Legge 241-90 Proecdimemnto Amministrativo

L’azione della pubblica amministrazione: il Procedimento amministrativo

2 maggio 2022

di Claudia RADI

L’azione della pubblica amministrazione: il ‘’Procedimento amministrativo’’ in Italia. (L.241 del 07.08.1990 e le modifiche introdotte dai decreti ‘’semplificazioni’’: D.L.76/2020, convertito nella L.120/2020, e il D.L.77/2021, convertito nella L.108/2021).

Cenni storici ed esegesi

Con l’introduzione della Legge 241 del 07.08.1990, è stata regolamentato in Italia il procedimento amministrativo (a conclusione del quale viene emesso un provvedimento amministrativo).

La formalizzazione in Legge di una regolamentazione delle vicende giuridiche prodotte dall’azione amministrativa (quella cioè compiuta dalla Pubblica amministrazione), era necessaria e urgente, visto il carattere: ‘’dispositivo’’, ‘’autoritativo’’, ‘’unilaterale’’, ‘’esecutivo’’, ‘’tipico’’ e ‘’nominato’’ dell’atto costituente il provvedimento amministrativo, di contro ad una pluralità degli interessi coinvolti.

Una regolamentazione che consentisse quindi, anche l’esercizio dei diritti dei soggetti terzi coinvolti dal provvedimento amministrativo emanato dalla Pubblica Amministrazione (P.A.) e frutto del suo operato.

Il panorama europeo

In alcuni altri stati europei già da tempo, operavano regolamentazioni in merito alla modalità di generazione degli atti amministrativi (cioè di quelli compiuti dalla P.A. in una condizione di ‘’parità’’ con il cittadino).

Ad esempio in Austria, già nel 1925, esisteva una complessa disciplina sul procedimento amministrativo intesa come ‘’garanzia del primato della legge e della corretta esecuzione della stessa da parte dell’amministrazione’’ (Elio Casetta, ‘’Diritto amministrativo’’).

Più recente la promulgazione della Legge sul procedimento amministrativo da parte della Repubblica federale tedesca del 22 maggio del 1976, contenente aspetti rilevanti quali:

  • obbligo generale di motivazione;
  • il diritto dei privati di essere sentiti;
  • l’accesso ai documenti e i contratti di diritto pubblico.

Non a caso il nostro legislatore si ispirò a tale normativa, nell’elaborazione della L.241 del 07.08.1990.

In Francia invece, solo a partire dall’anno 1978 vennero emanate norme sui rapporti tra amministrazione e utenti, con l’obbiettivo di regolamentare:
– l’accesso ai documenti amministrativi e le motivazioni degli stessi.
Circa vent’anni dopo (nel 2000), introdussero anche una regolamentazione mirata a tutelare:
– la trasparenza amministrativa e di procedimento.

In questo contesto si è inserito il diritto comunitario, condizionando l’azione delle amministrazioni nazionali:

  • come modulo garantistico di tutela delle situazioni giuridiche soggettive all’interno del quale deve essere assicurato il diritto di difesa” (Elio Casetta); assicurazione per altro ribadita dalla Corte di Giustizia europea.

Lo stesso Trattato istitutivo della CE prevede alcuni importanti principi in relazione alle decisioni (cioè i provvedimenti della P.A.), quali l’obbligo di motivazione e di notifica degli atti (art.253 e 254) nonché altri rilevanti istituti (come il diritto di accesso: art.255 del Trattato)’’ (Elio Casetta).

È doveroso evidenziare che, pur in presenza di accordi, convenzioni e trattati internazionali e comunitari, pur in presenza di direttive e regolamenti comunitari, resta il diritto interno di recepimento dello Stato, a costituire il parametro di legittimità dell’attività amministrativa.

A tal proposito vale comunque la pena sottolineare l’importanza di alcuni documenti sottoscritti, quali la ‘’ Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea’’, proclamata solennemente a Nizza nel 2000 (incorporata nel 2004 nella Costituzione europea), che diventò giuridicamente vincolante solo nel mese di dicembre dell’anno 2009.

Purtroppo, il processo di unificazione anche politica tra gli stati europei, si interruppe con il naufragio della Costituzione Europea, mai entrata in vigore per il fallimento del processo di ratifica, che ne ha visto il respingimento in Francia e nei Paesi Bassi, nei loro referendum nazionali tenutisi nei mesi di maggio e giugno del 2009.

Solo con la modifica del Trattato sull’Unione Europea avvenuta il 1° dicembre dell’anno 2009 e l’inserimento nell’art.6 al par.1 che: ‘’ l’Unione riconosce i diritti, le libertà, ed i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (…) che ha lo stesso valore giuridico dei Trattati’’, finalmente la Carta ha potuto legittimamente rientrare nel diritto primario dell’Unione europea, fungendo da parametro per esaminare la validità del diritto secondario della U.E. e delle misure nazionali.

Del resto, anche la nostra Corte costituzionale nell’anno 2002, con la sentenza 135/2002, aveva affermato l’importanza della Carta sottolineando che, se pur priva di efficacia giuridica, aveva comunque ‘’carattere espressivo di principi comuni agli ordinamenti europei’’.

Resta l’eccezione della Gran Bretagna (dove manca una disciplina generale sul procedimento amministrativo), recentemente uscita dall’Unione europea, che reputò impossibile l’adozione di una Carta che incorporasse i diritti della persona (finanche riconosciuta a livello internazionale) nel loro sistema giuridico (Common law).

Pare allora opportuno sottolineare alcuni dei principi sanciti nella Carta, che si compone di 54 articoli: articoli 25 (diritti degli anziani), 26 (inserimento dei disabili) e 37 (tutela dell’ambiente); articoli 23 (parità tra donne e uomini), 33 (vita familiare e professionale) e 34 (sicurezza sociale e assistenza sociale).

È parere della scrivente quindi, la necessità di perseguire con maggior convinzione gli ‘’obbiettivi’’ di quanto sancito nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, soprattutto da parte di coloro che siano coinvolti nei processi legislativi e politici a livello nazionale (autorità legislative e amministrative nazionali, governi, autorità regionali e locali), nella speranza di un maggior vigore nell’attuazione dei principi ispiratori dettati dai padri fondatori la Comunità Europea (l’importanza della quale è a tutti noi nota e superfluo ribadire..).

Attuazione L.241/1990

Tornando alla storia e all’esegesi della L.241/1990 e alle successive modifiche e integrazioni, in Italia per diversi anni successivi al 1990, le facoltà di ‘’controllo’’ previste dalla legge non furono esercitate pienamente e neppure in misura considerevole dagli aventi diritto:

  • ‘’controllo’’ da esercitarsi tramite la richiesta di accesso agli atti e documenti sulla base dei quali la P.A., attraverso il procedimento amministrativo, emette i così detti provvedimenti amministrativi nei confronti dei quali (non in tutti i casi) è possibile ricorrere avverso la decisione.

Il provvedimento amministrativo è infatti, come sopra evidenziato, un atto della P.A. per il quale si è reso necessario introdurre una regolamentazione normativa, al fine di tutelare la pluralità degli interessi dei soggetti coinvolti:

  • l’interesse c.d. primario, quello pubblico, ma anche l’interesse secondario, quello degli altri soggetti interessati (soprattutto quando si tratta di parità di trattamento, di legalità, di correttezza, di tutela di beni comuni e condivisi, ecc.)

Opportunamente occorre anche riproporre la distinzione esistente alla base delle due branche del diritto:

  • diritto privato: la cui fonte principale è il Codice civile, regolamentante i rapporti tra i singoli individui (diritto civile, diritto commerciale, diritto di famiglia, diritto del lavoro, diritto societario, ecc.);
  • diritto pubblico: che ha per oggetto l’attività dello Stato e degli altri enti pubblici, ovvero quelli costituiti per realizzare interessi collettivi (diritto costituzionale, diritto amministrativo, diritto ecclesiastico, diritto tributario, diritto penale).

Articolo 29 L.241/1990, ‘’ambito di applicazione della legge’’: il riferimento agli Enti locali in sintesi

Il T.U. (Testo Unico) degli Enti Locali prevede che gli atti di autonomia normativa di comuni e province, debbano contenere norme sulla partecipazione procedimentale, sul responsabile del procedimento, sul diritto di accesso agli atti e alle informazioni di cui è in possesso l’amministrazione.

La L.241/1990 infatti, è rappresentativa di garanzie minime: nulla esclude che possa essere arricchita da norme successive.

In questo senso il T.U. degli Enti Locali può essere interpretato come una disciplina che assicura l’introduzione di ulteriori garanzie e tutele degli interessi dei privati e non, quindi, disposizioni che vìolino le garanzie minime riconosciute dalla legge istitutiva della disciplina sul procedimento amministrativo (241/1990).

Ambito soggettivo e oggettivo della L.241/1990, evidenze

A) ambito soggettivo: per quello che riguarda l’istituto del ‘’diritto di accesso’’ ai documenti amministrativi, lo stesso trova applicazione anche nei confronti dei gestori dei pubblici servizi (tra i quali troviamo anche soggetti privati);

B) ambito oggettivo: la funzione dell’attività amministrativa si caratterizza per la sua destinazione di cura dell’interesse pubblico; di conseguenza trova applicazione anche nella sua attività contrattuale. La giurisprudenza ormai consolidata è favorevole al riconoscimento del ‘’diritto di accesso’’ anche per l’attività di diritto comune della P.A. (cioè quelle rientranti nel diritto privato). L’art.1 c.1 bis della L.241/1990 (introdotto dalla L.n.15/2005) recita:’’ la P.A., nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato, salvo che la legge disponga diversamente’’ (ovviamente rimanendo sempre vincolata al perseguimento del pubblico interesse).

È parere della scrivente, quindi (e ad esempio), che rientri nei diritti del cittadino quello di essere portato a conoscenza del contenuto di contratti stipulati da società partecipate dallo Stato che, in questo caso è opportuno ribadirlo di nuovo, come primo obiettivo ha quello della cura dell’interesse pubblico.

Di conseguenza parlare di ‘’segretezza’’ in un contesto dove tutto, ma assolutamente tutto è tracciato e controllato, rifiutandosi di ‘’rendere pubblici dei dati pubblici’’, ritengo costituisca una grave lesione del principio di trasparenza che deve permeare tutti gli atti (e conseguentemente le azioni) della P.A., ma soprattutto legittima l’esercizio di un potere autoritativo lì dove , al contrario, la tutela della molteplicità degli interessi coinvolti ha la priorità e il diritto alla massima evidenza è imprescindibile (pur in assenza di una formale richiesta di accesso agli atti..).

Quali sono i principi enunciati dalla L.241/1990?

Conoscere i principi fondamentali dettati dalla legge 241 del 1990, che costituiscono importanti tasselli nel mosaico della ‘’trasparenza amministrativa’’ è, per il cittadino, opportuno e utile.

Opportuno, per rivendicarne l’attuazione all’occorrenza; utile, per la finalità pubblica dell’azione amministrativa che, in quanto tale, è al servizio della collettività.

Quali sono questi principi? Vediamoli.

L’attività amministrativa (della Pubblica Amministrazione – P.A.-) persegue i fini determinati dalla legge ed è retta dai criteri di:

a) economicità (principio del minor impiego possibile di mezzi personali, finanziari e procedimentali);

b) efficacia (principio che si riferisce al funzionale rapporto tra obiettivi prefissati e quelli conseguiti, e oltre al rispetto formale della legge, stabilisce che l’amministrazione miri anche e soprattutto al perseguire la finalità ad essa affidata);

c) pubblicità (principio che è conseguenza diretta della natura pubblica dell’amministrazione, che soddisfa interessi pubblici rendendo trasparente il suo operato agli occhi del pubblico) – art.1 c.1, L.241/1990-.

Sul principio dell’economicità, un accenno particolare al c.d. ‘’non aggravamento del procedimento”, in previsione del quale potranno essere dichiarati illegittimi alcuni atti definibili superflui per loro natura (ad esempio la richiesta di pareri facoltativi non previsti dalla legge e di momenti istruttori, se dovessero risultare mere duplicazioni dei precedenti – regola applicabile anche all’azione del privato e non solo a quella della P.A.-).

Per quello che riguarda l’efficacia del procedimento amministrativo, ritengo sia il principio più importante da perseguire; questo alla luce dell’esigenza di maggior concretezza dell’azione della P.A., insieme al raggiungimento di un maggiore livello di efficienza (principio che riguarda il rapporto tra mezzi impiegati e obiettivi conseguiti, che altre disposizioni normative hanno introdotto).

L’applicazione concreta del principio di pubblicità è costituita dal diritto di accesso ai documenti amministrativi (in stretta correlazione, quindi, con gli istituti della partecipazione al procedimento e di motivazione del provvedimento finale).

 

Termino questo articolo, evidenziando il dovere della P.A., di concludere il procedimento ‘’mediante l’adozione di un provvedimento espresso’’, art.2 L.241/1990 (con alcune eccezioni desumibili dalla stessa legge, quali ad esempio l’ipotesi del silenzio assenso, contenuta nell’art.20).

Un accenno particolare, inoltre, alla durata del procedimento: entro il termine di 30 giorni dalla data di presentazione dell’istanza (termini diversi dovranno essere motivati e fissati in via regolamentare), dovrà essere emesso il provvedimento c.d. espresso, e il procedimento si intenderà concluso al perfezionamento della c.d. fase integrativa dell’efficacia (comprendente quegli atti e/o operazioni necessarie affinché il provvedimento diventi efficace).

In relazione al tempo di durata del procedimento, va ricordato che nel nostro ordinamento vige il principio del tempus regit actum: ‘’ogni atto deve essere disciplinato dalla normativa vigente al momento in cui esso è posto in essere’’ (E. Casetta), principio applicabile anche al procedimento amministrativo e al suo provvedimento finale, il quale dovrà obbligatoriamente essere integrato da atti previsti dalla normativa sopravvenuta, o non potrà essere emanato.

 

Intervento di Claudia dott.ssa RADI, Commercialista e Giurista

 



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