Dalla prevenzione alla sostenibilità: il nuovo paradigma della colpa di organizzazione nella filiera

Dalla prevenzione alla sostenibilità: il nuovo paradigma della colpa di organizzazione nella filiera

20 ottobre 2025

di Marcella VULCANO

Abstract 

Il contributo analizza l’applicazione della misura di amministrazione giudiziaria ex art. 34 d.lgs. n. 159/2011 alle imprese caratterizzate da criticità nella gestione della filiera e da un rischio sistemico di sfruttamento del lavoro.

Muovendo dai più recenti orientamenti giurisprudenziali – in particolare dal caso Loro Piana S.p.A. – l’articolo approfondisce le finalità e gli strumenti della misura, con particolare attenzione al ruolo dell’amministratore giudiziario quale promotore di un piano rimediale volto a correggere le vulnerabilità organizzative e a rafforzare i presìdi di controllo interno.

L’amministrazione giudiziaria, tradizionalmente percepita come misura eccezionale o limitativa della libertà d’impresa, emerge oggi come leva di risanamento e di riallineamento organizzativo nelle imprese in crisi di legalità. Lungi dall’esaurirsi in una funzione conservativa, essa può rappresentare un’occasione concreta per diagnosticare deficit strutturali, disinnescare prassi patologiche e ricondurre l’attività economica entro un perimetro di legalità effettiva e verificabile.

Nei settori labour-intensive, come moda e logistica, la misura ha prodotto risultati significativi in termini di:

  • rafforzamento dei presìdi di legalità,
  • revisione della governance e
  • consolidamento dei sistemi di controllo interno e di gestione dei rischi,

anticipando di fatto le logiche di sostenibilità e due diligence oggi poste al centro delle direttive europee.

1. La giurisprudenza di prevenzione nei settori ad alta intensità di manodopera: il caso “Loro Piana”

L’istituto dell’amministrazione giudiziaria ha conosciuto negli ultimi anni una significativa espansione applicativa, in particolare grazie alla giurisprudenza ambrosiana, che ne ha progressivamente ampliato l’ambito di intervento fino a ricomprendere fenomeni di criminalità economica, quali evasione fiscale, riciclaggio, intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro (art. 603-bis c.p.), sempre più diffusi nei settori ad alta intensità di manodopera. Questa evoluzione riflette una prassi ormai consolidata tra molte imprese operanti in ambiti come la logistica, la grande distribuzione e la manifattura, consistente nell’esternalizzazione sistematica di fasi essenziali del ciclo produttivo o distributivo – come il facchinaggio, la movimentazione delle merci, il trasporto, l’assemblaggio – mediante l’affidamento di tali attività a società terze.

L’istituto ha così progressivamente assunto un ruolo centrale nella rigenerazione organizzativa e nella bonifica delle disfunzioni strutturali che espongono l’impresa a rischi-reato, opacità contrattuali, sfruttamento della manodopera e deficit di governance. 

In tale prospettiva, l’intervento pubblico, lungi dal configurarsi come misura meramente repressiva o conservativa, si qualifica come leva di trasformazione e acceleratore del cambiamento, finalizzato al ripristino di condizioni operative conformi ai principi di correttezza gestionale, equità nelle relazioni contrattuali, rispetto delle normative in materia di lavoro, sicurezza, responsabilità sociale e sostenibilità. 

Emblematico, da questo punto di vista, è il recente provvedimento della Sezione Autonoma delle Misure di Prevenzione del Tribunale di Milano che ha disposto l’amministrazione giudiziaria nei confronti della società Loro Piana S.p.A., storico marchio dell’eccellenza tessile italiana controllato dal gruppo LVMH, in ragione di gravi criticità emerse lungo la filiera produttiva, con particolare riferimento all’impiego di manodopera fornita da soggetti terzi in condizioni irregolari o gravemente lesive della dignità dei lavoratori(1).

Come già avvenuto in altri procedimenti riguardanti il settore moda, il Tribunale di Milano non ha disposto il sequestro dell’impresa, bensì l’affiancamento dell’amministratore giudiziario agli organi sociali in carica. Tale modalità di intervento trova giustificazione:

  • nella riscontrata “generalizzata carenza di modelli organizzativi” e
  • in un “sistema di internal audit fallace”,

ritenuti fattori determinanti nell’aver colposamente agevolato gravi forme di sfruttamento lavorativo all’interno degli opifici subfornitori della filiera produttiva.

L’agevolazione, dunque, non discende da una condotta commissiva, né presuppone la consapevolezza o il dolo da parte dell’impresa, ma si radica in una omissione sistemica dei doveri di controllo e verifica, in particolare rispetto alla reale capacità produttiva e alle condizioni operative dei fornitori. Si configura così una forma di responsabilità per colpa di organizzazione, perfettamente coerente con la categoria elaborata nell’ambito del d.lgs. n. 231/2001, che valorizza la funzione preventiva dei modelli di gestione e controllo come strumenti di presidio dei rischi-reato lungo la supply chain(2).

Le ispezioni condotte dal Nucleo Ispettorato del Lavoro del Comando Carabinieri di Milano presso opifici a conduzione cinese, hanno permesso di riscontrare non solo semplici e contingenti difformità alle normative vigenti in materia di tutela del lavoro, ma aspetti comuni e ricorrenti, quali: l’utilizzo e lo sfruttamento di manodopera irregolare e clandestina; il transito, in molteplici casi, degli stessi soggetti irregolari da un opificio all’altro; la presenza del medesimo committente della produzione in sub appalto.

In tale contesto, nel confermare l’impostazione della Procura, il Tribunale valorizza la “generalizzata carenza di modelli organizzativi ai sensi del d.lgs. 231/2001” e l’inefficacia del sistema di internal audit, elementi sintomatici di una inerzia organizzativa che assume rilievo quale condotta agevolatrice colposa, idonea a fondare la misura di prevenzione patrimoniale. Neppure le iniziative assunte dalla società in prossimità dell’intervento giudiziario – come la risoluzione del contratto con uno dei fornitori coinvolti – sono state ritenute sufficienti a escludere la responsabilità per la condotta pregressa, trattandosi, secondo il Tribunale, di un atto “intempestivo”, adottato solo in seguito alle attività ispettive condotte dal Nucleo Ispettorato del Lavoro. La condotta dell’impresa è qualificata come stabile, perdurante e funzionale alla massimizzazione dei profitti, realizzata anche “a costo di instaurare colposamente stabili rapporti con soggetti dediti allo sfruttamento dei lavoratori“.

2. Il piano rimediale tra revisione dell’assetto organizzativo e del sistema di controllo interno e gestione dei rischi

Nella recente casistica giudiziaria, l’amministratore giudiziario, operando ove possibile in coordinamento con gli organi amministrativi della società, è stato chiamato a realizzare una serie di interventi mirati, esplicitamente richiamati nel dispositivo del decreto. A titolo esemplificativo e non esaustivo:

  • analizzare i rapporti contrattuali in essere con le imprese della filiera produttiva, al fine di interrompere, ove necessario, le relazioni con soggetti coinvolti – anche indirettamente – in pratiche di sfruttamento dei lavoratori, come definite dall’art. 603-bis c.p.;
  • rafforzare i presìdi di controllo interno, in particolare quelli afferenti alla selezione, alla qualificazione e alla verifica reputazionale dei fornitori;
  • adottare un modello di organizzazione e gestione ex d.lgs. n. 231/2001 che sia concretamente idoneo a prevenire la commissione di reati di sfruttamento lavorativo nell’ambito delle attività appaltate e subappaltate.

L’amministratore giudiziario, sulla scorta delle coordinate tracciate dal Decreto, imposta un programma prescrizionale che la società dovrà attuare tempo per tempo realizzando un percorso di (ri)legalizzazione degli ambiti societari attenzionati dalla misura, tenuto conto della primaria necessità di garantire la continuità aziendale e i livelli occupazionali e di restituire un’azienda pienamente operativa – affrancata dalle ingerenze criminali – nel circuito del libero mercato.

Obiettivo della misura, infatti, è quello di realizzare un percorso di bonifica programmatica delle posizioni critiche che l’avevano generata e impostare un impianto organizzativo e gestorio e un sistema di controllo interno in grado di mitigare o quanto meno rilevare tempestivamente i rischi a cui può essere esposta la società nell’ambito dell’attività svolta. 

In tale cornice, l’amministratore giudiziario riveste un ruolo strategico quale facilitatore del cambiamento, incaricato dal Tribunale di affiancare gli organi sociali nella gestione dell’impresa, secondo le direttive impartite con il provvedimento di nomina. Non si tratta di un soggetto autonomo o sostitutivo, ma di una figura di supporto tecnico-operativo, il cui compito è accompagnare l’impresa in un percorso di risanamento organizzativo, rafforzamento dei presìdi di liceità e riconnessione con il mercato regolare.

Uno degli snodi fondamentali dell’intervento è rappresentato dalla definizione del piano rimediale: un insieme coordinato di azioni correttive, calibrate sulle criticità riscontrate, finalizzate al superamento delle disfunzioni organizzative, gestionali e di controllo. Tale piano coinvolge trasversalmente le funzioni più esposte ai rischi-reato e ha spesso come esito una profonda revisione della governance, dell’assetto organizzativo, del modello 231 e del sistema integrato di gestione dei rischi.

Numerose esperienze applicative hanno evidenziato gravi carenze strutturali, tanto più significative se messe in relazione con le dimensioni delle imprese coinvolte, il numero di lavoratori impiegati, la diffusione territoriale delle attività e il volume d’affari gestito. In questo senso, la sproporzione tra la complessità operativa dell’impresa e la debolezza della sua architettura di governo costituisce un chiaro indicatore di inadeguatezza strutturale, segnalando un deficit nei presìdi di controllo e nella capacità di gestire in modo conforme ai requisiti normativi e ai presupposti di accountabilityorganizzativa i rischi insiti nei processi aziendali. 

Proprio in presenza di tale divario, nelle procedure di amministrazione giudiziaria relative alla fattispecie prevista e punita dall’art. 603 bis c.p., nonché relative ad endemiche attività di evasione fiscale e connesse condotte di riciclaggio, l’intervento del Tribunale ha raggiunto uno dei suoi massimi risultati attraverso la modifica degli assetti organizzativi dell’azienda colpita imponendo a quest’ultima di rivedere e di adottare dei Modelli organizzativi, ai sensi del d.lgs. n. 231/2001, specifiche procedure e un sistema di controllo interno in grado di evitare che non solo i propri apicali e dipendenti ma anche i propri fornitori commettano reati e, comunque, a non contrarre con chi li commette. 

In definitiva, l’amministrazione giudiziaria si configura sempre più come un laboratorio di sperimentazione di nuovi modelli di legalità d’impresa: un processo di apprendimento organizzativo che, attraverso il piano rimediale, induce le imprese a ripensare il proprio assetto di governance e a trasformare il Modello 231 da strumento formale di compliance a leva strutturale di sostenibilità e gestione integrata dei rischi, come vedremo nel prossimo contributo.

Intervento di Marcella VULCANO, Avvocato, esperta in diritto penale d’impresa, misure di prevenzione antimafia e compliance 231, presidente e componente di Organismi di Vigilanza


Per approfondimenti, consultare i seguenti link e/o riferimenti:

(1) Tribunale di Milano, Sezione Autonoma Misure di Prevenzione, decreto, 8 luglio 2025
Presidente dott.ssa Paola Pendino, Estensore dott.ssa Giulia Cucciniello 

(2) La Sezione Autonoma Misure di Prevenzione del Tribunale di Milano, con giurisprudenza costante, ha ritenuto che per l’applicazione dell’amministrazione giudiziaria, sul piano del profilo soggettivo, la contiguità a interessi criminali rilevata nell’attività aziendale in termini di agevolazione può costituire motivo di censura esclusivamente sul piano della rimproverabilità colposa, senza che ovviamente la manifestazione attinga il profilo della consapevolezza piena della relazione di agevolazione. Tale ultimo caso, infatti, è ascrivibile nella cornice dolosa del diritto penale, ad ipotesi concorsuali o, quanto meno, favoreggiatrici. In sostanza, dovendosi comunque leggere la misura dell’amministrazione giudiziaria come posta anche a favore dell’attività imprenditoriale e della sua trasparenza, occorre, per la giurisprudenza del Tribunale di Milano, che la condotta del terzo possa e debba essere censurata esclusivamente sul piano del rapporto colposo, che riguardi, cioè, la violazione di normali regole di prudenza e buona amministrazione imprenditoriale che la stessa società si sia data, anche dotandosi di un Codice Etico, o che costituiscano norme di comportamento esigibili sul piano della legalità da soggetti imprenditoriali che operano ad un livello medio-alto, ad esempio, nel settore degli appalti di opere o servizi (Ex plurimis, cfr. Trib. Milano 23 giugno 2016, Nolostand; Trib. Milano 3 maggio 2017, Lidl; Trib. Milano 6 maggio 2019, Ceva Logistics Italia; Trib. Milano 27 maggio 2020, Uber Italy; Trib. Milano 14 novembre 2022, Bertini; Trib. Milano, Sez. Autonoma Misure di Prevenzione: decreto 15 gennaio 2024, n. 1/24, Pres. Fabio Roia, Giudice estensore Giulia Cucciniello, Alviero Martini SPA; decreto 3 aprile 2024, n. 10/24, Pres. e Giudice estensore Paola Pendino, Giorgio Armani Operation SPA; decreto 6 giugno 2024, n. 12/24, Pres. Paola Pendino, Giudice estensore Giulia Cucciniello, Manufactures Dior Srl).



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