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I reati penali dell’OdV e il rischio infortuni: la Cassazione e la dottrina

26 settembre 2019

di Cipriano FICEDOLO

La responsabilità penale dell’Organismo di Vigilanza ex D.Lgs 231/2001

La sentenza della Cassazione, n. 18168/2016(1), allo stato la prima ed unica sul tema, ha chiarito, anche se solo in parte, le responsabilità penali in capo all’OdV, statuendo che, i membri dell’Organismo di Vigilanza non possono essere ritenuti responsabili di avere omesso la segnalazione al C.d.A. e la mancata pretesa da parte di quest’ultimo e, dei direttori generali della società, di porre in essere ogni utile rimedio al fine di scongiurare le carenze in tema di prevenzione dagli infortuni sul lavoro che venivano puntualmente segnalate all’interno del cantiere.


LA SENTENZA DELLA CASSAZIONE N. 18168/2016

In primis è necessario evidenziare il reato per il quale gli imputati sono stati rinviati a giudizio, ovvero l’art. 437 c.p. – Rimozione od omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro.
La norma prevede espressamente che “chiunque omette di collocare impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro, ovvero li rimuove o li danneggia, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni. Se dal fatto ne deriva un disastro o un infortunio la pena è della reclusione da tre a dieci anni”.

Dalla lettura della norma possiamo evincere che si tratta di un reato doloso e, soprattutto, non è ricompreso tra i reati presupposto ex D.Lgs. 231/2001, tanto è vero che l’ente non è stato rinviato a giudizio.
L’art. 437 non specifica le misure di prevenzione che sono obbligatorie ma implicitamente rinvia, mediante il richiamo a condotte di tipo omissivo, alle disposizioni della legislazione antinfortunistica, sempre che quest’ultima riguardi “apparecchi, impianti e segnali”.
Pertanto, diversamente dalla ipotesi commissiva, dove soggetto attivo del reato può essere chiunque, la forma omissiva riguarda esclusivamente i soggetti investiti dagli obblighi di collocare impianti, apparecchi e segnali diretti a prevenire infortuni sul lavoro. Si tratta, quindi di reato proprio con la ovvia e logica conseguenza che, gli unici e soli soggetti destinatari della norma sono: i datori di lavoro, i dirigenti, ed i preposti.

Dopo tale doverosa premessa, si possono analizzare le motivazioni poste a fondamento della sentenza della Suprema Corte, anche se, va evidenziato che nel caso di specie la Procura della Repubblica di Gorizia ha chiesto il rinvio a giudizio degli imputati per il reato previsto e punto dall’art. 437 c.p. e non per il reato di cui all’art. 590 c.p. benché, dalla ricostruzione degli eventi si evince in maniera chiara ed incontrovertibile che trattasi di un classico caso di lesioni personali colpose verificatesi in conseguenza di un infortunio sui luoghi di lavoro.

Tralasciando le motivazioni squisitamente di ordine giuridico che hanno portato al rigetto del ricorso è il caso di soffermarsi sui punti della sentenza che attengono alla carenza di responsabilità dell’OdV nella vicenda in esame.

Secondo la Suprema Corte: “desta perplessità la configurazione di una responsabilità in capo ai componenti dell’Organismo di Vigilanza basata sul non aver loro portato a conoscenza del Consiglio di Amministrazione le asserite manchevolezze che avrebbero afflitto i cantieri navali: le perplessità sono causate da una inevitabile contraddizione nella quale la ricostruzione della vicenda sembra avvilupparsi, poiché, se – seguendo appunto l’ipotesi di accusa – i citati membri dell’Organismo di Vigilanza nulla avevano riferito ai membri del Consiglio di Amministrazione, è ben difficile ipotizzare una responsabilità in capo a questi ultimi per non avere adottato le cautele che le situazioni di pericolo avrebbero richiesto.”

La Corte inoltre, specifica che, il ricorso non precisa affatto quali fossero la carenze e le manchevolezze che sarebbero state dolosamente ignorate dai membri dell’Organismo di Vigilanza: né, in particolare, afferma che siffatte imprecisate manchevolezze avrebbero riguardato le ceste utili per la sollevazione dei tubi.
Il Procuratore della Repubblica tra i motivi posti a sostegno del proprio ricorso sostiene che il Consiglio di Amministrazione era informato delle manchevolezze di cautele che caratterizzavano i cantieri navali e che, l’OdV era a conoscenza dei problemi economici con i quali si giustificavano le asserite manchevolezze.
Di contro, la difesa degli imputati concludeva per il rigetto del ricorso insistendo sull’asserita assenza di responsabilità in capo al C.d.A., il quale è per sua natura effettua delle scelte aziendali di massima anche in ambito di sicurezza sui luoghi di lavoro, entrare nel merito delle singole e specifiche lavorazioni che si svolgono all’interno di un complesso cantiere quale è quello in oggetto. Invece, per quanto riguarda l’OdV allo stesso non possono attribuirsi i medesi poteri in capo al C.d.A., visto che, non è dotato di poteri impeditivi.

Di conseguenza, la Cassazione ha perciò rigettato il ricorso del Procuratore della Repubblica giudicandolo infondato e riscontrando come causa dell’infortunio una problematica di natura prevalentemente organizzativa: una volta accertata la presenza nel cantiere di ceste utili al sollevamento dei tubi fornite dal datore di lavoro, infatti, sarebbe stato compito dei soggetti responsabili dell’unità operativa disporne l’utilizzo posticipando eventualmente le operazioni nel caso in cui queste fossero già occupate in altre lavorazioni.

Ed ancora prosegue asserendo che, nel reato di cui all’art. 437 c.p. il pericolo derivante dalla rimozione od omissione di apparecchi destinati a prevenire infortuni sul lavoro deve avere il carattere della diffusività, nel senso che l’insufficienza deve avere l’attitudine di pregiudicare, anche solo astrattamente, l’integrità fisica delle persone gravitanti attorno l’ambiente di lavoro.
Ma i gli ermellini evidenziano la lacunosità del ricorso in tal senso facendone da ciò discendere il conseguente rigetto.

Per completezza, va detto che l’omissione, la rimozione o il danneggiamento doloso degli impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire infortuni sul lavoro, si inserisce in un contesto imprenditoriale nel quale la mancanza o l’inefficienza di quei presidi antinfortunistici deve avere l’attitudine, almeno astratta, anche se non abbisognevole di concreta verifica, a pregiudicare l’integrità fisica di una collettività di lavoratori, intesa come un numero di lavoratori o, comunque, di persone gravitanti attorno all’ambiente di lavoro: ma lo stabilire quando una collettività lavorativa realizzi in concreto la configurabilità del delitto di rimozione od omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro costituisce un’indagine di fatto, incensurabile in sede di legittimità se congruamente motivata, come appunto nel caso di specie (Sez. 1, n 6393 del 02.12.2005, Rv. 233826).

IN CONCLUSIONE

Allo stato la sentenza in oggetto è la unica e sola che ha trattato, anche se in via del tutto incidentale, la responsabilità penale dell’OdV senza però fornire una soluzione chiara e risolutiva sull’argomento.

I giudici di legittimità, stante la lacunosità del ricorso del Procuratore della Repubblica di Gorizia non hanno potuto appurare quali fossero le reali carenze e le manchevolezze che sarebbero state dolosamente ignorate dai membri dell’OdV e non comunicate da questi ultimi al C.d.A., lasciando così intendere che è perfettamente ipotizzabile una situazione nella quale l’OdV ignori non solo dolosamente ma, anche colpevolmente carenze e manchevolezze.

La Corte, suo malgrado ha ritenuto che, nel caso di specie il mancato utilizzo di ceste per la sollevazione di tubi a mezzo di gru, peraltro presenti sul luogo di lavoro, non fosse attinente al profilo della omessa collocazione di strumenti, apparecchi o congegni adeguati, ma soltanto al profilo organizzativo del lavoro concreto svolto, e che, pertanto, la responsabilità non potesse essere del C.d.A., i cui compiti non si dilatano sino a decidere se, nell’ambito di una singola operazione di carico di tubi, andasse utilizzata una cesta, e parimenti nemmeno potesse gravare siffatto obbligo sui componenti dell’OdV.

Ma come innanzi evidenziato, secondo parte della dottrina l’OdV che è venuto a conoscenza di specifiche e ripetute condotte negligenti da parte dei lavoratori se non valuta con attenzione i possibili ed eventuali rischi in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro e, soprattutto, non segnala le necessarie correzioni al modello agli organi direttivi potrebbe” cooperare con i garanti in questo caso non attraverso una condotta omissiva ma, bensì attiva e cioè, venuto a conoscenza di una situazione di pericolo per i lavoratori non la comunica tempestivamente al C.d.A. e, così facendo fornisce un contributo causale nella realizzazione dell’evento (lesioni – morte del lavoratore).

In tale situazione potrebbe venirsi a creare una cooperazione colposa tra più soggetti diversi ovvero il garante, il preposto e l’OdV.

2/2

 

Intervento di Cipriano FICEDOLO – Avvocato Penalista d’Impresa

LEGGI QUI l’articolo precedente  1/2,   Responsabilità penale dell’OdV secondo la Cassazione

 


Per approfondimenti, consultare i seguenti link e/o riferimenti:

(1)  Corte di Cassazione, Sentenza n. 18168 del 02/05/2016 – caso Fincantieri

(2)  D. Lgs. 8-6-2001 n. 231 – Responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni

 



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