorpreso per come siano stati presentati al pubblico.

Per farla breve, trascrivo i titoli di alcuni di essi: “Il patrimonio di Draghi: società in Georgia, trust e 2 case a Londra”; “Draghi, le misteriose proprietà del premier. Sparito il “blind trust” a Londra” e, ancora, “Draghi: il trust inglese, la società in Georgia e le due case a Londra”.

Si badi bene, lungi da me l’intento di difendere alcuno, che soprattutto non ne ha bisogno e certamente non da parte mia, o di fare considerazioni di carattere politico qualsivoglia.

Mi sembra tuttavia che la rappresentazione data dal tenore dei titoli che ho citato sia la classica ciliegina sulla torta rispetto all’argomento che ho trattato in queste mie righe. Il nostro Paese oltre che per arretratezza di vari costumi, continua a distinguersi per ignoranza e per la reiterata insinuazione nelle menti labili di troppi, di luoghi comuni e auree di negativa opacità per tutto ciò che non sia tanto noto, ovvero che per pigrizia e mancanza di curiosità si esuli dal voler apprendere o approfondire. Conoscere è fatica, ragionare lo è ancora di più.

Non tutti possono, non tutti ce la fanno, è pur vero, e i cattivi maestri interessati pro domo loro sono in effetti sempre dietro l’angolo, anche rispetto a ogni innovazione, socio-culturale o giuridica che sia.

3/3

Intervento di Gennaro Giancarlo TROISO, Consulente ed Esperto di compliance e AML in ambito finanza e intermediazione nonché Socio Fondatore di AICOM (Associazione Italiana Compliance).

LEGGI QUI l’articolo precedente  1/3,  Trust e Passaggio Generazionale

LEGGI QUI l’articolo precedente  2/3,  Il Trust come una teca trasparente: vedere tutto ma non toccare niente

 


Per approfondimenti, consultare i seguenti link e/o riferimenti:

Rapporto Cerved PMI 2020

ISTAT Censimento permanente delle imprese 2019: i primi risultati

Il trust. Istituzione, gestione, cessazione, di Angelo Busani, 2020, Wolters Kluwer

Il trust. Manuale tecnico operativo, di Francesco P. Olivieri, 2018, Giuffrè

Studi sul Trust, a cura di Maurizio Lupoi, 2018, Wolters Kluwer

Atti istitutivi di trust. Con formulario, di Maurizio Lupoi, 2017, Giuffrè

Trust. Temi emergenti e nuove applicazioni, di Ennio Vial, 2017, Maggioli Editore

Trust e “Dopo Di Noi”, a cura di Gabriella La Torre, 2016, Wolters Kluwer

Il settore del TRUST in Italia. Indagine a cura di Lorenzo Ferrari, 2014, Università L. Bocconi Milano

Conoscere il Trust. Aspetti civilistici, tributari e di diritto comparato, aa. vv., 2013, Cesi Multimedia

Il passaggio generazionale nelle imprese familiari, di Alberto Dell’Atti, 2007, Cacucci Editore

Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, Fondazione Nazionale dei Commercialisti  –  Il patto di Famiglia e il passaggio generazionale dell’impresa  –  15 luglio 2020

Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili  –  Linee Guida per la valutazione del rischio, adeguata verifica della clientela, conservazione dei documenti, dei dati e delle informazioni ai sensi del D.Lgs. 231/2007 (come modificato dal D.Lgs. 4 ottobre 2019, n. 125 e dal D.L. 16 luglio 2020, n. 76)  –  Febbraio 2021

UIF  –  Operatività connessa con l’anomalo utilizzo di trust

Il Sole24Ore, Antiriciclaggio, titolari effettivi di società e trust censiti su base europea, di V. Vallefuoco, 03/03/2021

Giacomo Oberto, Atti di Destinazione e Trust (art. 2645-ter C.C.): analogie e differenze

Fondazione Italiana del Notariato  –  Negozio di destinazione: percorsi verso un’espressione sicura dell’autonomia privata. Il c.d. trust interno prima e dopo l’art. 2645-ter c.c., di Daniele Muritano

Fondazione Italiana del Notariato  –  Analisi interpretative e novità della circolare 3E/2008 dell’Agenzia dell’Entrate. Il trust: casi pratici, di Daniele Muritano

Cass. Civ., Sez. V, sentenza 30 marzo 2021, n. 8719. Trust: soggetto a tassa fissa l’atto con il quale tutti i beneficiari rinunciano al trust

Altalex, Trust autodichiarato: va applicata l’imposta fissa, Cassazione civile, sez. tributaria, sentenza 26/10/2016 n° 21614, di Vittorio Catapano, 07/12/2016

 



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