Autoriciclaggio

Autoriciclaggio: l’analisi delle prime 11 sentenze della Cassazione

15 maggio 2019

di Nicola MAINIERI e Maria Giulia TOVINI

L’autoriciclaggio, articolo 648-ter 1 del codice penale, è stato introdotto nel nostro Paese dall’art. 3 comma 3 della legge 186/2014, con decorrenza dal 1° gennaio 2015.

La norma punisce “chiunque, avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo”, svolga poi una serie qualificata di comportamenti di carattere “auto-riciclatorio”, ponendo così un concreto ostacolo all’identificazione della loro provenienza delittuosa.

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7.   LA “CONCRETEZZA” DELL’OSTACOLO ALL’IDENTIFICAZIONE DELLA PROVENIENZA DELITTUOSA

Anche la concretezza richiesta dalla nuova norma per integrare la condotta dissimulatoria dell’autore di autoriciclaggio (“in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa”) è stata conseguentemente oggetto di interpretazione giurisprudenziale. La dottrina, all’unanimità, ritiene che il soggetto, con le sue azioni/omissioni, debba rendere particolarmente difficoltosa l’identificazione della provenienza delittuosa dei proventi. Questa locuzione “concretamente”, inizialmente apprezzata dai commentatori(45), ha successivamente provocato il timore di una possibile futura interpretazione ristrettiva del termine, tale da ridurre notevolmente la gamma delle condotte punibili in base all’art. 648 ter 1 c.p.

Sembra essere necessario, infatti, che sia il giudice a compiere una valutazione sull’attitudine della condotta a creare l’ostacolo dell’identificazione della provenienza delittuosa dei beni(46).

Anche questa situazione è stata presa in analisi dagli ermellini in due momenti, affrontata e risolta in modo differente. In un caso del 2017 giunto all’attenzione della Corte(47), un avvocato aveva depositato sul conto della propria assistita del denaro, provento di una truffa, commessa dallo stesso, per poi ricaricare una carta prepagata, collegata al conto corrente intestato alla cliente. Di tale carta prepagata aveva avuto esclusiva disponibilità l’imputato, il quale aveva prelevato dagli sportelli bancomat la somma di € 15.500 senza il consenso della legittima proprietaria. Riguardo alla richiesta di ritenere inapplicabile l’art. 648 ter 1, la Cassazione ha valutato inammissibile il ricorso che “deduca per la prima volta vizi di motivazione inerenti ad argomentazioni presenti nel provvedimento genetico della misura coercitiva che non avevano costituito oggetto di doglianza dinanzi allo stesso Tribunale”, ma precisando che sull’argomento vi era una precedente decisione riguardante il reato di riciclaggio. La Suprema Corte aveva precedentemente avuto modo di affermare(48) che il delitto di cui all’art. 648 bis può essere integrato dalla condotta di “colui che, consapevolmente, ricevuti assegni la cui provvista è provento di delitto, li giri a terzi”. La Corte aveva infatti in tal caso sottolineato l’irrilevanza della tracciabilità dell’operazione, dal momento che “la ricezione delle somme portate nell’assegno ed il successivo trasferimento a terzi costituiscono condotte idonee a ostacolare l’individuazione del provento delittuoso”.

Questa decisione è condivisibile per quanto attiene il riciclaggio; ma per l’autoriciclaggio può valere lo stesso? L’art. 648 ter 1, come visto, caratterizza la condotta con l’ulteriore elemento della concretezza, che dovrebbe richiedere quindi un quid pluris rispetto a ciò che può integrare la condotta del riciclaggio. Per quest’ultimo reato infatti – mancando l’avverbio “concretamente” – si può parlare di una condotta ad ampio spettro che non necessita la prova riguardo la concretezza dell’ostacolo all’identificazione della provenienza delittuosa dei beni.

Nel luglio 2018 la Cassazione ha affrontato nuovamente la questione con la menzionata sentenza n. 38422(49). Come già illustrato, si trattava di un direttore amministrativo del tribunale, il quale aveva richiesto a molti (ma indeterminati) utenti più valori bollati di quelli necessari realmente, appropriandosi di quelli in eccesso e rendendosi così perseguibile ai sensi degli artt. 81 comma 2, 61 n. 9) e 640 comma 2 n. 2 c.p.(50). Il Giudice per le indagini preliminari aveva ritenuto inapplicabile il delitto di autoriciclaggio, sostenendo che l’attività di rivendita di valori bollati fraudolentemente ottenuti non possedesse il concreto effetto dissimulatorio e che l’agente non avesse il fine specifico di occultare l’origine illecita dei proventi del delitto.

La Cassazione ha richiamato una sua precedente sentenza(51) in cui specificava che la norma sull’autoriciclaggio punisce quelle attività di impiego, sostituzione o trasferimento di beni od altre utilità attuate dallo stesso autore del delitto presupposto che abbiano la caratteristica specifica di essere idonee ad “ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa”. Viene quindi richiesto dal legislatore che la condotta sia caratterizzata da una particolare capacità dissimulatoria, in grado di dimostrare che l’autore del delitto presupposto abbia effettivamente voluto effettuare un impiego finalizzato ad occultare l’origine illecita del denaro o dei beni oggetto del profitto, e non semplicemente godere del profitto.

La rilevanza penale delle condotte viene conseguentemente ridotta ai casi in cui le stesse siano finalizzate ad ottenere un concreto effetto dissimulatorio, elemento presente, secondo la Corte, nel caso in questione. I giudici, infatti, non hanno ritenuto condivisibile l’assunto difensivo secondo cui “la vendita del bene conseguito con la truffa presupposta sarebbe “l’unico modo per acquisire il profitto necessario” ad integrare il reato, né quello di cui al provvedimento impugnato, secondo cui limitare l’ambito di applicazione della norma incriminatrice all’impiego del provento di reato in attività economica lecita sarebbe necessario al fine di evitare che il reato costituisca una duplicazione sanzionatoria”. Il profitto del reato di truffa, infatti, era stato acquisito dall’imputato con l’ottenimento del bene, perfezionando la commissione del reato ex art 640; la reimmissione nel mercato dei valori bollati ottenuti tramite frode, quindi, integrerebbe un quid pluris rispetto al reato presupposto, sanzionabile tramite la nuova fattispecie dell’autoriciclaggio.

8.   IL PRODOTTO DELL”AUTORICICLAGGIO: L’AUTONOMIA RISPETTO AL PRODOTTO DEL REATO PRESUPPOSTO

La Cassazione, con la sentenza n. 30401 del 2018(52), si è anche occupata di definire il prodotto, profitto o prezzo dell’autoriciclaggio e – in particolare – se possano considerarsi coincidente con quelli del reato presupposto.

Si ricorda che in precedenza la Suprema Corte aveva precisato che “il prodotto rappresenta il risultato, cioè il frutto che il colpevole ottiene direttamente dalla sua attività illecita; il profitto, a sua volta, è costituito dal lucro, e cioè dal vantaggio economico che si ricava per effetto della commissione del reato; il prezzo, infine, rappresenta il compenso dato o promesso per indurre, istigare o determinare un altro soggetto a commettere il reato e costituisce, quindi, un fattore che incide esclusivamente sui motivi che hanno spinto l’interessato a commettere il reato”(53).

Nella citata sentenza n. 30401/2018 l’individuazione si rendeva indispensabile per l’applicazione della misura del sequestro finalizzato alla confisca per equivalente. Dal momento che la fattispecie di cui all’art. 648 ter 1 si alimenta del provento del delitto presupposto, la Corte ha posto a base dell’interpretazione la necessaria differenza tra prodotto, profitto o prezzo di detto reato presupposto e le corrispondenti utilità del reato di autoriciclaggio.

Quest’ultimo, infatti, si configura con l’impiego, la sostituzione, il trasferimento “in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative” del denaro, dei beni o delle altre utilità, provenienti dalla commissione del reato presupposto. L’ottenimento del provento del reato di cui all’art. 648 ter 1 viene quindi posto in essere un momento temporale successivo e separato rispetto a quello del reato presupposto (e oggetto delle condotte “autoriciclatorie”). In merito la Corte di Cassazione ha pronunciato un importante principio di diritto: “il prodotto, il profitto o il prezzo del reato di autoriciclaggio non coincide con quello del reato presupposto, ma è da questo autonomo in quanto consiste nei proventi conseguiti dall’impiego del prodotto, del profitto o del prezzo del reato presupposto in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative”.

Nel caso di specie il provento risultava dal reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti: si trattava quindi di stabilire se l’importo oggetto di attività di autoriciclaggio degli imputati coincidesse sostanzialmente con tale provento; per giungere a ciò era necessario verificare in cosa consistesse il prodotto, profitto o prezzo del reato di autoriciclaggio nel caso in cui il reato presupposto fosse appunto quello di false fatturazioni (art. 8 D.Lgs. n. 74/2000). L’imputato aveva così ottenuto fraudolentemente ottenuto una somma di denaro che aveva poi impiegato parte in attività economiche lecite, parte in “attività delittuose quali l’acquisto di sostanze stupefacenti”; oggetto del sequestro finalizzato alla confisca in base all’art. 648 ter 1 potevano essere pertanto unicamente le somme ricavate dal reinvestimento in attività lecita.

La soluzione adottata dalla Corte circa “il provento dell’impiego” oltre a rispettare la ratio legis dell’art. 648 ter, ovvero evitare il reinvestimento del profitto ottenuto nell’economia legale, è coerente con la formulazione del successivo art. 648 quater(54) sulla confisca. In caso di differente interpretazione sul prodotto, profitto o prezzo del reato di autoriciclaggio, infatti, si sarebbe andati a confiscare gli stessi proventi ben due volte, con un’evidente violazione così del divieto del ne bis in idem.

9.   IL CONTROVERSO QUARTO COMMA DEL 648 TER 1: LA “MERA UTILIZZAZIONE O IL GODIMENTO PERSONALE”

In merito all’espressione di cui al quarto comma del 648 ter 1(55) la Corte di Cassazione ha preso in considerazioni diverse tesi. La clausola così posta non è certo di facile lettura ermeneutica, probabilmente a causa dei “compromessi” legislativi realizzati nell’iter di approvazione della stessa, come già accennato nel paragrafo introduttivo.

In dottrina, da una parte(56) si è ritenuto trattarsi di una fattispecie diversa ed autonoma rispetto a quelle nei “commi precedenti”; di conseguenza sarebbe indifferente che l’autore abbia meramente utilizzato o goduto personalmente dei beni a titolo personale, una volta che sia stata integrata la fattispecie criminosa in tutti i suoi requisiti. Dall’altra(57), si è invece sostenuta una tesi più estensiva, tesa a ricondurre nell’alveo delle condotte non punibili tutte quelle che, seppure rientranti in quelle descritte nel primo comma, avessero come risultato finale quello della mera utilizzazione o godimento personale dei proventi del reato presupposto. In ogni caso, sembra che l’intento fosse limitare le condotte in grado di integrare l’art. 648 ter 1, non facendovi rientrare in attività illecite il “mero consumo”, così da evitare una sostanziale doppia sanzione per l’autore del reato presupposto. A complicare la chiarezza della norma si aggiunge la genericità dei termini utilizzati: “mera utilizzazione” e “godimento personale”, i cui limiti andranno specificati caso per caso dalla giurisprudenza, che appare conscia dell’intento del legislatore di circoscrivere le condotte irrilevanti agli impieghi meno incisivi.

La Suprema Corte si è pronunciata, con la sentenza n. 30399 del 2018, esprimendo il proprio parere riguardo a detto controverso quarto comma. Secondo la Cassazione “la norma in questione, ove attentamente letta, prevede un peculiare caso di non punibilità che, limitando in negativo la fattispecie criminosa di cui al comma 1, ad essa si affianca contribuendo a definirne, in modo più chiaro, l’ambito di operatività”. L’agente può andare esente da responsabilità penale solo nei casi in cui utilizzi o goda dei beni proventi del delitto presupposto in modo diretto e senza compiere su di essi alcuna operazione atta ad ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa.

La decisione sposa così la natura sostanziale anche dell’autoriciclaggio tra i reati contro l’amministrazione della giustizia. La collocazione formale dei reati di riciclaggio, impiego e autoriciclaggio nella sezione del codice penale relativa ai reati contro il patrimonio, ha infatti un’origine puramente storica, in quanto riciclaggio e reimpiego sono nati come reati speciali rispetto alla norma dell’art. 648 che costituisce norma generale(58). Già in passato si è parlato di appartenenza sostanziale ai reati contro l’amministrazione della giustizia, in quanto finalizzati ad impedire la ricostruzione della “traccia” e il conseguente recupero dei fondi da parte degli organi giurisdizionali. Natura non diversa ha pertanto anche il reato di chi “autoricicla” i proventi del proprio delitto.

Si aggiunge in proposito che la decisione è coerente con quanto ravvisabile nei lavori preparatori della citata Legge 186/2014 prima citati, in cui legislatore ha espresso la volontà di attribuire anche all’autoriciclaggio la medesima natura – sostanziale – di reato di ostacolo all’amministrazione della giustizia, al pari di quanto più volte già affermato anche dalla giurisprudenza per i reati di riciclaggio e di impiego.

 

Intervento di:

Nicola MAINIERI, Avvocato, Dirigente senior della Banca d’Italia – Dipartimento Vigilanza. Responsabile del Nucleo a supporto dell’Autorità Giudiziaria.

Le opinioni espresse dall’Autore non impegnano in alcun modo l’Istituto di appartenenza.

Giulia Maria TOVINI, dr.ssa in Giurisprudenza, attualmente internship trainee ℅ Sadas.

 

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(45) D.TERRACINA, Autoriciclaggio e responsabilità del professionista, www.fondazionenazionalecommercialisti.it, p. 5; M. GERACI, Art. 648-ter.1 c.p.: breve analisi degli elementi costitutivi della fattispecie di autoriciclaggio e criticità ad essi collegate, in Giurisprudenza Penale Web, pag, 5.

(46) M. GERACI, sopra citato, pag. 9.

(47) Cass. pen., Sez. II, 13 giugno 2017, n. 29519.

(48) Cass. Pen., Sez. II, 21 settembre 2016, n. 46319.

(49) Cass. Pen. Sez. II, 9 agosto 2018, n. 38422.

(50) Art. 80, 2: “È punito con la pena che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave aumentata sino al triplo chi… con più azioni od omissioni, esecutive di un medesimo disegno criminoso, commette anche in tempi diversi più violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge”; art. 61, n. 9): “l’avere commesso il fatto con abuso dei poteri, o con violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione o a un pubblico servizio, ovvero alla qualità di ministro di un culto”; infine, art. 640, 2, n. 2: “Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione…da uno a cinque anni e della multa da euro 309 a euro…se il fatto è commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario o l’erroneo convincimento di dovere eseguire un ordine dell’autorità”.

(51) Cass. Pen., Sez. II, 14 luglio 2016, n. 33074.

(52) Cass. Pen., Sez. II, 5 luglio 2018, n. 30401.

(53) Cass. Pen., Sez. Unite, 03 luglio 1996, n. 9149.

(54) “Nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti, a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per uno dei delitti previsti dagli articoli 648-bis, 648-ter e 648-ter.1, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il prodotto o il profitto, salvo che appartengano a persone estranee al reato.

(55) “Fuori dei casi di cui ai commi precedenti, non sono punibili le condotte per cui il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale”.

(56) F. MUCCIARELLI, La struttura del delitto di autoriciclaggio. Appunti per l’esegesi della fattispecie, in E. MEZZETTI-D. PIVA, Punire l’autoriciclaggio, Torino, 2016, pagg. 15 e ss.; C. PIERGALLINI, Autoriciclaggio, concorso di persone e responsabilità dell’ente: un groviglio di problematica ricomposizione, in M. MANTOVANI-F. CURI-S. TORDINI CAGLI- V. TORRE-M. CAIANIELLO (a cura di), Scritti in onore di Luigi Stortoni, Bologna, 2016, pagg. 545 e ss.

(57) R. BRICCHETTI, Art. 648-ter.1, in E. DOLCINI-G. GATTA (a cura di), Codice penale commentato, Milano, 2015, pagg. 1355 e ss.; S. SEMINARA, Spunti interpretativi sul delitto di autoriciclaggio in Dir. Pen. Proc., 2016, pagg. 1641 e ss.

(58) A. R. CASTALDO-M. NADDEO, Il denaro sporco. Prevenzione e repressione nella lotta al riciclaggio, Milano, 2010, pag. 233; E. RUSSO, Rapporto tra il delitto di riciclaggio ed i reati di ricettazione, favoreggiamento reale ed associazione per delinquere, in Riciclaggio e reati connessi all’intermediazione mobiliare, A. MANNA (a cura di), Torino, 2000, pagg. 115 e ss. in cui l’autore evidenzia come l’odierna formulazione dell’art. 648-bis abbia modificato anche i rapporti con le fattispecie di ricettazione e favoreggiamento reale, ma anche con quelle associative; MANTOVANI, Diritto Penale. Parte speciale, Delitti contro il patrimonio, Milano, 2016, pagg. 286 e ss.; L.D. CERQUA, Il riciclaggio del denaro, Il fenomeno, il reato, le norme di contrasto, E. CAPPA-L. D. CERQUA, (a cura di), Milano, 2012, pagg. 92 e ss.

 

Questo articolo è stato pubblicato su GIURISPRUDENZA PENALE WEB, 2019, 3

 



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