Dieci anni di società benefit: bilancio, criticità e prospettive future

Dieci anni di società benefit: bilancio, criticità e prospettive future

25 maggio 2025

di Giorgio IRTINO

Nel 2015 veniva introdotto in Italia lo status giuridico di “società benefit”, una novità che ha segnato una svolta nel modo di concepire il ruolo dell’impresa nel contesto della società civile.

Oltre allo scopo di lucro, le società benefit si impegnano formalmente a perseguire finalità di beneficio comune, ossia effetti positivi su persone, comunità, territori, ambiente, beni e attività culturali, enti e associazioni.

A distanza di dieci anni, è utile tracciare un bilancio di questa innovazione, analizzando i risultati ottenuti, le sfide emerse e le prospettive che si delineano all’orizzonte.

Le origini dello status giuridico di società benefit

L’istituzione della società benefit in Italia è avvenuta con la legge di Stabilità del 2016 (L. 208/2015), primo paese in Europa ad adottare un modello ispirato alla “Benefit Corporation” statunitense. Il principio cardine consiste in una duplice finalità nell’esercizio d’impresa: da un lato la ricerca del profitto, dall’altro il perseguimento di uno o più obiettivi di bene comune.

Questa nuova figura del diritto societario si è tradotta in precisi obblighi normativi per le aziende che scelgono di adottarla: la definizione statutaria degli obiettivi di beneficio comune, la nomina di un responsabile d’impatto e l’obbligo di redigere annualmente una relazione che rendiconti le attività svolte e i risultati ottenuti. Elementi che garantiscono trasparenza, tracciabilità e accountability, distinguendo le società benefit da forme abbastanza diffuse di greenwashing o marketing etico di facciata.

Una crescita reale ma al di sotto delle potenzialità

Dopo dieci anni, le società benefit registrate in Italia sono quasi 5.000. Si tratta di un dato positivo in termini assoluti, che testimonia l’attenzione verso una visione imprenditoriale sostenibile e responsabile. Tuttavia, considerando la snellezza burocratica della procedura di trasformazione e il valore reputazionale associato, la diffusione resta inferiore alle effettive potenzialità del modello.

Il confronto con un’altra importante innovazione organizzativa, la certificazione ISO 9001, offre un quadro interessante. Nei primi dieci anni dalla sua introduzione, la ISO 9001 era stata adottata da circa 2.000 aziende, un numero minore rispetto alle società benefit. Tuttavia, la norma ISO ha poi conosciuto una crescita esponenziale, fino a superare le 100.000 aziende certificate in Italia nel 2023. La società benefit, pur partendo da una base iniziale più alta, non ha ancora dimostrato la stessa propensione alla crescita nel lungo termine.

Le cause della diffusione limitata

Due sono le principali ragioni che spiegano questa crescita frenata:

  1. Assenza di incentivi pubblici premianti: le società benefit non godono di agevolazioni fiscali, sgravi o contributi specifici che possano incentivare l’adozione dello status. Questo rende meno appetibile il rapporto costi/benefici della trasformazione, tenendo conto che il perseguimento del bene comune comporta comunque un costo aggiuntivo per le aziende.
  2. Bassa pressione della committenza: nella catena di fornitura, le grandi aziende committenti raramente esercitano una pressione strutturata per incentivare pratiche sostenibili. Diversamente, la certificazione ISO ha potuto contare su forti meccanismi di spinta top-down: i principali clienti imponevano lo standard ISO ai propri fornitori, creando una dinamica di adozione diffusa nell’indotto.

Le (presunte) migliori performance economiche

Come surrogato dell’incentivo economico diretto, negli ultimi anni sono circolate analisi che suggeriscono una migliore performance economica da parte delle società benefit rispetto alle imprese tradizionali: tra gli indicatori utilizzati un aumento del fatturato e dell’utile di esercizio come pure una più spiccata capacità di innovazione. Tuttavia, tali dati risultano in larga parte inattendibili poiché non è possibile stabilire un nesso causale diretto tra status giuridico e risultati ottenuti.

Più semplicemente, è verosimile che siano solo le imprese più strutturate, sane e orientate strategicamente a compiere il passo verso l’adozione dello status di società benefit. Inoltre, il 68% delle società benefit italiane appartiene al settore dei servizi terziari, storicamente più resiliente agli shock economici rispetto al manifatturiero. Queste peculiarità spiegano in larga parte il fenomeno delle performance superiori.

L’effetto distorsivo della “bolla ESG”

Il periodo 2020-2024 è stato caratterizzato inoltre da una vera e propria bolla speculativa della sostenibilità che ha favorito la diffusione di un approccio ESG (Environmental, Social, Governance) esagerato rispetto alle reali possibilità delle aziende e ai ragionevoli risultati ottenibili, culminato con la pubblicazione delle direttive europee CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive) e CSDDD (Corporate Sustainability Due Diligence Directive). Questo nuovo scenario normativo ha avuto l’effetto paradossale di mettere in ombra il modello molto più concreto e accessibile della società benefit.

Un’altra forzatura di mercato è stata quella che, in assenza di precisi e univoci riferimenti certificativi della sostenibilità, ha favorito la diffusione di standard proprietari come il B-Corp: pur basandosi sull’adozione dello status di società benefit da parte dell’impresa, la certificazione B-Corp non gli conferisce ulteriore valore aggiunto ma la appesantisce con una molteplicità di requisiti di matrice più ideologica che pratica, poco radicata nel DNA delle imprese italiane. L’elevato costo di accesso conferma inoltre la natura decisamente commerciale di questo approccio che, senza dubbio, privilegia più l’obiettivo di profitto che quello di bene comune !

La svolta geopolitica del 2025 e le nuove prospettive

A partire dal 2025, il nuovo corso geopolitico avviato dal Presidente americano Trump, ha aperto nuovi scenari anche sul fronte della sostenibilità che sono stati prontamente recepiti dall’Unione Europea con la Direttiva Omnibus che va verso una semplificazione e razionalizzazione dell’approccio ESG, puntando su strumenti più concreti, misurabili e accessibili alle PMI.

In questo contesto, la società benefit può assumere un ruolo centrale nel nuovo paradigma della sostenibilità: un modello snello ma efficace, che consente di integrare obiettivi di impatto sociale e ambientale nella strategia aziendale senza appesantimenti burocratici o costi eccessivi, fattori che danneggiano la competitività. Le società benefit possono così diventare un pilastro portante di un modello ESG pragmatico, affiancandosi alle norme ISO per costituire un sistema integrato e coerente.

Il ruolo complementare delle norme ISO

In questa prospettiva integrata, le società benefit si collocano all’interno della cornice ESG con una funzione specifica:

  • Environment: le norme ISO 14001 (gestione ambientale) e ISO 50001 (gestione energetica) restano il riferimento tecnico per la misurazione e il miglioramento degli impatti ambientali ed energetici.
  • Social: gli obiettivi di bene comune statutariamente definiti dalle società benefit rappresentano la declinazione più diretta e trasparente della dimensione sociale dell’ESG, con un’attenzione concreta alle persone, ai territori, alla società civile.
  • Governance: le norme ISO 9001 (qualità) e ISO 45001 (sicurezza sul lavoro) continuano a fornire un impianto di riferimento per l’organizzazione interna, rafforzando l’efficacia gestionale delle imprese benefit (da cui derivano le migliori performance).

Conclusioni

A dieci anni dalla sua introduzione, la società benefit rappresenta un’innovazione giuridica e culturale importante, che ha contribuito a riscrivere il ruolo dell’impresa nella società concorrendo alla creazione di un modello di business sostenibile orientato all’economia rigenerativa. Ma non solo: in piena coerenza con l’articolo 41 della costituzione italiana, la società benefit rappresenta un elemento che supporta la domanda sociale di equilibrio tra produzione e ridistribuzione della ricchezza, tra lavoro e vita privata, tra efficienza e benessere personale, tra innovazione e fruizione etica delle tecnologie, tra risultati aziendali e opportunità di crescita individuali, tra interessi di business e aspettative degli stakeholders.

La sfida dei prossimi dieci anni sarà trasformare questa forma giuridica in una leva strategica diffusa per lo sviluppo equo, sostenibile e duraturo del tessuto produttivo nazionale. In questo senso potrebbe essere utile e auspicabile un avvicinamento delle norme ISO alle tematiche di impatto sociale e un riconoscimento della società benefit come requisito anche solo consigliato, che favorirebbe sicuramente una diffusione più veloce e consistente di questo modello di business.

Questo articolo è pubblicato nella Serie Osservatorio della Domenica



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