Appalti

Appalti & Controlli: come uscire dalla solita “furbizia italiota”

20 settembre 2018

di Massimo BALDUCCI

1. Premessa

Gli appalti UE sono tutti abbastanza chiaramente regolati da direttive UE, quello che varia, nei singoli Stati Membri, non è l’aspetto normativo ma la prassi e nella prassi la cultura gioca un grande ruolo.
Gli appalti si articolano in:

  • Appalti di lavori
  • Appalti di servizi
  • Appalti di gestione in concessione
  • Appalti d’opera (obbligo di mezzi non di risultati)
  • Appalti di forniture
  • Appalti per l’individuazione dei partners nel PPP (partenariato privato pubblico).

Qui prenderemo in considerazione gli appalti di lavori e gli appalti di concessioni relative alla prassi della PPP (partenariato pubblico privato).

2. Gli Appalti di lavori

Proveremo qui, in via preliminare, a descrivere il reale svolgimento di un appalto di un lavoro pubblico. Accompagneremo la nostra descrizione con un raffronto con le migliori pratiche nord-europee (ci rifaremo ai casi di Francia, Germania, Olanda e Belgio, casi che conosciamo direttamente). Articoleremo la nostra presentazione secondo le fasi dell’appalto.

L’appalto inizia con la stesura del capitolato. Possiamo già rimarcare che i nostri capitolati sono molto più succinti di quelli di norma stesi sopra le Alpi. I capitolati per la realizzazione di una scuola in Francia o in Germania sono lunghi dalle 15 mila alle ventimila pagine. Nulla è lasciato nel vago. In maniera particolare vogliamo qui notare che da noi manca la parte dell’ingegnerizzazione del lavoro, componente dell’appalto solo parzialmente recuperata nel cronoprogramma, visto che il cronoprogramma deve essere derivato dall’ingegnerizzazione.

Un capitolato specificato a livello di minimo dettaglio non lascia spazio ad interpretazioni e negoziazioni. Sopra le Alpi, dove si hanno per prassi capitolati super – dettagliati, gli appalti sono presso che esclusivamente al massimo ribasso. Non va sottovalutato il fatto che, dove non si dovesse applicare la regola del massimo ribasso si introdurrebbero dei criteri di valutazione puramente soggettivi.

Una volta aperte le buste con le offerte si procede all’individuazione dell’offerta migliore e alla aggiudicazione dell’appalto. Subito dopo viene stipulato un contratto tra l’ente appaltante e la ditta aggiudicatrice. Qui riscontriamo una seconda significativa differenza con le pratiche in uso al di sopra delle Alpi. Al di sopra delle Alpi, dal momento che l’incontro della volontà delle parti (ente appaltante con la sua richiesta codificata nel capitolato e ditta aggiudicatrice con la sua offerta) avviene con un atto pubblico (la gara codificata nel suo verbale) non si ritiene di solito necessario procedere alla stipula di un contratto.

Interessante è anche prendere in considerazione come si arriva di fatto alla stipula di detto contratto. Il contratto in questione dovrebbe essere steso dall’ufficiale rogante dell’amministrazione appaltatrice. Figura questa sconosciuta altrove. L’ufficiale rogante è un misto di presunzione di superiorità dell’amministrazione pubblica rispetto alla competenza professionale del professionista e di italiana furbizia mirante a garantire a certi funzionari proventi al di fuori della remunerazione formale. È noto che i segretari comunali ambiscono alle sedi dove maggiori sono le prospettive di opere pubbliche. Il fatto comunque è che gli ufficiali roganti non hanno la professionalità di un notaio e, concretamente, non sono in grado di stendere dei contratti ben fatti.

Con la solita furbizia italiota, l’ufficiale rogante chiede alla ditta aggiudicatrice di stendere la bozza di contratto. La ditta incarica un legale di sua fiducia. Qui abbiamo un primo effetto incrociato di due gravi anomalie di fatto: la vaghezza del capitolato si incrocia con un contratto steso ad usum delphini. Nel caso di opere di media portata non è esagerato affermare che questo contratto rappresenta il vero capitolato.

Qui abbiamo messo la piaga su i due principali problemi dei nostri appalti di lavori: i capitolati e i contratti. Bisogna rendersi conto che mancano nel nostro paese competenze professionali adeguate per realizzare capitolati e contratti adeguati. Questi due aspetti vengono ignorati dal codice degli appalti.

L’ente appaltante nomina poi un direttore dei lavori. Sopra le Alpi il direttore dei lavori è espresso dalla ditta aggiudicatrice. Nel caso italiano il direttore dei lavoro viene espresso dalla ditta aggiudicatrice solo nel caso in cui si tratti di un appalto tipo “general contractor”.

Che cosa implica operativamente il fatto che il direttore dei lavori è espresso dall’ente appaltatore e non dalla ditta aggiudicatrice? Qui ci sono diverse considerazioni che dobbiamo fare.

Innanzi tutto qui si rispecchia il fatto che si considera la ditta aggiudicatrice non in grado culturalmente e professionalmente di gestire i lavori. In effetti non ci si trova di fronte ad un vero e proprio appalto ma ad una cosa che richiama piuttosto il body lending. Vedremo che questo schema riemerge in maniera molto chiara nel caso dell’appalto di servizi.

La seconda considerazione riguarda il fatto che il ruolo del direttore dei lavori si incrocia in maniera significativa con la vaghezza del capitolato. In effetti il direttore dei lavori serve a riempire i buchi di programmazione lasciati dal capitolato.
I controlli avvengono di fatto solo al momento della consegna dei lavori e vengono svolti da una commissione di norma presieduta da un magistrato e composta da professionisti che non hanno avuto nessuna formazione ad hoc.

In Francia gli ispettori sono un corpo specializzato del Ministero dell’Aménagement du Territoire e svolgono ispezioni casuali durante e alla fine dell’opera. Tra di loro non esistono giuristi. Si tratta di un corpo di tecnici altamente specializzati. La specializzazione è il risultato di una formazione selettiva pluriennale che passa attraverso delle Grandes Ecoles tra cui vogliamo citare qui l’Ecole Nationale des Ponts et Chaussez. Questi ispettori piombano in maniera inattesa nei cantieri e verificano la corrispondenza dei lavori realizzati con il capitolato e i meccanismi di ingegnerizzazione in esso stabiliti.

La presenza del magistrato nelle nostre commissioni va di pari passo con la vaghezza dei capitolati e lo smisurato potere discrezionale del direttore dei lavori. La correttezza dell’esecuzione non viene valutata tecnicamente in base alla corrispondenza tra quanto previsto dal capitolato e quanto realizzato ma sulla base della corretta interpretazione giuridica di quanto richiesto da un capitolato vago. A questo proposito risulta interessante quanto osservato dal pubblico partecipante al convegno, osservazione che vedremo più avanti.

Sopra le Alpi i casi di corruzione non sono assenti, basti pensare al nuovo aeroporto di Berlino la cui inaugurazione è stata rinviata tre volte per mancata corrispondenza tra quanto realizzato e quanto previsto del capitolato. Questi casi non sono solo molto inferiori ma vengono immancabilmente evidenziati prima della consegna dei lavori, mentre da noi le inadeguatezze dei lavori realizzati emergono spesso ex post, molti anni dopo che il lavoro è stato consegnato, quando si verificano dei disastri. E quando si verificano dei disastri è difficile individuare il responsabile e farlo condannare. Mancando un capitolato chiaro non si può imputare ai realizzatori di non aver rispettato il capitolato ma, al massimo, di non aver rispettato canoni di sicurezza e/o professionali che non sono codificati da nessuna parte. Con un buon avvocato se ne esce con danni minimi.

Una differenza significativa la si rimarca rispetto alle varianti in corso d’opera, Tale varianti al di sopra delle Alpi sono rarissime. Da noi l’appalto è un infinito processo negoziale che inizia con un capitolato vago che non permette una vera comparazione delle offerte e che prosegue con tutta una serie di negoziazioni quotidiane con il direttore dei lavori (negoziazioni tutte rigidamente orali e non codificate per iscritto), negoziazioni che talvolta si intoppano al punto che il direttore dei lavori invita la ditta aggiudicatrice a richiedere una variante in corso d’opera.

L’ultima differenza è rintracciabile nei tempi di consegna del lavoro. Sopra le Alpi il rispetto dei termini di consegna rasenta il 100% dei casi.

3. La selezione di partners per le private public partnerships

Qui va tenuto presente un dato di fatto che fa di solito discostare la realtà di fatto dalla presunzione giuridica: la maggioranza delle quote in mano al pubblico non garantisce affatto che l’ente di partenariato sia guidato dal pubblico; la competenza industriale è in mano al socio privato di minoranza che, pur essendo di minoranza, prende rapidamente il sopravvento.

Questo fatto assume una rilevanza particolare se si considera che molte attività vengono assegnate direttamente in house senza gara. Di fatto il prezzo e la qualità del servizio vengono dettati dal socio privato di minoranza all’ente che ha assegnato in house il servizio dopo aver selezionato con procedura di appalto il partner privato.

4. Gap culturale e necessità formative

Quello che emerge è un profondo gap culturale tra le necessità di una gestione corretta delle procedure di selezione ad evidenza pubblica, da una parte, e le competenze professionali necessarie nonché gli stili comportamentali, dall’altra.

Per quanto riguarda gli stili comportamentali emerge chiara la assenza della consapevolezza della necessità di stabilire a priori le regole e non di dover negoziare con un processo infinito. Questo punto rappresenta la principale occasione di frizione tra il nostro Paese e la UE, dove non si ama discutere dei singoli casi ma delle regole con cui i singoli casi dovranno poi essere decisi.

Richiamiamo qui le necessità formative più impellenti, già citate nel corso delle pagine precedenti:

a) formazione alla stesura dei capitolati

b) formazione per la creazione di ispettori dei lavori pubblici degni di questo nome

c) formazione di auditors esterni in grado di valutare la correttezza della fornitura di servizi appaltati. Qui si segnala il fatto che l’ANAC dovrebbe provvedere alla formazione dei membri degli OIV, assolutamente ignari di queste tecniche.

Non bisogna farsi illusione. Queste competenze in Italia non esistono. Non esistono, quindi, i personaggi in grado di insegnare queste competenze. Il processo si presenta quindi lungo e deve prendere le mosse dalla “formazione dei formatori”. Tale formazione può essere realizzata solo facendo appello alle competenze dei nostri partner europei. L’idea dovrebbe essere quella dir attivare una sorta di effetto valanga, in cui i formatori formati formino degli operatori in grado, non solo di realizzare capitolati corretti, ma anche di formare altri colleghi.

Al Consiglio d’Europa esiste una vasta competenza in materia accumulata quando si è dovuto far fronte alla necessità di trasferire competenze istituzionali in brevissimo tempo ai Paesi emersi dalla tragedia del Comunismo dopo la caduta del muro di Berlino.

 

Intervento di Massimo BALDUCCI, Docente alla Scuola di Scienze Politiche “Cesare Alfieri” dell’Università di Firenze

 

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