Redazione
Un nuovo fronte di tensione tra Europa e Cina sta scuotendo le fondamenta della manifattura europea. Al centro della disputa c’è un’azienda di semiconduttori nata nei Paesi Bassi, oggi di proprietà cinese, che si trova improvvisamente al cuore di una crisi industriale potenzialmente devastante. La decisione del governo olandese di intervenire direttamente nella gestione del gruppo ha innescato una reazione immediata da parte di Pechino, che ha bloccato l’esportazione di chip fondamentali per l’industria automobilistica e dell’elettronica.
A prima vista, la vicenda potrebbe sembrare un episodio tecnico di politica industriale. In realtà, si tratta di una questione strategica che tocca la sovranità tecnologica europea, la dipendenza dalla Cina e la resilienza delle catene globali del valore.
Un intervento che scuote gli equilibri
Il ministero olandese dell’Economia, a guida liberale, ha deciso di assumere il controllo della società di semiconduttori Nexperia per impedire — secondo le parole del Ministro — il rischio di un possibile trasferimento della produzione europea verso stabilimenti cinesi. Il sospetto, emerso da verifiche interne e da fonti industriali, era che la direzione dell’azienda stesse pianificando di spostare una parte significativa delle attività da siti europei come quelli di Nijmegen e Amburgo verso un nuovo impianto a Shanghai, di proprietà del gruppo controllante cinese.
L’obiettivo del governo olandese era quello di:
- tutelare un settore strategico,
- difendere le competenze locali e,
- prevenire una fuga di tecnologie sensibili.
Tuttavia, la reazione di Pechino è stata immediata e dura: un divieto di esportazione per i prodotti realizzati negli stabilimenti cinesi dell’azienda olandese, misura che di fatto ha paralizzato l’intera filiera europea dell’automotive.
L’industria tedesca in allarme
In Germania, dove la produzione automobilistica rappresenta il cuore pulsante dell’economia, l’allarme è scattato in poche ore. I grandi costruttori di auto, da decenni dipendenti dai componenti dell’azienda olandese, si trovano ora di fronte alla prospettiva concreta di una carenza di semiconduttori.
Ogni veicolo moderno contiene tra i 350 e i 600 chip, molti dei quali prodotti dal gruppo Nexperia. Senza quelle forniture, linee di montaggio intere rischiano di fermarsi nel giro di settimane. Secondo una stima dell’associazione tedesca delle imprese di elettronica, i problemi di approvvigionamento potrebbero emergere già entro pochi giorni, con effetti a catena sull’intera industria europea.
Un rappresentante della federazione tedesca del settore elettronico ha dichiarato che “se non verrà trovata rapidamente una soluzione politica, esiste il rischio di uno stop generalizzato della produzione automobilistica mondiale”. Le sue parole riassumono bene il timore crescente tra i produttori: una crisi dei semiconduttori simile a quella vissuta durante la pandemia, quando la mancanza di componenti fece crollare la produzione di milioni di veicoli.
La catena globale dei chip: una fragilità strutturale
Il nodo centrale del problema risiede nella complessità della catena produttiva dei semiconduttori. Gli stabilimenti europei dell’azienda sono in grado di realizzare solo una parte del processo — la produzione delle cosiddette wafers, le sottili lastre di silicio su cui vengono poi incisi i circuiti. La fase finale, quella che trasforma le wafers nei chip veri e propri, avviene in Cina, dove:
- i costi di produzione sono inferiori e,
- le strutture più avanzate.
Quando Pechino ha deciso di bloccare l’export dei chip finiti, ha di fatto spezzato una catena che univa Europa e Asia.
- Le fabbriche europee continuano a produrre le wafers, ma non possono completare il ciclo produttivo, mentre
- le fabbriche cinesi hanno i chip pronti ma non possono spedirli ai clienti europei.
Un ex dirigente di Nexperia, che conosce a fondo la struttura della supply chain, ha sottolineato che l’intervento politico olandese potrebbe aver sottovalutato la portata globale delle interdipendenze.
“Le nostre fabbriche europee non possono sostituire da sole quelle asiatiche. Servono entrambe per far funzionare l’intero sistema”, ha spiegato. “Interrompere un anello della catena significa bloccare tutta la produzione.”
Scorte limitate e tempi lunghi
Le imprese europee dispongono ancora di una piccola riserva di chip accumulata negli ultimi mesi, ma secondo fonti industriali questa basterà solo per poche settimane. Una volta esaurite le scorte, non ci sono alternative immediate. In teoria, altri produttori come Infineon potrebbero fornire chip compatibili, ma adattare le linee di produzione a nuovi componenti richiede tempo: dai tre ai sei mesi, a seconda della complessità dei sistemi elettronici.
Un analista del settore ha spiegato che “non è possibile sostituire un chip con un altro dall’oggi al domani. Ogni componente è integrato nel progetto del veicolo, e ogni variazione comporta test, certificazioni e modifiche alle catene di montaggio.” Anche mantenendo scorte di sicurezza, molti costruttori potrebbero trovarsi presto costretti a sospendere temporaneamente la produzione.
Tra diplomazia e geopolitica
Mentre le industrie cercano soluzioni tecniche, la questione si è spostata rapidamente sul piano diplomatico. Pechino accusa l’Aia di “violazione dei principi del libero mercato” e di “comportamento economico predatorio”, secondo un comunicato diffuso dalla Camera di commercio cinese presso l’Unione europea. Secondo la stessa fonte, la decisione olandese sarebbe “motivata da calcoli geopolitici” e costituirebbe un precedente pericoloso nei rapporti economici tra Europa e Cina.
La dichiarazione prosegue accusando il governo olandese di aver minato la fiducia reciproca e invita a revocare immediatamente la misura, ripristinando condizioni di cooperazione basate sul mutuo beneficio. Viene inoltre ricordato che l’azienda, da quando è stata acquisita dal gruppo cinese, avrebbe sempre rispettato le normative locali e contribuito in modo significativo all’economia europea, anche attraverso imposte versate nei Paesi Bassi.
Dal canto suo, il ministero olandese dell’Economia ha fatto sapere che la situazione “ha la piena attenzione del governo” e che sono in corso colloqui con autorità europee e internazionali per cercare una soluzione condivisa. Tuttavia, le dichiarazioni ufficiali non nascondono la tensione crescente tra l’esigenza di sicurezza economica e la libertà di mercato.
Il paradosso della sovranità tecnologica
Il caso mette in luce una contraddizione che da anni attraversa la politica industriale europea.
- Da un lato, i governi vogliono ridurre la dipendenza tecnologica da paesi terzi, soprattutto dalla Cina, considerata un rivale strategico.
- Dall’altro, molte filiere critiche — dai semiconduttori alle batterie, fino ai materiali rari — sono ormai globalizzate e interconnesse, e non possono essere ricostruite in pochi mesi.
Un dirigente dell’associazione tedesca delle imprese tecnologiche ha sottolineato che “questo episodio deve essere interpretato come un campanello d’allarme per l’Europa. Senza catene di fornitura resilienti nel campo della microelettronica, la stabilità economica del continente è a rischio.”
Secondo lui, “sviluppare un ecosistema europeo robusto deve diventare una priorità politica assoluta, se vogliamo restare competitivi rispetto a Stati Uniti e Cina.”
Ripercussioni a catena
Gli effetti del conflitto non si fermano al settore automobilistico. I chip prodotti dall’azienda olandese sono utilizzati anche in dispositivi elettronici di consumo, sistemi di gestione energetica e componenti industriali. Se la situazione dovesse protrarsi, potrebbero verificarsi interruzioni anche nella produzione di elettrodomestici, computer e apparecchiature per telecomunicazioni.
Gli analisti temono inoltre che la crisi possa innescare un effetto domino nel commercio internazionale dei semiconduttori. Altri paesi potrebbero introdurre misure di controllo o restrizioni, accentuando la frammentazione del mercato globale. L’Europa, già in ritardo rispetto agli Stati Uniti e all’Asia nella produzione di chip avanzati, rischierebbe di perdere ulteriore terreno.
Una lezione dalla pandemia
Molti osservatori paragonano l’attuale crisi a quella vissuta durante la pandemia di Covid-19, quando la chiusura temporanea di alcune fabbriche asiatiche mise in ginocchio le catene di approvvigionamento globali. Anche allora, l’industria automobilistica europea dovette fermare le linee di montaggio per mesi, in attesa che riprendessero le consegne dei semiconduttori.
La somiglianza non è casuale: entrambe le crisi rivelano quanto sia vulnerabile un sistema produttivo basato sull’efficienza estrema ma privo di margini di sicurezza. Nella corsa alla riduzione dei costi, molte aziende hanno sacrificato la ridondanza e la diversificazione delle fonti. Oggi pagano il prezzo di quella scelta.
Un esperto del settore bancario ha osservato che “le aziende stanno riscoprendo il valore strategico della resilienza. Non basta avere il fornitore più economico; serve la garanzia che la catena non si spezzi.” Secondo lui, l’Europa dovrà imparare a considerare i semiconduttori come un’infrastruttura critica, al pari dell’energia o delle telecomunicazioni.
Prospettive e soluzioni
Al momento, le opzioni sul tavolo sono poche. Le autorità europee stanno cercando un canale diplomatico per allentare le restrizioni cinesi, mentre Bruxelles valuta l’ipotesi di un intervento coordinato tra gli Stati membri. Alcuni osservatori suggeriscono che la soluzione potrebbe passare attraverso un accordo tecnico che consenta il temporaneo rilascio delle esportazioni già in magazzino, in attesa di una revisione più ampia del quadro regolatorio.
Parallelamente, cresce la pressione affinché l’Europa acceleri i progetti di produzione interna di semiconduttori, sostenuti dal Chips Act europeo. Tuttavia, gli esperti ricordano che costruire una fabbrica di chip richiede anni e investimenti di decine di miliardi di euro. Nel breve periodo, l’unica via percorribile resta quella diplomatica.
Un ex dirigente di Nexperia ha espresso la speranza che “prevalga il buon senso politico, perché la posta in gioco non è solo economica ma anche strategica.” Secondo lui, “un’Europa isolata non può competere; serve cooperazione, anche con la Cina, pur mantenendo regole chiare e trasparenti.”
Un test per l’Europa
La crisi Nexperia rappresenta un test cruciale per l’Unione Europea. Da un lato, evidenzia la necessità di difendere le proprie industrie strategiche e ridurre le dipendenze esterne; dall’altro, mette in discussione la capacità dell’Europa di agire in modo coordinato e pragmatico in un contesto geopolitico sempre più polarizzato.
In Germania, i costruttori di automobili già affrontano sfide legate ai costi elevati, alla concorrenza cinese e alle nuove tariffe americane. Un blocco dei semiconduttori sarebbe un colpo durissimo. Per questo, nel silenzio prudente dei comunicati ufficiali, si avverte l’urgenza di una soluzione rapida.
In definitiva, il caso Nexperia è più di una disputa commerciale: è il simbolo di una transizione epocale, in cui la tecnologia diventa terreno di scontro politico e la sicurezza economica si intreccia con la geopolitica globale.
Le decisioni prese oggi determineranno non solo il futuro di un’azienda, ma la capacità dell’Europa di restare un attore rilevante nel mondo dei semiconduttori — e, più in generale, nell’economia del XXI secolo.