Contratti pubblici e Antiriciclaggio: Il Nuovo Ecosistema Digitale Anticorruzione

Contratti pubblici e Antiriciclaggio: Il Nuovo Ecosistema Digitale Anticorruzione

13 giugno 2025

di Nicola LORENZINI

Digitalizzazione del Ciclo di Vita dei Contratti Pubblici  (D.Lgs. 36/2023 e correttivo 209/2024). Integrazione tra Codice dei Contratti Pubblici e la normativa della Responsabilità degli Enti e AML (D.Lgs. 231/2001 e D.Lgs. 231/2007).

La recente riforma dei contratti pubblici (D.Lgs. 36/2023 e correttivo 209/2024) ha introdotto l’obbligo di digitalizzare integralmente il ciclo di vita degli appalti pubblici, imponendo l’uso di piattaforme digitali certificate e interoperabili.

Questa trasformazione, sostenuta dal PNRR, rafforza la trasparenza, riduce il rischio di corruzione e consente il controllo in tempo reale delle procedure. Il nuovo Codice interagisce strettamente con il sistema di responsabilità degli enti previsto dal D.Lgs. 231/2001, che sanziona gli illeciti come la corruzione e incentiva le imprese a dotarsi di Modelli Organizzativi 231.

La digitalizzazione, quindi, non è solo uno strumento tecnologico, ma diventa leva essenziale per integrare in modo efficace le misure di prevenzione della corruzione e del riciclaggio nel sistema degli appalti pubblici.

B. Antiriciclaggio e Tracciabilità dei Flussi Finanziari (D.Lgs. 231/2007 e misure correlate)

Accanto alle norme anticorruzione, si inserisce il dispositivo normativo in materia di antiriciclaggio, che presenta forti sinergie con il settore degli appalti pubblici. 

Il D.lgs. 21 novembre 2007, n. 231 (da non confondere con l’omonimo decreto del 2001) recepisce le direttive europee antiriciclaggio, imponendo misure di prevenzione e contrasto al riciclaggio di denaro e al finanziamento del terrorismo. 

Esso delinea obblighi stringenti per una serie di soggetti obbligati (banche, intermediari finanziari, professionisti, ecc.), volti a garantire la tracciabilità dei flussi finanziari e l’emersione di operazioni sospette. 

Benché le Pubbliche Amministrazioni e le imprese appaltatrici non rientrino tradizionalmente tra i soggetti obbligati a tutti gli adempimenti antiriciclaggio, il legislatore ha progressivamente esteso alcune responsabilità anche in capo ad esse, riconoscendo il legame tra reati corruttivi e riciclaggio. 

Spesso, infatti, le somme ottenute illecitamente tramite corruzione devono essere “ripulite” per poterne godere: la corruzione è dunque un reato-presupposto frequente del riciclaggio, e viceversa flussi di denaro riciclato possono alimentare circuiti corruttivi.

In virtù di questa connessione, l’ordinamento prevede specifiche misure di segnalazione e controllo in capo alle Pubbliche Amministrazioni. 

L’art. 10 del D.lgs. 231/2007 dispone che le PA:

  • comunichino alla UIF (Unità di Informazione Finanziaria presso la Banca d’Italia) dati e informazioni su operazioni sospette di riciclaggio di cui vengano a conoscenza nell’esercizio delle proprie funzioni; 
  • adottino procedure interne per la valutazione del rischio di riciclaggio nei propri ambiti di attività; 
  • formino il personale sulla normativa antiriciclaggio e sulle modalità di segnalazione;
  • cooperino con le autorità competenti nel contrasto al riciclaggio.

In altri termini, anche gli enti pubblici devono dotarsi presìdi organizzativi e procedurali idonei a intercettare operazioni finanziarie anomale connesse ai propri procedimenti e a comunicarle tempestivamente. 

Le amministrazioni appaltanti, ad esempio, dovrebbero essere in grado di rilevare se nell’ambito di un appalto emergono movimenti di denaro sospetti – si pensi a pagamenti ingiustificati verso subappaltatori, consulenze fittizie, cauzioni versate da soggetti non collegati all’appaltatore, ecc. – e segnalarli alla UIF secondo il principio del “follow the money”. 

A tal fine la PA deve nominare un Responsabile Antiriciclaggio Interno (“gestore”), incaricato di analizzare le informazioni raccolte nei diversi procedimenti amministrativi e di valutare eventuali indici di riciclaggio da segnalare. 

È importante notare che la legge non richiede alla PA investigazioni che esulino dal proprio perimetro, ma esige che essa sfrutti al meglio le informazioni di cui dispone nello svolgimento della sua attività istituzionale, incrociando dati e prestando attenzione a anomalie significative riconducibili a fenomeni corruttivi o criminali.

Questa integrazione dei dati amministrativi con finalità antiriciclaggio è particolarmente rilevante nell’era digitale e in contesti come il PNRR, dove ingenti risorse pubbliche vengono allocate e occorre vigilare che non finiscano in circuiti illegali.

Un capitolo cruciale nell’intersezione tra appalti e antiriciclaggio riguarda la tracciabilità dei flussi finanziari connessi ai contratti pubblici. 

Già con la L. 136/2010 (“Piano straordinario contro le mafie”) il legislatore ha introdotto l’obbligo per appaltatori, subappaltatori e concessionari di pubblici lavori, servizi e forniture di utilizzare conti correnti dedicati e strumenti di pagamento tracciabili (bonifici, RID, ecc.) recanti la codifica CIG e CUP delle commesse, così da mappare ogni transazione ed evitare pagamenti in contante opachi.

Questa normativa, richiamata e rafforzata nel nuovo Codice Appalti, si fonda sul principio del “Follow the money” già intuito dal giudice Falcone: seguire la traccia del denaro pubblico per individuare eventuali beneficiari occulti e prevenire l’infiltrazione criminale nell’economia legale.

La tracciabilità finanziaria non è concepita solo come strumento contabile, ma come mezzo investigativo a disposizione degli inquirenti e delle autorità di controllo.

Ogni pagamento relativo a un contratto pubblico che transita su conti dedicati e tracciati può infatti essere analizzato a posteriori: questo consente un controllo retrospettivo sui flussi di denaro provenienti dalle PA, utile per ricostruire reti corruttive o schemi di riciclaggio a valle di condotte illecite. 

Nell’ambito del procurement digitalizzato, tali controlli possono diventare addirittura proattivi e in tempo reale: gli strumenti informatici e di intelligenza artificiale applicati alle piattaforme di e-procurement possono monitorare costantemente i flussi finanziari associati alle gare, segnalando scostamenti rispetto a pattern attesi o identificando relazioni anomale tra soggetti (es. collegamenti societari opachi, offerte anormalmente basse seguite da varianti costose, ecc.). 

In prospettiva, i dati interoperabili delle piattaforme potrebbero essere incrociati con le watchlist antiriciclaggio e antimafia (es. liste di imprese a rischio, titolari effettivi collegati a reati, etc.) per bloccare sul nascere tentativi di infiltrazione.

A proposito di titolare effettivo, sia la disciplina antiriciclaggio che quella sugli appalti recenti pongono l’accento sull’identificazione dei beneficiari ultimi delle imprese coinvolte. 

Il D.lgs. 231/2007 e successive modifiche hanno introdotto obblighi stringenti di identificazione della proprietà effettiva delle persone giuridiche, con la creazione di un Registro dei Titolari Effettivi presso il Registro Imprese.

Nel settore degli appalti pubblici, conoscere il titolare effettivo delle imprese offerenti è diventato fondamentale per scongiurare l’utilizzo di società schermo o prestanome da parte di organizzazioni criminali.

Il nuovo Codice appalti e le normative collegate (anche in attuazione del PNRR) prevedono procedure rigorose di verifica della titolarità effettiva dei partecipanti alle gare. 

Le stazioni appaltanti devono andare oltre le apparenze formali, indagando assetti proprietari complessi e filiere di subappalti per individuare chi davvero controlla l’impresa che si aggiudica il contratto.

Ad esempio, linee guida recenti suggeriscono di prestare attenzione a imprese che utilizzano modelli di noleggio di attrezzature con o senza manodopera (nolo a caldo vs nolo a freddo), in quanto tali modalità possono nascondere fenomeni di sovrafatturazione o interposizione fittizia legati al riciclaggio.

L’obiettivo è rendere trasparente la filiera di fornitura, assicurandosi che dietro ogni appaltatore e subappaltatore vi siano soggetti leciti e qualificati, e non entità di comodo riconducibili ad ambienti criminali. 

Questa attenzione al titolare effettivo risponde anche agli standard internazionali (Raccomandazioni FATF-GAFI) ed è un punto di contatto diretto tra compliance antiriciclaggio e prevenzione della corruzione: spesso le stesse strutture opache utilizzate per evadere i controlli antiriciclaggio sono impiegate per veicolare tangenti o distogliere fondi pubblici.

Da ultimo, il D.Lgs. 231/2001 stesso contempla tra i reati presupposto il riciclaggio.  L’art. 25-octies D.Lgs. 231/2001, introdotto successivamente, include i delitti di ricettazione (art. 648 c.p.), riciclaggio (art. 648-bis c.p.), impiego di beni di provenienza illecita (art. 648-ter c.p.) e autoriciclaggio (art. 648-ter.1 c.p.) 

Ciò significa che un’azienda può essere ritenuta responsabile ex 231/2001 anche per aver ripulito proventi illeciti – eventualmente frutto di corruzione – nell’interesse proprio. 

Le imprese appaltatrici, pur non essendo soggetti finanziari, possono incorrere in questo rischio se, ad esempio, reinvestono in azienda denaro “sporco” ottenuto aggiudicandosi gare in modo fraudolento o tramite mazzette. 

Un modello 231 efficace dovrebbe dunque contenere misure di prevenzione del riciclaggio parallele a quelle anticorruzione: controlli sui flussi di cassa, verifiche sui partner e consulenti, politica zero contanti, audit su transazioni infragruppo, ecc. 

In pratica, le migliori prassi di compliance integrano ormai antiriciclaggio e anticorruzione in un unico sistema: procedure KYC (Know Your Customer) per conoscere clienti e fornitori, due diligence reputazionale sui partecipanti alle gare, monitoraggio dei pagamenti e delle fatture, formazione del personale sui red flag sia di tangenti che di riciclaggio. 

In ambito pubblico, le amministrazioni devono allo stesso modo sviluppare una cultura organizzativa della legalità finanziaria, dotandosi di piani anticorruzione che tengano conto anche dei rischi di riciclaggio (come richiamato dal PNA – Piano Nazionale Anticorruzione aggiornamento 2023) e viceversa integrando nei propri processi di spesa i presìdi antiriciclaggio richiesti dall’art. 10 D.Lgs. 231/2007.

C. Sinergie Normative e Valore Sistemico della Digitalizzazione del Procurement

Le tre fonti normative analizzate – Codice dei Contratti Pubblici, D.Lgs. 231/2001 e D.Lgs. 231/2007 – si intrecciano a comporre un sistema unitario di prevenzione dei reati economici nel settore degli appalti.

Ciascuna agisce su un livello diverso (procedurale, organizzativo, finanziario), ma i collegamenti reciproci ne amplificano l’efficacia complessiva. 

La digitalizzazione del procurement pubblico rappresenta in questo contesto il nodo centrale e l’abilitatore tecnologico delle altre misure: fungendo da barriera giuridica e organizzativa contro condotte illecite, essa rende possibili controlli incrociati e automatizzati impensabili in un sistema analogico. 

In concreto, l’ecosistema di e-procurement imposto dal D.Lgs. 36/2023 crea un flusso di informazioni continuo, trasparente e accessibile tanto ai soggetti pubblici di vigilanza (ANAC, autorità anticorruzione, organi inquirenti) quanto agli Organismi di Vigilanza 231 all’interno delle imprese.

Ne risulta un monitoraggio multilivello: le stazioni appaltanti possono sorvegliare in tempo reale l’esecuzione dei contratti (art. 22, co. 2, lett. e) Codice), mentre le imprese possono dimostrare la propria trasparenza mettendo a disposizione dati tracciati e aderendo a protocolli di legalità. 

La tracciabilità informatica dei dati garantisce inoltre la conservazione delle evidenze di ogni operazione, facilitando sia gli audit interni (OdV, internal audit) sia le eventuali indagini esterne. 

Ad esempio, in caso di sospetti, la convergenza delle banche dati permette di ricostruire rapidamente l’intero iter di gara, i soggetti coinvolti, le decisioni prese e i movimenti finanziari associati, fornendo elementi probatori oggettivi. 

Questo effetto di deterrenza non va sottovalutato: sapere che ogni passo lasci un’impronta digitale consultabile riduce l’incentivo a tentare pratiche corruttive o accordi illeciti, poiché aumenta esponenzialmente il rischio di scoperta.

Il valore sistemico di tale impostazione integrata si coglie osservando come le diverse normative si rafforzino a vicenda. 

Il Codice Appalti 2023, attraverso le cause di esclusione e i requisiti di partecipazione, promuove la compliance 231 nelle imprese: di fatto, solo operatori economicamente e penalmente “puliti”, dotati di strutture di controllo adeguate, possono ambire al mercato pubblico. 

Ciò eleva il livello etico complessivo del settore, creando un circolo virtuoso per cui la concorrenza si svolge sulla qualità e non sull’illegalità. 

Dal canto loro, i Modelli 231 nelle società orientate al pubblico supporto traducono le previsioni del Codice in procedure interne – ad esempio, procedure per evitare conflitti di interesse in commissione di gara, regole sulle regalie e hospitality, rotazione degli incarichi – contribuendo a dare effettività ai principi di integrità sanciti dalla legge. Sul versante pubblico, l’obbligo per le PA di segnalare operazioni sospette e gestire il rischio di riciclaggio (ex art. 10 D.Lgs. 231/2007) le spinge a migliorare i propri controlli finanziari interni e a collaborare attivamente con le autorità (UIF, DIA, forze di polizia) nelle attività investigative. 

Il nuovo Codice facilita questo compito fornendo strumenti digitali di aggregazione dei dati e rendendo disponibili informazioni sui contratti a tutte le amministrazioni interessate in modo interoperabile. 

Ad esempio, un comune che appalta lavori pubblici può accedere all’Anagrafe degli Operatori Economici e al Fascicolo Virtuale dell’Operatore (artt. 24 e 99 Codice) per verificare precedenti e struttura societaria di un concorrente, individuandone il titolare effettivo e eventuali segnali di rischio (presenza in white list antimafia, certificazioni di qualità, eventuali notizie interdittive). 

Allo stesso modo, grazie alla Piattaforma per la Pubblicità Legale degli Atti, tutti gli atti di gara e i relativi dati di aggiudicazione sono pubblici e consultabili, realizzando una trasparenza totale che rende più difficoltoso nascondere favoritismi o sovrapprezzi.

In conclusione, digitalizzazione, prevenzione della corruzione (231/2001) e antiriciclaggio (231/2007) vanno considerate come i tre pilastri di un unico sistema di compliance del procurement. 

Il quadro normativo integrato che ne risulta è uno dei più avanzati a livello internazionale, e costituisce una best practice di approccio olistico alla tutela della spesa pubblica. 

La digitalizzazione degli appalti, oltre a migliorarne l’efficienza, fornisce l’infrastruttura necessaria perché le norme anticorruzione e antiriciclaggio possano dispiegare appieno i loro effetti: tracciabilità, trasparenza e interoperabilità sono infatti i prerequisiti per individuare sia la mazzetta (reato presupposto di corruzione) sia il riciclaggio dei suoi proventi.

Viceversa, la prospettiva penal-compliant di D.Lgs. 231/2001 e la vigilanza finanziaria di D.Lgs. 231/2007 assicurano che la digitalizzazione non resti una mera innovazione tecnica, ma si traduca in presìdi di legalità concretamente operativi.

Il risultato atteso è un rafforzamento sistemico delle barriere giuridiche ed organizzative ai reati economici, che rende il sistema degli appalti pubblici più resiliente a frodi, corruzione, infiltrazioni mafiose e riciclaggio. 

Come sottolineato dagli esperti, la sfida della digitalizzazione in atto sarà vinta solo grazie all’impegno congiunto di tutti gli attori: Pubbliche Amministrazioni dotate di competenze e volontà di compliance, imprese responsabili e competitive nella legalità, organi di controllo (ANAC, OdV, UIF) capaci di sfruttare l’enorme mole di dati a disposizione. 

Se queste condizioni saranno soddisfatte, l’e-procurement diventerà non solo uno strumento di efficienza, ma soprattutto un argine robusto contro i fenomeni illeciti che storicamente affliggono il settore dei contratti pubblici.

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LEGGI QUI l’articolo precedente 1/2, Contratti Pubblici e Compliance 231: Il Nuovo Ecosistema Digitale Anticorruzione


Per approfondimenti, consultare i seguenti link e/

D.Lgs. 31 marzo 2023, n. 36 e D.Lgs. 31 dicembre 2024, n. 209 – Nuovo Codice dei Contratti Pubblici.

D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231 – Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche.

D.Lgs. 21 novembre 2007, n. 231 – Disciplina antiriciclaggio.

ANAC, Linee guida e documenti sulla digitalizzazione e la trasparenza nei contratti pubblici.

AODV231, Approfondimenti su Modelli 231 e appalti pubblici digitalizzati.  

Articoli di dottrina e prassi su anticorruzione e antiriciclaggio nel PNRR  www.riskcompliance.it



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