Evasione Tasse

I rapporti tra i reati tributari e la disciplina del riciclaggio e dell’autoriciclaggio

29 luglio 2019

di Nicola LORENZINI

La domanda principale che viene da porsi nell’affrontare la tematica(1), è se le fattispecie penalmente rilevanti riferite ai reati tributari e frodi fiscali, creino delle utilità (di norma risparmio di imposta), e se tale “vantaggio” abbia una tangibilità all’interno del patrimonio dell’evasore fiscale tale per cui, si possa effettivamente considerarlo «proveniente da» un delitto non colposo.

La giurisprudenza di riferimento risponde in modo positivo; quindi il riciclare il provento oggetto di evasione e frode fiscale può configurare il reato di riciclaggio e/o auto riciclaggio; tale affermazione però impone di affrontare diverse altre questioni interpretative, connesse, ad esempio, al momento di commissione del reato presupposto o di quello presupponente, nonché alle implicazioni rispetto a quest’ultimo delle “vicende” del primo.

PREMESSA

Evitando di soffermarsi sulle fattispecie penali e sul reato di riciclaggio, che diamo per note a chi legge, è utile fare un excursus storico che ha portato all’introduzione ed all’evoluzione dell’ipotesi di cui all’art. 648-bis c.p. prima e degli artt. 648-ter e 648-ter.1 c.p. poi.

La norma di cui all’art. 648-bis c.p. (Riciclaggio) fu introdotta per la prima volta nel 1978(2), e annoverava tra i reati presupposto solo un limitato numero di reati: rapina aggravata, estorsione aggravata, sequestro di persona a scopo di estorsione. Siamo negli anni bui dell’anonima sequestri e si dovevano arginare fenomeni di brutale criminalità.

L’elemento tipizzante dell’intralcio alla tracciabilità della provenienza illecita del valore si ha una decina di anni dopo(3), quando il legislatore ha eliminato i requisiti del “profitto” e dell’“aiuto” agli autori dei delitti presupposto, introducendo il concetto appunto dell’ostacolo all’identificazione della provenienza illecita; ampliando nel contempo il novero dei reati presupposto, prevedendo anche i delitti concernenti la produzione ed il commercio di sostanze stupefacenti.

Negli ultimi anni, si è individuato nel riciclaggio – e, da ultimo, nell’autoriciclaggio – uno strumento di ausilio nella lotta all’evasione fiscale a cui è legata un’innegabile capacità di alterare la corretta concorrenza sul mercato.

Con la L. 186/2014 venne introdotto il reato di autoriciclaggio contestualmente alla previsione di una procedura di collaborazione volontaria (voluntary disclosure) con l’intento di colpire l’utilizzo di proventi di condotte di evasione fiscale difficilmente punibili in quanto constatate e accertate solitamente a distanza di anni.

Il Criminale economico ha ora un duplice rischio:

  • sia quello della pena per il reato presupposto,
  • ma anche il rischio di non poter utilizzare le somme che ne costituiscono il profitto.

IL RISPARMIO FISCALE GENERATO DA REATO PENALE TRIBUTARIO E L’INDIVIDUAZIONE DELLE RICCHEZZE DI PROVENIENZA ILLECITA NEL PATRIMONIO PERSONALE DELL’EVASORE FISCALE E/O CRIMINALE ECONOMICO

Avendo la necessità di trattare il tema dei reati tributari e di contrabbando – intendendosi per questi ultimi, quelli che prevedono condotte di omesso versamento di imposte dovute (ad es., in materia di accise) – quali delitti presupposto delle “tre ipotesi di riciclaggio” (art. 648-bis, Riciclaggio; art. 648-ter, Impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita; art. 648-ter-1, Autoriciclaggio) previste dal nostro codice, si pone quale primo quesito quello di acclarare se i reati penali tributari possano generare un’utilità e se questa possa avere una evidente concretezza tangibile nel patrimonio di un reo.

La locuzione letterale sembra far propendere per l’interpretazione più restrittiva, quindi pone evidenza ai casi in cui vi sia un’immediata e tangibile riconoscibilità del provento del reato.

Tale approccio acquista non poco interesse allorquando si ipotizzino reati presupposto, come i delitti fiscali e/o di contrabbando, i quali, non incrementano il patrimonio del reo, ma di contro consentono un risparmio fiscale illecito, senza produrre proventi.

I tre reati di cui agli artt. 648-bis ss. c.p., prevedono però la condotta di reimpiego del denaro, beni e/o altre utilità provenienti da delitto.

Il profitto, in tali casi, è generato da un’attività economica lecita.

Il termine «provenienza» – riferito al denaro, ai beni o ad altre utilità – sicuramente pone una riflessione circa la tangibilità del provento.

Ci si chiede quindi, con la locuzione “altra utilità”, se il legislatore abbia inteso far riferimento a qualsiasi beneficio patrimoniale, e quindi ricomprendervi una mancata deminutio patrimonii.

La giurisprudenza penale tributaria ha già affrontato e definito i termini del concetto di risparmio fiscale, quando si è espressa affrontando i quesiti posti sul sequestro finalizzato alla confisca per equivalente, del profitto del reato, fino a giungere ad includere anche il “risparmio di spesa o di imposta”. La Suprema Corte a SS.UU.(4) ha chiarito che “il profitto è costituito da qualsivoglia vantaggio patrimoniale e può, dunque, consistere anche in un risparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento del tributo, interessi e sanzioni dovuti a seguito di accertamento del debito tributario”.

Seguendo quindi tale pronuncia formatasi con esclusivo riferimento ai reati fiscali, e trasferendolo al tema del riciclaggio, ci porta ad affermare che anche il reato fiscale, producendo un profitto economicamente quantificabile, è idoneo a fungere da presupposto per l’azionabilità delle ipotesi di cui agli artt. 648-bis ss. c.p.; è idoneo, cioè, ad acquisire al reo quella res infungibile che potrà essere poi oggetto di trasferimento e reimpiego.

Effettivamente è proprio questo l’esito a cui è pervenuta la Suprema Corte, in ciò si evince dalle chiare parole espresse : «tutti i delitti dolosi, e, quindi, anche quello di frode fiscale, sono idonei a fungere da reato presupposto del riciclaggio» “”Nell’affermare tale principio, la Corte di legittimità ha espressamente puntualizzato che il riferimento normativo alle «altre utilità» ricomprende il risparmio di spesa da omesso pagamento delle imposte dovute, poiché lo stesso produce un mancato decremento del patrimonio che si concretizza in una utilità di natura economica.”” Cass. pen. 17.1.2012, n. 6061, cit.; nello stesso senso, Cass. pen. 23.12.2009, n. 49427, in DeJure.

Ma come arriviamo ad avere la certezza se, in presenza di una condotta di riciclaggio, la res che ne è oggetto sia proprio il provento del reato presupposto e non, invece, una somma riconducibile al pregresso patrimonio del reo.

Vi è una difficoltà oggettiva in termini di prova – incombente sull’accusa – circa il dolo del soggetto agente.

Come proviamo la effettiva consapevolezza, la coscienza e volontà, quindi la prova della consapevolezza dell’attività di money laundering, se il risparmio di imposta può confondersi nel patrimonio del reo ed essere difficilmente isolabile; vi potrebbero infatti essere situazioni in cui lo stesso autore potrebbe essere sprovvisto della coscienza e volontà di operare proprio sul provento del reato.

È possibile, inoltre che le somme che dovrebbero essere accantonate per il pagamento dei tributi vengano utilizzate – magari proprio con l’intento di sottrarle al fisco – prima che si realizzi il reato, infatti per la struttura che caratterizza alcuni reati – si pensi, ad esempio, ai delitti di cui agli artt. 2, 3, 4, 5, 10-bis, 10-ter e 10-quater, d.lgs. 10.3.2000, n. 74 – il denaro (che sarà) oggetto di risparmio fiscale con la consumazione del reato, ben potrà essere (re) impiegato prima della dichiarazione annuale o prima del termine per il versamento dell’imposta.

È difficile considerare si possa applicare alcuna fattispecie di riciclaggio o autoriciclaggio, poiché, nel momento in cui vengono movimentate ed impiegate le somme, il delitto presupposto non si è ancora perfezionato, in quanto sono reati che si concretizzano solo con la dichiarazione dei redditi.

ALCUNI EFFETTI DELL’AUTORICICLAGGIO IN RAPPORTO AI REATI DOGANALI

Il reato di autoriciclaggio ha in alcuni casi delle valenze diverse in rapporto ad alcune ipotesi di reati tributari e doganali.

L’evasione d’imposta la possiamo trovare riferita a soggetti persone giuridiche, quindi società di capitali, imprenditori con ditte individuali e/o società di persone.

Il classico “nero” che è riferito alla mancata fatturazione di beni e servizi oggetto dell’attività, nel caso delle società, si presume venga ripartito tra i soci, sottraendolo quindi alla società medesima.

Tali condotte giuridicamente sono qualificabili come appropriazioni indebite aggravate ai sensi dell’art. 61, n. 11, c.p., o addirittura come fatti di bancarotta fraudolenta(5) in ipotesi di fallimento. Potrà inoltre ravvisarsi anche ipotesi di “False comunicazioni sociali(6), consistente nell’omessa indicazione di poste attive.

Il provento di tali reati economici, tipici dei soggetti apicali delle società di capitali, una volta ripartito tra i soci, è punito ex art. 648-ter.1 c.p. – divenendo, a quel punto, proveniente da presupposti fatti tipici di diritto penale dell’economia.

Con l’ipotesi di reato ex art. 648-ter 1 c.p. il profitto di tali reati trasferito in attività economiche finanziarie imprenditoriali e/o speculative, potrebbe avere rilevanza penale.

Tale ipotesi si potrebbe ravvisare anche se l’originario “nero” da evasione di imposta – non dichiarato – ha fatto sì che in una delle dichiarazioni dei redditi venisse accertato una imposta evasa che non superi le soglie previste dal reato di dichiarazione infedele(7) o omessa(8), sempreché lo stesso, già oggetto di profitto di altro reato, sia stato reimpiegato in attività economiche, finanziarie o commerciali, magari reinvestendolo nella medesima società sotto forma di finanziamenti soci o di aumento di capitale.

 

Intervento del Dott. Nicola LORENZINI, Ispettore GDF – Nucleo Polizia economico finanziaria di Padova. Fondatore e Vice presidente dell’Associazione Italiana di Ricerca sul Rischio di Riciclaggio, AML-LAB.

 


Per approfondimenti, consultare i seguenti link:

(1) art. 25 Costituzione
(1) artt. 2, 170, 646, 648, 648-bis, 648-ter e 648-ter.1 codice penale
(1) D.Lgs. 10.03.2000, n. 74

(2) art. 3, Decreto Legge  21.03.1978, n. 59, convertito dalla Legge 18.05.1978, n. 191

(3) Legge 19.03.1990, n. 55

(4) Cfr. Cassazione, SS.UU. sentenza n. 18374/2013

(5) Art. 223, Regio Decreto 267/1942

(6) Art. 2621, Codice Civile

(7) Art. 4 D.Lgs. 74/2000

(8) Art. 5 D.Lgs 74/2000



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