Integrare i sistemi di gestione del rischio: approccio pratico per le medie imprese

Integrare i sistemi di gestione del rischio: approccio pratico per le medie imprese

5 novembre 2025

di Marco AVANZI

Negli ultimi anni, le imprese, anche di medie dimensioni, sono esposte a rischi sempre più interconnessi: cybersecurity, supply chain, compliance ESG, continuità operativa, reputazione, da una parte a fronte di obblighi normativi diretti o indiretti in quanto facenti parte di specifiche supply chain, dall’altra in quanto operanti in un mercato e in uno scenario globale interdipendente e sempre più complesso.

Questa interconnessione fa sì che il rischio non possa più essere gestito in “silos” (es. qualità da una parte, sicurezza IT dall’altra, finanza altrove) e ne deriva una necessità di integrazione;

questo significa creare un sistema unico e coerente di identificazione, valutazione e gestione dei rischi che serva all’intera organizzazione, non a singole funzioni.

Le PMI vivono un paradosso quando parliamo di questi temi in quanto:

  1. da un lato, sono più vulnerabili perché hanno meno risorse finanziarie e umane per gestire eventi avversi;
  2. dall’altro, non possono permettersi sistemi di gestione complessi e costosi come le grandi imprese.

Per questo, la sfida non è “avere un sistema”, ma avere un sistema proporzionato, semplice, che integri solo ciò che serve. L’obiettivo non è la formalità ma la resilienza aziendale e la razionalizzazione dei processi decisionali. L’integrazione dei sistemi di gestione del rischio per le PMI va letta come una leva di efficienza, non come un onere aggiuntivo. Un approccio integrato:

  • riduce duplicazioni (policy, audit, documentazione);
  • ottimizza l’uso delle informazioni (un’unica risk map per più ambiti);
  • migliora la capacità decisionale del management (una sola fonte di verità sul rischio);
  • favorisce la conformità a norme e standard (ISO 31000, ISO 9001, ISO 27001, D.Lgs. 231/2001, ecc.) in modo coerente.

All’estero, questo approccio è spesso riassunto nel concetto di “Integrated Risk Management (IRM)” o “Enterprise Risk Management (ERM) scaled for SMEs”, cioè versioni semplificate dei framework di corporate governance applicati con criterio e proporzione. L’integrazione dei sistemi di gestione, dalla compliance al D.Lgs. 231/2001, dall’ERM alla data protection, dalla business continuity alla data compliance ed ESG, rappresenta oggi per le medie imprese un passaggio evolutivo necessario. Non si tratta solo di razionalizzare la documentazione, ma di creare un linguaggio unico della governance aziendale, capace di collegare rischi, controlli e obiettivi strategici.

Difficoltà e best practices di integrazione

Le PMI spesso si trovano con sistemi sviluppati separatamente nel tempo: dei modellli 231 che non comunicano con il modello privacy, procedure qualità gestite a parte, e piani di continuità che ignorano la mappa dei rischi ERM. Una best practice consiste nel partire da una matrice unica di requisiti che consenta di evidenziare sovrapposizioni e sinergie. Ad esempio, il controllo delle deleghe e procure può coprire contemporaneamente i requisiti di trasparenza del Modello 231, quelli di segregazione delle funzioni ISO 9001 e i principi di controllo interno del bilancio. Un altro elemento chiave è la definizione di un sistema documentale comune, anche digitale, che permetta di gestire revisioni, approvazioni e audit in modo coordinato. Strumenti come workflow unificati o piattaforme semplificano la gestione e riducono il rischio di incoerenze.

Assumption e metodologie iniziali

Per integrare i sistemi serve una base metodologica condivisa. È utile adottare criteri di valutazione del rischio coerenti, ad esempio una scala uniforme per probabilità e impatto e definire in modo trasparente cosa è “significativo”. Un riferimento concreto può venire dal mondo del bilancio e della revisione contabile: i revisori definiscono una soglia di significatività (materiality threshold) che rappresenta il livello oltre il quale un errore può alterare le decisioni degli stakeholder. Questa logica può essere adattata alla compliance e all’ERM: una PMI può fissare soglie di rilevanza del rischio proporzionali a parametri economici (es. 1-2% dell’EBITDA o del patrimonio netto) o a indicatori non finanziari (es. interruzioni operative >1 giorno o violazioni dati personali >xyz record). Anche il Codice della crisi d’impresa offre spunti utili. L’art. 3 D.Lgs. 14/2019 richiede di monitorare gli “indicatori della continuità aziendale”, anticipando logiche di early warning che possono essere integrate nel sistema di risk management. La risk tolerance può dunque essere parametrata agli indicatori di equilibrio economico-finanziario (DSCR, ROS, capitale circolante netto), mentre la risk capacity può riferirsi alla capacità dell’impresa di assorbire perdite senza compromettere la continuità operativa.

Analisi di processo e controlli integrati

L’analisi dei processi è il punto di connessione tra i diversi sistemi di gestione. Il metodo più efficace è il process mapping con logica end-to-end, che consente di associare rischi e controlli a ogni fase del processo, indipendentemente dal sistema di riferimento.
Un esempio pratico: nel processo di “Acquisto forniture”, un controllo sulla verifica dei requisiti del fornitore può soddisfare simultaneamente requisiti ESG (etica e sostenibilità), 231 (prevenzione corruzione), e qualità (valutazione fornitori ISO 9001). Un altro esempio riguarda la gestione dei dati personali: il controllo sulla classificazione delle informazioni aziendali può essere allo stesso tempo misura di sicurezza (GDPR), requisito di continuità operativa (business continuity plan) e presidio di conformità informatica (data compliance).
Questo approccio consente di “mutuare” i controlli, riducendo i costi e migliorando la tracciabilità del rischio.

Reporting integrato e decisione informata

L’obiettivo finale è il reporting integrato, unico punto di sintesi per tutti i sistemi di gestione. Nelle medie imprese dove potenzialmente il tempo e le risorse sono spesso molto contenute per questi aspetti si può pensare di costruire un cruscotto unico dei rischi e dei controlli che consente di presentare in modo chiaro i trend di rischio, gli eventi accaduti e gli indicatori di efficacia dei controlli.
Ad esempio, un unico risk register può raccogliere eventi 231, data breach, non conformità ISO e rischi ESG, utilizzando codifiche e metriche comuni. Ciò permette di presentare al CdA o all’Organismo di Vigilanza un’informativa coerente, riducendo la moltiplicazione dei report e migliorando la consapevolezza complessiva.

Conclusioni

Integrare i sistemi di gestione non è un esercizio formale, ma un percorso di governance intelligente. Le PMI che adottano criteri comuni a diversi sistemi di gestione, definiscono soglie di rischio coerenti e utilizzano analisi di processo integrate, possono ottenere un duplice vantaggio: ridurre gli oneri di compliance e aumentare la propria capacità di anticipare i rischi. L’integrazione, se ben impostata, diventa così un vero strumento di competitività e di trasparenza verso i mercati, i revisori e gli stakeholder. Ecco alcune riflessioni pratiche, cosa fare, cosa evitare e quali pratiche sono spesso raccomandate, o pensate per bilanciare semplicità e riduzione dei costi. La chiave è puntare su un framework modulare e proporzionato

Non serve (né conviene) “importare” l’intero apparato di grandi corporate: conviene adottare un quadro di riferimento flessibile e declinarlo per moduli (operativo, informatico, compliance, progetti) che si integrino fra loro. Questo permette di partire da poche attività critiche e aggiungere moduli quando il business cresce, contenendo costi e complessità. 

Molto utile sarà mappare pochi (10) rischi prioritari e implementare controlli semplici, misurabili e ripetibili. Da evitare il voler “copiare” immediatamente tutti i processi di grandi aziende senza adattarli alla scala e alle risorse disponibili.

Integrare QMS, ISMS e RM in un’unica vista riduce duplicazioni (policy duplicate, asset register separati, assessment ripetuti) e quindi costi amministrativi. L’attenzione dovrebbe essere quindi sull’allineamento dei processi più che su documentazione ridondante ed evitare di mantenere più “silos” di rischio che richiedono assessment distinti e processi paralleli.

L’integrazione funziona solo se c’è responsabilità definita: ruoli chiari (owner del rischio, responsabile mitigazione) e processi semplici di escalation. Le migliori pratiche enfatizzano training pratico, micro-policy e revisioni veloci piuttosto che manuali lunghi. Questo riduce resistenza interna e costi legati a errori umani ed evita di creare layer decisionali lunghi o policy che nessuno applicherà nella quotidianità.

Le medie imprese devono misurare indicatori semplici e utili (numero di incidenti per categoria, tempo medio di remediation, esposizione residua sui 10 rischi chiave); ecco che definire 3–6 KPI essenziali e review trimestrali con il management sarà sufficiente evitando di adottare decine di metriche che soffocano l’azione senza guidare decisioni. 

Semplicità e praticità in quest’ambito sono sicuramente i driver per adottare, anche in imprese di medio piccole dimensioni, soluzioni efficaci alla gestione del rischio evitando costi inutili e la mera introduzione di apparati burocratici che difficilmente troveranno applicazione.

Intervento di Marco AVANZI | Autore per Risk & Compliance Platform EuropeCompliance, Data Protection & Risk Management c/o Aldi srl



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