Smart working: opportunità o rischio o entrambi?

5 ottobre 2022

di Gianluca GREA

Corre il mese di settembre 2022.

A livello sanitario non possiamo dire di essere completamente usciti dalla pandemia da Covid, che ci accompagna oramai dall’anno 2019. A livello umano, oggi, capita di incontrare chi di fatto ne è uscito, così come chi continua a manifestare preoccupazione per la propria (e altrui salute), patendo limitazioni nel vivere il quotidiano, sia esso professionale che personale.

Le società tutte – qui rilevano in particolare quelle di maggiori dimensioni e/o soggette a vigilanza – hanno adottato protocolli, anche in adesione alle prescrizioni normative via via succedutesi nel tempo, che, bruscamente, accelerano un percorso evolutivo (da alcuni peraltro già avviato) in termini di svolgimento della prestazione lavorativa anche in modalità smart o a distanza: protocolli che hanno consentito da un lato, spesso con efficacia, di rispondere alla richiamata straordinaria emergenza sanitaria, dall’altro lato imposto una modalità di prestazione del lavoro e di interazione tra le persone fortemente innovativa e per certi versi dirompente.

Ridottasi oggi l’emergenza sanitaria e allentate le prescrizioni normative in materia, le società hanno avviato una dialettica con il proprio personale per condividere modalità e termini di prosecuzione dello svolgimento della prestazione lavorativa con modalità “agile”.

Dal lato della forza lavoro, si è potuto riscontrare un forte interesse a mantenere – e proseguire – secondo modalità miste di prestazione del lavoro, con preferenza per il lavoro a distanza, quasi sempre richiesto (spesso preteso) in sede di colloquio one-to-one o quale elemento competitivo/discriminatorio in occasione di colloqui per assunzioni, anche in ottica di retention.

È comprensibile quindi condividere che l’attenzione delle società sia oggi concentrata a definire, sotto diversi profili, le migliori modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative (vedi ad es. temi organizzativi, informatici, di diritto del lavoro, sicurezza, etc.).

In termini necessariamente generali, la velocità (nei modi e tempi) con cui tale obbligata scelta ha portato alla nuova operatività e impattato sull’articolazione organizzativa delle società – pur se in misura differente a seconda della tipologia di attività e mansione svolta – deve, altrettanto velocemente, portare le società, e per esse le funzioni interne preposte alle tematiche organizzative e di controllo, a misurarne da subito gli effetti sotto molteplici profili, tra cui:

  • il mantenimento dell’efficienza ed efficacia operativa,
  • il rispetto delle tempistiche e della coerenza dei flussi anche informativi rispetto ai processi e procedure interne, in coerenza con l’infrastruttura organizzativa, anche informatica, adottata.

È peraltro opportuno dedicare, in parallelo, attenzione anche alle conseguenze ed impatti che tali nuove modalità di lavoro possono comportare, ad esempio, in termini di necessità, o anche solo opportunità, di riperformare il processo interno di valutazione dei rischi, siano essi operativi che reputazionali, in termini di risk self assessment, estese anche alla verifica degli eventuali impatti rispetto a modelli organizzativi ex D.lgs. 231/2001, ove adottati.

Agli aspetti di valutazione sotto il profilo “normativo o regolamentare”, devono aggiungersi ad avviso di chi scrive due ulteriori effetti, che rischiano di essere oggi sottostimati.

Il primo dato dalla circostanza che il lavoro in remoto, per la fascia più giovane, può consolidare in tempi rapidi un atteggiamento più distaccato verso il mondo del lavoro, può altresì impattare sul cd. “attaccamentoalla società, sul senso di appartenenza, anche in termini di crescita e condivisione della cd. cultura aziendale, e altri ne vengono in mente.

Il secondo, altrettanto complesso, può impattare sulla cd. comfort zone, attraverso la possibile riduzione del perimetro operativo (sia fisico che mentale) della singola risorsa, soprattutto per coloro che più di altri hanno sofferto e stanno soffrendo – o vivono con preoccupazione – la perdurante pandemia sanitaria o che, solo di recente, si sono affacciati al mondo del lavoro.

L’emergenza sanitaria richiamata ha creato una forte soluzione di continuità, uno strappo, al quale ci siamo adattati in tempo quasi reale con l’obbligata, e dovuta, flessibilità. Ora dobbiamo ricostruire o ricucire, in parallelo al nuovo modello di riferimento, il ponte o lo strappo, per essere certi di impostare al meglio la complessità operativa del futuro prossimo.

Sono evidentemente argomenti complessi, che mi permetto di evidenziare in termini di stimolo.

Le riflessioni di cui sopra portano alla opportunità (meglio forse necessità) di analizzare già oggi i dati disponibili per una maggiore consapevolezza degli impatti o degli effetti nel breve e per una proiezione nel medio lungo periodo.

Gli elementi da considerare, come accennato in precedenza, non si limitano a valutazioni in termini di rischio, ma si relazionano, come scritto in precedenza, anche temi di assoluta attualità, quali quelli richiamati dalle lettere S e G dell’acronimo ESG (environment, social and governance).

Social: in quanto un’errata modalità applicativa della metodologia di lavoro smart potrebbe portare, per alcune mansioni, ad una minore efficacia nella produttività e nella loro diffusione trasversale, a rallentamenti dei processi di condivisione: circostanze che potrebbero prefigurarsi, ad esempio, nel caso di asimmetrici utilizzi del lavoro smart tra colleghi della medesima società. Effetti che potrebbero portare a un diffuso disagio psicologico, tale da alterare abitudini e comportamenti, siano essi riferibili all’ambito lavorativo o personale e quindi con conseguenze anche di natura sociale. In tempi di emergenza pandemica, infatti, lo strumento dello smart working rappresenta l’unica opzione disponibile e oggi testata tra gli strumenti del “come” svolgere la prestazione lavorativa; terminata o ridottasi l’emergenza, occorre considerare lo smart working come strumento evolutivo e di cambiamento (dei comportamenti), ma da misurare attentamente quanto alla portata dei suoi effetti.

Governance: in quanto un’errata modalità applicativa della metodologia di lavoro smart potrebbe portare a impatti sui processi interni con il risultato di aumentare la differenza tra l’organizzazione, i momenti formativi delle decisioni e dei processi aziendali disegnati e quella rispondente alla realtà dei flussi, dei comportamenti e delle attività effettivamente svolte. Senza volere entrare ora nelle tematiche della privacy, gestione della riservatezza dei dati societari e documenti, della loro sicurezza anche in termini informatici e di possibili violazioni, etc.

Si può rilevare, rispetto al passato, che gli effetti (siano essi positivi che negativi) delle innovative scelte di organizzazione del lavoro – accelerate per le esigenze in precedenza richiamate – possono essere oggi già in parte misurabili grazie all’evoluzione tecnologica e alla maggiore disponibilità, fruibilità di dati e capacità di analisi. Tali dati e strumenti di analisi, sia in termini di principi e criteri di governance che legati ai richiamati ambiti social, potranno restituire, con una valutazione caso per caso, posizione per posizione, un aggiornato e attuale quadro conoscitivo della singola operatività aziendale, utile per meglio rispondere alle esigenze o richieste del nuovo modo di lavorare – oggi anche al fine di trattenere e motivare le risorse – con la consapevolezza dell’eventuale opportunità di intervento su organizzazione, procedure e processi.

Occorre, pertanto, con la medesima velocità con cui le società hanno necessariamente adottato sistemi di lavoro a distanza, anticipare l’analisi dei possibili impatti su più e differenti tavoli e sotto molteplici profili, per accompagnare nel modo migliore – nel rispetto delle tematiche di rischio e degli ambiti richiamati dalle lettere S e G – l’evoluzione che il mondo del lavoro era pronto ad affrontare, ma che si è trovato d’urgenza ad applicare.

Serve recuperare lo strappo creatosi con la forte accelerazione impressa al nostro modo di lavorare e interagire socialmente, riprendendone il controllo e proseguendo con le valutazioni sulla cui base, già pre-Covid, erano state avviate riflessioni sulle più utili ed equilibrate modalità di lavoro in remoto, con l’apprezzabile obiettivo di raggiungere una più sostenibile life balance.

Indipendentemente dalle cause che l’hanno portata, la soluzione di continuità che ci troviamo ad affrontare, come imprese, non può prescindere da una più ampia lettura dei fenomeni che coinvolgono il sentimento di tutti noi, maggiore forse nelle città principali, che ci porta a leggere le nostre abitudini, le persone e cose che ci circondano da angoli diversi. Se non si comprende questo cambio di prospettiva, si rischia di ragionare con una visione compressa, di prendere quindi decisioni o convincerci di necessità che potrebbero non rispondere appieno all’evoluzione in corso, con il rischio (paradossale) di ottenere un risultato contrario alle aspettative.

Il futuro è inevitabilmente avviato, ma non può essere sostenibile se basato su uno strappo (necessitato) con il passato (oggi più subito che gestito): questo sia per chi ha lavorato sino a ieri nel precedente mondo, sia per coloro che si trovano alle prime esperienze con il nuovo mondo.

La conoscenza di chi oggi lavora da più tempo deve essere di aiuto nel capire e proiettare quanto appreso nel prossimo futuro, in termini di sostenibilità, compatibilità e adattabilità. Occorre prendere il meglio del nostro recente passato e di leggerlo con la volontà e capacità di capire che il prossimo futuro poggerà su pilastri diversi: resistere immotivatamente a questo cambiamento rischia di creare uno strappo generazionale con costi che si rifletterebbero su più generazioni.

Con riguardo ai nostri colleghi più giovani, occorre evitare che l’innovatività molto forte che oggi li accompagna possa rischiare di essere compromessa dal mancato appoggio e accompagnamento derivante dall’esperienza delle precedenti generazioni. Ciò non significa però imporre dall’alto, con presunzione, il bagaglio culturale degli anni passati. Significa interagire intelligentemente con giovani che presentano una forte discontinuità di pensiero e azioni, a volte contraddittorie: da qui si potrà avviare e proseguire in un percorso di crescita inter generazionale.

Si può concludere dando atto che quanto occorso in periodo di emergenza sanitaria ha fornito un’esperienza che risulterà utile e preziosa per i possibili cambiamenti o necessità improvvise che il futuro ci potrà riservare: dovrà essere compreso come la dimostrazione della capacità dell’uomo di cambiare paradigma, quando dovuto, con velocità e adattabilità.

Dobbiamo evitare che il virus, che quanto sopra ha comportato per necessità, non travalichi gli ambiti sanitari che gli competono e, anche per causa nostra, arrivare a contagiare irrimediabilmente il nostro vivere quotidiano, in un contesto di normale e necessaria socialità.

 

Intervento di Gianluca GREA  |  Of Counsel, Studio Parola Angelini

 



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