ED Report Powell Gennaio 2022

POWELL: “La Politica Monetaria farà il suo mestiere”

27 gennaio 2022

di Ivo INVERNIZZI

Sì al rialzo dei tassi da marzo; la riduzione del bilancio sarà ‘ordinata e prevedibile’

All’avvio del 2022, i comunicati ufficiali e le ultime dichiarazioni degli esponenti della Fed rivelavano un blando cambiamento nella retorica della banca centrale americana. Del resto, la correzione sui tassi dovuta alla variante Omicron e l’abbondante liquidità erano adeguati alla guidance, salvo l’offerta di obbligazioni, che stava riducendosi lievemente.

L’enorme boost di liquidità stava per ridursi, ma sarebbe stato necessario del tempo prima che i mercati lo percepissero e reagissero con forza a tale “cambio di regime”.

L’attesa di un primo aumento di tasso in marzo e tre o quattro aumenti nel 2022, avvalorava la mancanza di una chiara intenzione al liftoff dei tassi già nel meeting di gennaio.

Tra gli esperti era convinzione diffusa che, la Fed avesse spostato il focus della politica monetaria lontano dall’obiettivo di ridurre la volatilità, scopo che sembrava aver caratterizzato l’era Powell per tutto il 2020 e 2021. Uno spostamento in senso ‘hawkish’ della politica monetaria ancor più accentuato nel 2022, giustificato da una ripresa del mercato del lavoro, avrebbe peggiorato le prospettive per gli asset più rischiosi, quali l’equity (in particolare per i titoli azionari del comparto IT più sensibili ai rialzi di tasso) e i corporate bond. Era sentore diffuso che, al debutto 2022 del Federal Open Market Committee (FOMC). l’attenzione del mercato si sarebbe spostata:

  • dai rialzi dei tassi (certamente almeno tre o quattro già scontati dagli investitori, il primo dei quali in marzo);
  • alla riduzione graduale degli acquisti di titoli da parte della Fed (tapering).

Entrambi tali driver avrebbero potuto esercitare una pressione sull’irripidimento della curva dei rendimenti del titolo governativo americano Treasury. Il rischio incombente era che, un timing errato del tightening monetario ormai certamente introdotto da Powell nel 2022, avrebbe insinuato il timore di una recessione.

Le ‘minute’ Fed di fine 2021, ovvero i verbali dell’ultimo round monetario del 14-15 dicembre 2021 pubblicati il 5 gennaio 2022, avevano sollevato preoccupazioni presso gli investitori istituzionali, non solo e non tanto per l’ormai scontato aumento dei tassi, ma anche per una ineludibile riduzione della liquidità del sistema finanziario. I verbali del FOMC rivelavano inoltre che, seppure fosse ormai chiaro che la svolta monetaria fosse restrittiva, la Fed continuava a esplorare una varietà di opzioni per quanto riguardava i tempi e il ritmo degli aumenti dei tassi e la normalizzazione del suo bilancio. Ad avviso di chi scrive, il meeting di dicembre 2021 aveva rivelato una certa asimmetria. In tal senso, all’interno del FOMC l’equilibrio della discussione su alcune delle questioni chiave era stato spesso sbilanciato in direzione hawkish (falchi) rispetto all’opinione consensuale, pur indicando tra i membri del FOMC un diffuso accordo sulla necessità di agire fermamente ex ante piuttosto che ex post.

Con riferimento allo scenario macroeconomico, negli Stati Uniti il prolungato dibattito riguardo la spesa pubblica in infrastrutture potrebbe dare il via a un anno all’insegna della volatilità. Il rischio evidente era che, il calo del tasso di disoccupazione di dicembre (+3.9% contro sondaggio +4.1%) superasse di gran lunga le proiezioni ufficiali e le stime di consenso negli anni dal 2022 al 2024, sia in termini di ritmo quantitativo sia in termini di profondità e ulteriore inasprimento del mercato del lavoro. Si ricordi che, in occasione del meeting di gennaio, la Fed non avrebbe presentato proiezioni economiche aggiornate. Si noti che, alcuni indicatori economici chiave pubblicati in gennaio come i payroll, le vendite al dettaglio, le vendite di auto e le vendite di case esistenti avevano rivelato un marcato indebolimento rispetto allo scenario che aveva accompagnato il meeting FOMC di dicembre 2021. Gli analisti sostenevano che, parte dell’indebolimento delle vendite al dettaglio e dei salari riflettesse fattori stagionali, viste le difficoltà ad affrontare un’altra insolita parentesi di vacanze natalizie durante la pandemia. Inoltre, il dato in peggioramento di bilancia commerciale di novembre (-80.2miliardi di dollari contro -67.1 miliardi di dollari di ottobre) rifletteva l’inarrestabile forza del dollaro. Certamente era innegabile che, il peggioramento dell’indagine Sentiment Università del Michighan e l’aumento delle richieste di sussidi di disoccupazione settimanali all’inizio di gennaio rivelassero i timori di un rallentamento del PIL originato dalla variante Omicron.

Sul fronte dell’evoluzione dei prezzi, l’inflazione era ed è il vero perno della sfida affrontata dalla Fed. Si noti che, il dato d’inflazione pubblicato il 12 gennaio 2022 misurato anno su anno (2021 verso 2020) dal Consumer Price Index (CPI) avesse raggiungo l’apice del 7% dal 1982, cioè il suo massimo storico degli ultimi 40 anni. È ragionevole sostenere che, non mancassero almeno quattro potenziali cause sovrapposte per sostenere un’inflazione così elevata negli States:

  • i persistenti ‘colli di bottiglia’ della catena di approvvigionamento;
  • la ripresa della domanda di beni di consumo e durevoli, sia in termini assoluti sia relativi rispetto alla domanda di servizi;
  • la riduzione nell’offerta di lavoro riconducibile al debole grado di partecipazione della forza lavoro;
  • l’influenza negativa della pandemia sulla crescita.

Il compito della Fed era valutare in che misura tali fattori fossero temporanei o duraturi, calibrando al meglio la policy, al fine di riportare sia l’inflazione al target di medio lungo periodo 2%, sia l’economia al livello di massima occupazione. Sebbene l’ultima osservazione dell’indice generale dei prezzi al consumo (CPI) degli Stati Uniti, per quanto elevata fosse, non avesse turbato gravemente i mercati, dopo l’ultimo meeting del FOMC i dati d’inflazione avevano confermato una traiettoria di marcata crescita, riscontrabile in due componenti principali di costo:

  • l’aumento dei salari medi;
  • l’ impennata dei costi dell’energia.

Solo l’indice dei prezzi alla produzione (Producer Price Index o PPI) di dicembre, misurato mese su mese dava segni di lieve miglioramento (+0.2% contro sondaggio +0.4%). In sintesi, l’inflazione confermava il proprio carattere di non transitorietà.

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Prima di analizzare tutte le possibili opzioni restrittive che la Fed potrebbe implementare nel 2022, per dovere di completezza è bene ricordare che il Quantitative Tightening include due leve:

  • la riduzione progressiva degli acquisti di titoli sul mercato;
  • il graduale rialzo dei tassi ufficiali.

Con riferimento al ‘cambio di direzione’ che la Fed intendeva imprimere allo ‘shopping in titoli’ ovvero alla virata dal Quantitative Easing massiccio al Quantitative Tightening, questa avrebbe fatto da prologo al tapering, possibilmente evitando lo spettro di un ‘tapering tantrum’ simile a quello dell’era Bernanke nel 2013, ovvero evitando un urto recessivo sull’economia reale derivante dalla stangata monetaria.

Gli esperti avevano ampiamente dibattuto alcune possibili implicazioni dell’inasprimento quantitativo:

  • gli effetti sull’ampia massa di liquidità accumulata nel sistema nel corso della pandemia;
  • il grado di ‘contrazione’ del bilancio Fed;
  • l‘aumento nel costo di funding del bilancio Fed ‘equipaggiato’ di imponenti attivi in titoli acquistati sul mercato nel 2020 e 2021;
  • l’evoluzione di condizioni finanziarie, in senso ‘meno easy’.

Alcuni autorevoli analisti ritenevano che, il rallentamento anticipato degli acquisti avrebbe favorito il rialzo dei rendimenti del Treasury decennale in direzione 2%, anche nella ragionevole ipotesi che, il Tesoro americano potesse aumentare agevolmente l’offerta di titoli al fine di compensare il roll-down dovuto al Quantitative Tightening, ipotizzando il permanere di una domanda solida di Treasury da parte degli investitori istituzionali. Per semplificare, il principale rischio potenziale di matrice ‘hawkish’ derivava dalle comunicazioni di bilancio, con potenziale fine degli acquisti di attività un mese prima del previsto, cioè che il programma di acquisti del bimestre gennaio-febbraio 2022 fosse l’ultimo.

Tra le ipotesi più accreditate sulla manovra di tightening della Fed si annoveravano questi step in tabella di marcia:

a. termine del Quantitative Easing in marzo come comunicato da Powell.
b. Annuncio del Quantitative Tightening in giugno o settembre
c. Inizio del Quantitative Tightening in ottobre.

Il vero rischio era che, il FOMC optasse per l’annuncio del Quantitative Tightening già entro giugno 2022 preceduto dalla fine del Quantitative Easing in gennaio. In tale circostanza, Powell avrebbe potuto fornire maggiori dettagli sulle modalità di Quantitative Tightening entro i successivi 12 mesi. Ricordiamo al lettore attento che, 1,14 trilioni di dollari di Treasury in proprietà alla Fed giungeranno a scadenza nel corso del 2022, corrispondenti a un ragguardevole importo medio di circa 95 miliardi di dollari al mese, che non sarebbero stati reinvestiti integralmente in titoli dalla Fed, in un’ottica di ‘normalizzazione’ del proprio bilancio. A tal riguardo, due fra le varie congetture avanzate dagli esperti erano che:

  • la Fed potesse emanare un documento ufficiale contenente il quadro generale per la contrazione del bilancio;
  • la Fed annunciasse il reinvestimento in titoli Treasury dei rimborsi da Mortgage Backed Securities.

Qui di seguito illustriamo l’evoluzione delle principali voci di bilancio della Fed negli ultimi 15 anni. La figura illustra chiaramente l’impennata sia dell’attivo investito in titoli, sia della attività totale, chiaramente riconducibili agli interventi straordinari di easing a contrasto della pandemia.

ATTIVITA’ SELEZIONATE BILANCIO FED, luglio 2007 – gennaio 2022

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Fonte: Federal Reserve, January 2022

Con riferimento alla policy dei tassi ufficiali, alcune autorevoli investment bank concordavano su tre o addirittura quattro rialzi nel 2022, un ciclo di rialzo dei tassi molto più contenuto rispetto ai cicli precedenti. Ricordiamo che l’intervallo ufficiale del tasso sui Fed fund è costante a 1,50% – 1,75% dall’11 dicembre 2019. Gli esperti ritenevano che i catalizzatori per un ulteriore spostamento a rialzo dei rendimenti obbligazionari fossero molteplici e tra essi:

  • commenti sempre più hawkish del presidente Powell e dei funzionari Fed nei prossimi 12-24 mesi;
  • rischio di modalità di Quantitative Tightening più aggressive rispetto alle attese;
  • numero effettivo dei rialzi e ampiezza di ciascuno di essi.

Alcuni attendevano un aumento di 25 basis points a marzo e due ulteriori aumenti nel corso dell’anno: forse a giugno e a dicembre. Un’ulteriore ipotesi era quella di un rialzo di 50 basis points in marzo e due successivi rialzi a sommarsi formando un rialzo cumulato di 100 basis points entro fine 2022. Del resto, il mercato dei Fed Fund futures, che sono la ‘bussola’ per pronosticare i tassi negli States, nella terza settimana di gennaio indicava un rialzo totale cumulato dei tassi superiore ai 90 basis points nel 2022. L’aumento dei tassi e la conseguente lievitazione nel costo del funding dell’imponente stock di debito accumulato in condizioni monetarie ‘extra easy’ dalle aziende americane durante la pandemia, avrebbe rappresentato un pericolo da non sottovalutare.

Il grafico sottostante indicava una probabilità vicina al 100% di target rate invariato nel range 0.00 – 0.25% nello statement FOMC di Gennaio 2022

PROBABILITA’ DI RIALZO FED FUNDS RATE 0-25 bps o 25-50 bps FOMC gennaio 2022

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Fonte: Chicago Mercantile Exchange, January 2022

Si ricordi tuttavia che, all’opposto rispetto alle attese sulla crescita dei rendimenti obbligazionari, l’indice delle condizioni finanziarie statunitensi, elaborato dalla Fed di Chicago rimane ai minimi storici, testimoniando il permanere di condizioni monetarie ‘easy’ per imprese e privati.

2. LA FED CONFERMA IL TERMINE DEL TAPERING L’INIZIO DEI RIALZI DI TASSO IN MARZO

Nell’annuncio di politica monetaria del 26 gennaio 2022, la Fed ha confermato le attese dei mercati, quindi l’invarianza dei tassi stabiliti il 15 dicembre, come atteso il primo rialzo sarà in marzo:

  1. Intervallo obiettivo per i Fed Funds rates tra 0 e 0.25%;
  2. Tasso pagato sulle riserve bancarie (IORB) invariato allo 0.15%.

Sul Quantitative Easing sono variati gli stock di acquisti di asset rispetto al dicembre:

  1. Acquisto di titoli Treasury a ritmo di 20 miliardi di dollari al mese;
  2. Acquisto di Mortgage Backed Securities (MBS) al ritmo di 10 miliardi di dollari al mese.

In sintesi, il nuovo comunicato del 26 gennaio 2022, rispetto a quello del 15 dicembre 2021ha previsto:

  • tassi ufficiali invariati;
  • dimezzamento degli acquisti mensili di Treasury (da 40 a 20 miliardi) e di MBS (da 20 a 10 miliardi).

Nel corso della conferenza stampa il mercato azionario ha evidenziato una importante correzione, il dollaro ha guadagnato terreno, le obbligazioni governative sono scese in modo accentuato e i loro rendimenti sono saliti mostrando ‘uno spike’ sulla scia delle dichiarazioni di Jay Powell, in particolare il rendimento del titolo governativo quinquennale americano è salito di ben oltre 10 basis points. Il dollaro ha a propria volta ‘rallato’ sulle dichiarazioni di Powell. In conferenza stampa, il Presidente Fed non ha escluso un rialzo dei tassi in occasione di ciascuna delle riunioni del FOMC che si terranno nel 2022, aggiungendo però che: ‘non abbiamo preso alcuna decisione riguardo la misura dei rialzi’.

Il 26 gennaio il rendimento del Treasury decennale ha evidenziato una traiettoria grafica di crescita consistente dopo la pubblicazione dello Statement Fed dalle 20 italiane in poi decollando da 1.7708%, per poi attestarsi al massimo di 1.853% alle 20 e 53, in prossimità del termine della conferenza stampa di Powell.

L’indice azionario americano Dow Jones, dopo la evidente correzione a seguito del comunicato, portandosi dal massimo di 34.815 delle 16.04 italiane ha svoltato in negativo durante la conferenza stampa fino al raggiungere il minimo di 33.876 alle 21.24 italiane in seguito alle dichiarazioni di Powell.

 

Evoluzione tasso US Treasury 10 anni e indice azionario Dow Jones, 26 gennaio 2022

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Fonte: www.marketwatch.com, e www.cnbc.com, 26th January 2021

 

In sostanza la Fed ha segnalato che il ‘liftoff’ nei tassi (forse 4 rialzi come atteso dai mercati) è molto vicino; Powell ha affermato chiaramente che la Fed ‘ha la mentalità giusta’ per rialzare i tassi in marzo e comunque comincerà con il rate hiking solo dopo il termine del tapering.

Powell ha affermato che il mercato del lavoro ha fatto progressi importanti: il tasso di partecipazione della forza lavoro è aumentato ma è ancora sottostimato, il mercato del lavoro viaggia con baldanza verso la piena occupazione. Purtroppo, l’inflazione permane ben superiore al target di medio lungo periodo del 2%, anche e soprattutto a causa dell’impatto negativo della variante Omicron e della crescita nei costi da salari e energia in primis. ‘Vogliamo mantenere le aspettative d’inflazione ben ancorate al 2%’ ha detto. Secondo Powell la cosa migliore da fare per combattere l’inflazione, soprattutto imputabile all’incremento dei salari, agevolando il mercato del lavoro è certamente promuovere l’espansione che richiede stabilità nei prezzi a medio e lungo termine. Seppure l’inflazione stia declinando gradualmente, esistono vari fattori a supporto della sua traiettoria discendente, ricordando che i rischi d’inflazione sono ancora sbilanciati ‘in area di upside’. Ha poi aggiunto che: ‘mi sento incline ad alzare la mia previsione sulla PCE inflation di qualche decimo’.

L’alto funzionario ha ribadito che la Fed non ha stabilito uno scheduling specifico sul ritmo dei futuri rialzi di tasso, che saranno funzione degli ‘incoming data’ ovvero dell’evolvere positivo delle proiezioni su inflazione, mercato del lavoro e PIL. Per Powell, con un mercato del lavoro così forte, la politica fiscale non sarà il ‘leit motiv’ della recovery economica e della crescita a stelle e strisce nel 2022. Secondo lui, l’economia americana è sula via della ripresa piena e non necessita del sostegno della Fed, avvertendo tuttavia che, l’inflazione elevata è una grave minaccia per il mercato del lavoro. Il Bilancio della Fed è più ‘robusto’ che mai in attivi finanziari investiti in titoli e con ‘minor duration’ rispetto alle precedenti sedute del FOMC, Powell ne invoca il ridimensionamento ‘in modo prevedibile’ riducendolo primariamente mediante la modulazione dei reinvestimenti da scadenze in titoli e mediante il ‘roll-off’ cioè attendendo le naturali scadenze dei bond in portafoglio, piuttosto che vendendoli sul mercato secondario. Tuttavia, Powell non si sbilancia, sul timing, sul ritmo e sulla composizione in termini di asset di tale riduzione del Bilancio. Il numero uno Fed sente che la policy di comunicazione ai mercati della banca centrale americana è efficace. Sostiene che il Covid non è ancora sconfitto e permane come una pericolosa spada di Damocle a minaccia della crescita, lo stesso vale per i ‘colli di bottiglia’ nella catena di approvvigionamento Attende progressi su questo fronte a partire dalla seconda parte del 2022. La Fed monitora la curva dei rendimenti dei titoli governativi americani, ma non la controlla. Ad avviso di chi scrive, i policymakers statunitensi hanno ampio margine di manovra sui rialzi di tasso purché si eviti l’indesiderato impatto sul mercato del lavoro: attendiamo marzo con fiducia.

 


Per approfondimenti, consultare i seguenti link e/o riferimenti:

Federal Reserve Press release, Statement January 26, 2022

Economic Calendar, Bloomberg Markets, January 2022

Minutes of the Federal Open Market Committee, December 14-15, 2021

Recent Balance Sheet Trends, Federal Reserve, January 2022

Chicago Mercantile Exchange FedWatch Tool January 2022

U.S. 10 Year Treasury Note, MarketWatch, January 26 2022

Dow Jones Industrial Average, January 26, 2022, CNBC



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